Casa libera tutti: a Roma il luogo delle donne è sotto sfratto
Da un mese a questa parte la Casa Internazionale delle Donne di Roma è sotto sfratto. Il Comune lamenta 800 mila euro di affitto non pagato dalle inquiline del Buon Pastore e si propone di rilevare l’edificio e riutilizzarlo con progetti a bando. Le donne protestano, chiedendo che la loro attività di supporto autonomo alla città venga riconosciuta come patrimonio comune. La situazione è in stallo, ma la Casa non si arrende
“Dietro quelle che sembrano essere solo affermazioni di buonsenso e di legalità, in realtà si nasconde una linea che questa amministrazione segue da quando governa la città, cioè la messa in difficoltà di tutte quelle realtà romane che gestiscono spazi di autonomia culturale e sociale”. Sono le dure parole che Francesca Koch, presidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma, ha dedicato alla giunta Raggi durante una conferenza tenutasi nei locali della Casa lo scorso 24 maggio.
Le Donne sono arrabbiate e protestano. Lo hanno fatto molto in queste settimane da quando, il 2 maggio, la presidente di commissione Gemma Guerrini ha presentato una relazione, poi divenuta mozione approvata, che definiva il progetto della Casa “fallimentare” perché non abbastanza remunerativo da pagare l’oneroso affitto (oltre 7.000 euro al mese), proponendo al Campidoglio di rilevare l’edificio del Buon Pastore e riorganizzare la struttura. Lo hanno fatto ieri, nel lungo corteo partito da piazza dell’Esquilino per celebrare la legge 194 sull’aborto. Lo hanno fatto tuonando “Giù le mani dalla Casa”, senza fare mai neppure un passo indietro di fronte a quella che attualmente è ben più di una minaccia di sfratto.
Il Comune, nella persona della sindaca Virginia Raggi, difende la mozione Guerrini a spada tratta. In nome della legalità, valore del quale l’amministrazione a 5 Stelle si fa scudo, il Campidoglio rivendica gli 833mila euro di affitto arretrato che le donne della Casa non hanno versato negli ultimi anni e assicura di voler proseguire il loro lavoro affittando i locali trasteverini attraverso bandi che premino comunque progetti volti al pubblico femminile. Il termine utilizzato è “riallineare”, ovvero riportare sulla giusta via qualcosa che attualmente sfugge alle regole. “Per noi quel termine chiarisce la loro esigenza di omologare – continua la Koch – e di annientare la storia della Casa, si tratta di un pretesto per silenziarci”.
Ed è proprio questa la parola che fa la differenza, “storia”. È una lunga e travagliata storia quella della Casa Internazionale delle Donne, che inizia con l’occupazione di palazzo Nardini da parte del Movimento femminista di via Pompeo Magno e di molte donne del Partito Radicale, nel 1976. Erano tempi frenetici e appassionati, le donne ruggivano e rivendicavano la loro necessità di uno spazio collettivo in cui potersi riorganizzare, aiutare, supportare nel miglior modo possibile. È una storia che prosegue fino al 1985, quando il sindaco illuminato Nicola Signorello concede loro i locali di un ex penitenziario femminile, quello del convento del Buon Pastore a Trastevere, perché al suo interno le donne che una volta erano state prigioniere, potessero tornare libere.
Da allora sono trascorsi 42 anni. Nella Casa si riuniscono oltre 40 associazioni, che offrono servizi gratuiti di consulenza psicologica e legale per donne vittime di violenza, consulti medici e ginecologici, progetti e iniziative culturali, insieme a una ricca biblioteca del femminismo italiano e mondiale a disposizione di chiunque sia interessato. La casa vive di volontariato, ma produce servizi per un valore che supera i 700 mila euro annui, quantificabile dal riconoscimento delle oltre 30 mila presenze nella struttura. Le inquiline, inoltre, hanno ricordato al Comune di aver già versato 600 mila euro come parte dell’affitto e richiesto di riconoscere la spesa fatta negli anni per la manutenzione del Buon Pastore, che supera i 300 mila.
Grande è il supporto che la Casa ha ricevuto da personalità e cittadini comuni, che hanno partecipato alle proteste e condiviso appelli online. Da Walter Veltroni, ex sindaco di Roma, a Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, che si è proposto per una donazione. Proseguendo con gli attori Jasmine Trinca e Marcello Fonte, protagonista del film “Dogman”, che si sono recati al Buon Pastore per fornire il loro appoggio.
Se la giunta concedesse alla storia della Casa di diventare un elemento vivo del dibattito, se le attività di queste donne fossero riconosciute, non solo come un aiuto alla comunità, ma anche come un’affermazione di indipendenza; se, infine, si riuscisse a comprendere il valore di donne che agiscono per altre donne, liberamente e senza costrizioni legali, forse la direzione della vicenda potrebbe cambiare. La legalità in senso lato, senza una contestualizzazione, può essere dannosa quanto l’illegalità tollerata. Tarpando le ali a quella che è diventata un’istituzione per la città di Roma, un luogo simbolico di libertà e potere femminile, la Giunta agisce forse per la giustizia, ma non di certo per il meglio.
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