Armenia, il “candidato del popolo” diventa Primo ministro

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Dopo settimane di manifestazioni e scioperi cittadini, Pashinyan ottiene due terzi dell’Assemblea Parlamentare ed è eletto al secondo tentativo

armenia In Armenia ha vinto la rivoluzione di velluto. La mobilitazione popolare promossa dal leader di Yelk, cioè “via di uscita”, ha avuto gli effetti sperati. Ieri Nikol Pashinyan è stato eletto Primo ministro dopo anni di contestazione verso l’operato della maggioranza repubblicana e settimane di proteste in piazza. Ragione del dissenso, l’accentramento del potere messo in atto dal Partito Repubblicano Armeno (PRA) negli ultimi anni.

Il primo obiettivo di Pashinyan, ora che è a capo di un governo provvisorio che dovrebbe durare circa 3-6 mesi, sarà proprio la modifica del sistema elettorale – garantendo maggiore decentramento e, quindi, controllo popolare in un’ottica di maggiore democrazia – per poi indire nuove elezioni. Durante le lunghe ore delle manifestazioni, infatti, aveva dichiarato alla BBC che ”Questa non è una lotta per far eleggere Nikol Pashinyan. È una lotta per i diritti umani, per la democrazia, per la legge e i regolamenti, ed è per questo che la gente non è e non sarà mai stanca di protestare”. Lotta alla corruzione, garanzia dei diritti civili ed elezioni scevre da ombre di brogli elettorali saranno il suo mandato.

L’Armenia, infatti, recentemente era passata da un sistema semipresidenziale ad uno parlamentare, dove il capo del governo aveva acquisito, grazie agli emendamenti costituzionali del 2015, maggiori poteri a scapito del capo dello stato. La riforma era stata voluta da Serzh Sargsyan quando era ancora Presidente della Repubblica. Tenuta la massima carica per dieci anni, dal 2008 al 2018, alla fine del non più prorogabile mandato lo scorso 17 aprile è potuto passare alla poltrona dell’esecutivo, grazie al sostegno dalla maggioranza repubblicana di cui è esponente, diventando, così, Primo Ministro.

Carica mantenuta per tempistiche da record: solo sei giorni dopo, il 23 dello stesso mese, Sargsyan è stato costretto a dimettersi a seguito della disobbedienza civile sobillata da Pashinyan che aveva mandato in tilt infrastrutture, strade, reti ferroviarie e istituzioni – non solo ad Everan, capitale dell’Armenia, ma anche in altre città come Gyumri e Vanadzor. L’accentramento di potere pianificato e messo in atto da Sargsyan, come dicevamo, aveva suscitato malumori e scontento tra l’opinione pubblica sin da subito: quando, due settimane fa, aveva messo a punto la scalata al potere migliaia di persone sono scese in piazza in quella che è stata definita la “rivoluzione di velluto”, proprio per il suo carattere pacifico e non violento.

Davanti all’evidenza dei fatti, Sargsyan aveva fatto un passo indietro per lasciare spazio a Karen Karapetyan, che lo aveva preceduto, e che era tornato in carica ad interim fino alle elezioni dello scorso 1° maggio. A quel punto Pashinyan, presentatosi come unico candidato, non aveva raggiunto i 59 voti necessari per ottenere la maggioranza. Voti che non erano arrivati proprio da parte repubblicana, contraria alla sua candidatura, figura da sempre avversa al loro partito, nonostante riconoscesse la situazione di problematicità politica.

Così, nel giro di 24 ore la difficoltà si era trasformata in crisi: decine di migliaia di manifestanti, tra cui anche membri dell’esercito, erano tornati nelle piazze, bloccando le città nelle strade, negozi e servizi pubblici e privati costringendo, così, il PRA a rivedere ulteriormente la propria posizione. Ieri, infatti, è arrivato il promesso appoggio al “candidato del popolo” di Yelk e l’intenzione dichiarata di passare all’opposizione.

Pashinyan dovrà formare il gabinetto in 20 giorni: al momento non sono previste epurazioni né particolari rivoluzioni di nomine

Sara Gullace

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