Colore e Capriccio, Canaletto in mostra a Roma
Palazzo Braschi a Roma ospita l’artista veneziano Giovanni Antonio Canal, detto ” Canaletto”, con un percorso cronologico di opere che seguono tutte le fasi della sua vita. Dalla gioventù romana, attraverso le vedute di Venezia, fino al soggiorno in Inghilterra dove i suoi dipinti erano amatissimi
“Antonio Canale fa in questo paese stordire universalmente ognuno che vede le sue opere (…) vi si vede dentro il sole”. Alessandro Marchesini parlava così del Canaletto nel 1728, quando era già entrato ufficialmente nell’olimpo degli artisti di paesaggio. Ed è impossibile non concordare con il critico veronese osservando i capolavori di Giovanni Antonio Canal, dal suo periodo romano fino alla maturità veneziana e ai sognanti Capricci di vecchiaia, talmente realistici e perfetti da sembrare finestre sul mondo.
Fino al 19 agosto sarà possibile osservarne alcuni a Palazzo Braschi (Roma), nella cornice dell’esposizione intitolata “Canaletto 1697-1768”, curata da Bożena Anna Kowalczyk e organizzata da MetaMorfosi in collaborazione con Zètema Progetto Cultura. Così l’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale punta a celebrare il 250° anniversario della morte del pittore, mettendo in mostra il più grande numero di opere di sua mano mai esposte: 42 dipinti e 9 disegni, oltre a 16 libri e documenti del suo archivio.
Grazie al percorso cronologico, ogni visitatore avrà modo di constatare i progressi che la raffinatura della tecnica ha impresso sui quadri di Canaletto e come il suo tratto si sia via via fatto più sicuro e concreto. Nonché di confrontare lo stile dell’artista con quello del nipote, Bernardo Bellotto, che si affiliò da giovane alla scuola pittorica del maestro, ma non riuscì mai ad eguagliarne il genio. È impressionante sostare di fronte alle due versioni in prospettiva di Piazza San Marco a Venezia, perdendosi nel riconoscere la precisione di una finestra o l’illuminazione delle guglie della chiesa.
Canaletto non è semplicemente un paesaggista o uno scrupoloso osservatore della realtà, come Turner dopo di lui, l’artista crea intorno al dipinto un’impressione del luogo ritratto. Guardando “Il Ponte di Rialto da Nord” e la leggiadria con cui la luce ricrea i suoi giochi naturali, i colori meravigliosi del cielo e l’appropriata resa dell’acqua su cui si muovono le gondole, il mondo di Canaletto si dispiega di fronte all’osservatore.
Secondo la sua biografia non autorizzata (i commenti che di lui facevano i contemporanei) non v’era giovane aristocratico europeo che osasse ritornare dal Grand Tour (l’antico Interrail) senza aver commissionato un dipinto al Canaletto. L’artista, che sapeva d’essere di moda, poteva permettersi il lusso di lavorare solo per richieste e realizzare le sue preziose cartoline. “Si tratta di un uomo avido e ingordo: ed essendo famoso, la gente è felice di pagare tutto quel che vuole” diceva di lui Owen Swiny. Eppure, a guardare la perfezione de “Il Canal Grande con Santa Maria della Carità” o “La Riva degli Schiavoni da San Biagio”, si nota come Canaletto sentisse il dovere di rendere unica ognuna delle sue opere, indipendentemente dalla destinazione.
Quando, nel 1746, si diresse a Londra, in molti lo accusarono di aver perso lo smalto e di realizzare quadri “senza luce”. In effetti, il Canaletto non dipinse mai più con il tratto angelico dei tempi veneziani, ma in Inghilterra ebbe modo di dipingere scorci come quello di “Chelsea dal Tamigi a Battersea Reach” e consacrare un nuovo modo di guardare alle ombre. La cupezza acquisita in territorio inglese, dove le nuvole insegnano all’artista uno sguardo nuovo, non lo abbandonerà più e resterà protagonista anche dei suoi capricci.
L’immortalità di Canaletto viene probabilmente dalla sua attenzione al disegno, lo scheletro costituente della sua ars. Il pittore non smise mai di disegnare, di cercare la precisione fotografica nella realtà intorno a sé. Su ogni bozza scriveva in bella grafia le esatte posizioni, i vizi di prospettiva e l’aspetto architettonico di quello che osservava. Quando morì, a 71 anni, lasciò un parco testamento: pochi gli averi materiali, ma la sua eredità artistica, ben conservata, vivrà ancora nel nipote Bellotto.
A fine mostra concordiamo con il critico Egidio Martini: “Nessuno come lui seppe tanto pittoricamente rappresentare la realtà oggettiva di quella straordinaria città di acque e di pietra che è Venezia, né con maggior limpidità dipingerne i cieli tersi e luminosi; così lo splendore del sole sugli intonaci rossi, sul bianco dei marmi, così il silenzio dei suoi campi, delle sue barche immote. Così è nei vasti orizzonti del Tamigi, dei parchi inglesi: un sole, una luce, un’aria trasparente, presente, quasi tattile, che non si vide mai”.
Canaletto 1697-1768
Fino al 19 agosto 2018
Museo di Roma, Nuovo Spazio Espositivo al I piano
Dal martedì alla domenica dalle ore 10.00 alle 19.00
la biglietteria chiude un’ora prima
Chiuso lunedì e 1° maggio