L’alba mancata del “Governo del cambiamento”: Savona casus belli?
Dopo un lungo tira e molla, l’asse Lega – M5S sembrava aver trovato la quadratura del cerchio. Capo del Governo politico, come chiedeva Mattarella e lista dei Ministri. Poi, però, tutto si è arenato. Cosa si nasconde dietro all’attuale stallo politico? La nostra analisi
Se è vero che la democrazia trova la sua più alta espressione tra le righe della Costituzione, allora è legittimo che il Presidente della Repubblica non nomini un ministro proposto dal presidente del Consiglio incaricato (art. 92 Cost) e, pertanto, si attivino trattative per l’individuazione di un nuovo nome. Democrazia sospesa? Non sembra questo il caso. Minacce di morte e commenti ingiuriosi al presidente Sergio Mattarella? Conserviamo – appunto – la democrazia (oltre a toni e decenza).
Quanto accaduto nelle ultime ore non ha precedenti storici. Nel pomeriggio di domenica Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio incaricato, di dar vita al “Governo del cambiamento” Lega – M5S, si è recato al Colle con la lista dei ministri. L’ha presentata al Capo dello Stato e nelle sue mani ha rimesso il mandato. “Ho condiviso e accettato tutte le proposte per i ministri, tranne quella del ministro dell’Economia” – ha detto Sergio Mattarella. “Ho chiesto, per quel Ministero, l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, coerente con l’accordo di programma”, ma questa indicazione, invece, non è stata accolta.
Alla casella dell’Economia Matteo Salvini, in particolare, e Luigi Di Maio avevano indicato Paolo Savona, economista 81enne con lunga carriera in Banca d’Italia, Confindustria, holding bancarie e ministro nel Governo Ciampi. Un uomo della vecchia politica, un esponente di quell’establishment che ha portato l’Italia al baratro attuale – in altri momenti, supponiamo, avrebbero usato questa terminologia – nonché sostenitore dell’uscita dell’Italia dell’euro. Le sue teorie, infatti, non lambiscono esclusivamente la sponda di coloro che vogliono modificare nelle sedi opportune il funzionamento delle Istituzioni europee. Ma anche quella ben più allarmante – e in preoccupante espansione – di coloro che all’euro vogliono dire “Arrivederci” e senza grazie aggiunto.
Sin dalle prime indiscrezioni su Savona, il Quirinale ha fatto trapelare dell’irritazione. Confidando, però, in una responsabilità delle forze in questione ha comunque conferito mandato politico a Giuseppe Conte (politico chi?). Contestualmente i mercati finanziari hanno iniziato ad oscillare: come Savona non era oggetto di discussione, così l’Italia è entrata in una bolla speculativa tale da far schizzare lo spread vicino a quota 300 nella giornata di venerdì.
Fuga dei capitali e debito pubblico a rischio. Astenendoci un attimo dall’agone politico, si può considerare motivata la preoccupazione di Sergio Mattarella. Certamente, si può deprecare la costante presenza della finanza nelle vita politica di un Paese, ma tale è, soprattutto quando si Governa in deficit. Inoltre, porre all’economia un Ministro con idee non sottoposte al giudizio/volontà popolare avrebbe potuto creare dubbi di legittimità (Né il M5S né la Lega nelle loro campagne elettorali hanno sostenuto la necessità di uscire dall’euro; (qui l’ormai famoso scambio di battute durante “Otto e Mezzo” tra Lilli Gruber e Laura Castelli, M5S).
A conferma della volontà del Colle di dar vita ad un Esecutivo politico – a microfoni spenti è stato comunicato che l’alternativa proposta era Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Matteo Salvini dal temperamento per nulla accomodante nei confronti dell’Europa. Proprio il leader leghista, però, ha opposto un fermo “no”. Immediati i sospetti della base pentastellata: può Matteo Salvini aver ordito un piano contro il M5S al fine di non far partire il Governo? E Silvio Berlusconi? Mai pubblicamente rotta la coalizione di centrodestra e, secondo gli ultimi sondaggi e recenti elezioni regionali, la popolarità della Lega è in ascesa, ma senza la stampella azzurra la maggioranza è lontana.
Le reazioni al discorso al discorso di Mattarella delineano un’aspra rottura istituzionale: Luigi Di Maio e Giorgia Meloni hanno invocato la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica – fortunatamente rientrata ormai – ricorrendo all’art. 90 Cost, le cui conseguenza sarebbero gravissime nonché un unicum nella storia repubblicana. Tuttavia, come scritto in un pubblica lettera sottoscritta dai migliori costituzionalisti (qui il testo), non sussistono i presupposti per avviare la procedura.
Perché appellarsi? È, chiaramente, iniziata la campagna elettorale.
Fonte immagine in evidenza: varesepolis.it