Gig Economy: a Torino il primo round va a Foodora

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La sentenza del tribunale di Torino riguardo i 6 riders di Foodora che cercavano riconoscimento come lavoratori dipendenti ha avuto parere negativo. Si tratta però solamente dell’inizio del dialogo con gli attori della Gig Economy

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Mercoledì 11 Aprile il tribunale di Torinha respinto il ricorso dei sei dipendenti di Foodora decisi, attraverso vie legali, ad essere riconosciuti come lavoratori dipendenti. La sentenza ha avuto il merito di dare rilevanza ad uno dei più significativi fenomeni dell’economia moderna. Il giudice ha deciso che la posizione lavorativa dei fattorini in questione, di età compresa fra i 25 e 35 anni, non presentasse caratteristiche di subordinazione, condicio sine qua non per il riconoscimento dello status di lavoratore dipendente. Si è così finalmente tornato a parlare, qualche anno dopo l’affaire Uber Pop, della Gig Economy.

Gig Economy – La Gig economy è definita come un mercato del lavoro contraddistinto da elevata flessibilità contrattuale, che,  in contrapposizione con le dinamiche  tipiche del posto fisso, si caratterizza per la prevalenza di rapporti lavorativi di breve periodo o di freelance. Nonostante siano spesso confuse, la gig economy è solo una parente della più nota sharing economy, dalla quale si distingue sia per caratteristiche che per tipologia di impatto sociale provocato. Viene spesso indicata anche con il nome di “platform economy“, mentre in Italia vanta la più letterale traduzione in economia dei lavoretti.

Fonte: nuvola.corriere.it

Caratteristiche dei rididers – I più noti operatori della Gig economy sono i riders impiegati dalle società di Food Delivery (Foodora, Deliveroo); Anche gli “occasionali” autisti del contestato servizio Uber Pop ricadevano in tale categoria. Si tratta di prestatori di lavoro occasionalia chiamata, che dispongono in parte di equipaggiamento proprio, (nel caso dei riders la bicicletta stessa, per gli affiliati di Uber Pop il veicolo utilizzato), in parte di  accessori forniti dalla società di riferimento, come pettorine e borsa frigo.

Non è presente una forma di controllo diretta degli orari di lavoro, ma, connettendosi al sito, il rider sceglie liberamente quando prestare il proprio servizio, venendo retribuitocottimo. Rimarcando l’assenza di una precisa struttura organizzativa del lavoro, esplicitata sotto forma di turni ed orari, i giudici non hanno ravvisato le condizioni necessarie per il riconoscimento dello status di lavoratore subordinato.
La vision di Foodora – Foodora, e con essa le altre società piattaforma, definiscono l’attività dei ciclofattorini come accessoria rispetto al principale impiego dell’individuo. Secondo tale visione, l’offerta di lavoro rappresenterebbe solamente un’ulteriore possibilità di arrotondare lo stipendio, di fare qualche soldo per gli studenti, o di unire la passione per la bicicletta con la possibilità di essere remunerati.

Fonte: sites.ieee.org

A tale visione, però, si oppongono i riders che ricevono, a fronte di miglialia di km percorsi pedalando senza disporre di un’assicurazione medica, pochi euro l’ora. A causa delle condizioni economico-sociali moderne, l’attività di ciclofattorino è per molti individui, ormai, la prima fonte di reddito. Il problema è stato comunque sollevato anche da qualche osservatore più attento (PD e M5S per la politica, la CGIL per i sindacati).

Primo atto Il rischio concreto è che, pur rimanendo nella legalità, le Platform company sfruttando aree grigie del diritto e la lentezza legislativa nell’adattarsi ai rapidi cambiamenti dell’ecosistema economico moderno inducano una precarizzazione cronica del lavoro. La sentenza di Torino, comunque opposta ad altre avvenute in Europa in tempi recenti, è solamente una delle tappe del lungo processo di interazione ed adattamento fra i sistemi sociali e le rinnovate strutture economiche moderne.
Fonte immagine in evidenza: vicenzapiu.com

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