Come nasce il vaccino – Quarta parte
Dopo la testimonianza di Voltaire nell’Undicesima delle sue lettere inglesi, proseguiamo il viaggio a tappe della nascita del vaccino antivaioloso: i metodi statistici introdotti da La Condamine e Bernoulli
La risonanza in Francia fu notevole al punto che alcuni medici si dedicarono alla sperimentazione non senza incontrare dure polemiche che vennero ulteriormente inasprite dall’incidente capitato al medico italiano Giovanni Angelo Gatti a cui due dei cento soggetti che inoculò, toccò in sorte il vaiolo. La polemica però non era solo socio-scientifica ma assunse anche connotazioni culturali ed ideologiche che videro schierati da una parte il gruppo di Voltaire e dall’altra gli oppositori dei philosophes.
In questo agone vennero impiegati per la prima volta metodi statistici atti a valutare l’efficienza dell’inoculazione soprattutto ad opera dei matematici La Condamine e Bernoulli. La Condamine, dopo una spedizione in Amazzonia, aveva salvato con l’inoculazione numerosi indigeni. Egli era un vero e proprio progressista che pubblicò ben tre memorie sull’inoculazione. Il suo motto diventò: “La natura ci decimava, l’arte medica ci millesima“. Non aveva tutti i torti a riguardo considerando che gli storici attestano una mortalità degli inoculati tra lo 0.5 e il 2 %.
Già in passato, il dr. James Jurin, in qualità di segretario della Royal Society, aveva fatto partire un’indagine statistica sugli effetti dell’inoculazione. Il dottor Jurin chiese agli inoculatori di inviargli dati pertinenti riguardanti età, metodo di inoculazione, giorni di malattia, numero e tipo di pustole e ovviamente, il risultato finale. Jurin esaminò questi dati assai accuratamente per accertarsi che la variolazione proteggesse effettivamente contro il vaiolo naturale. Dai dati raccolti tra il 1723 e il 1727 poté finalmente accertare non solo che la variolizzazione portasse effettivamente all’immunizzazione ma anche che la mortalità conseguente alla variolazione, inizialmente del 2%, si fosse abbassata fino al 1,6% nel 1727, mentre il tasso di mortalità per vaiolo naturale rimaneva stabile al 14%.
In Italia l’inoculazione fu introdotta dai medici greci che operavano soprattutto a Venezia e trovò un grande fautore in Benedetto XIV (Papa Lambertini 1740) che cercò di introdurre la vaiolizzazione nello stato pontificio. Una forte difesa dell’inoculazione proveniva anche da Pietro Verri nelle pagine del Caffè o dai versi di Giuseppe Parini “L’innesto del vaiolo” dimostrando che anche gli ambienti intellettuali dell’epoca sostenevano tale pratica.
Tuttavia, negli ambienti ecclesiastici c’era una certa opposizione alla pratica. Per esempio il reverendo Edmund Massey in un sermone intitolato “La pericolosa e peccaminosa pratica dell’inoculazione“, che venne pronunciato l’8 luglio 1722 dal pulpito della Parish Church di St. Andrew’s Holborn, si riferì alla variolazione come “una diabolica operazione che usurpa l’autorità (di Dio) e che non trova giustificazione nelle leggi di natura o di religione e che anticipa o bandisce la Provvidenza dal mondo e promuove l’incremento del vizio e dell’immoralità“.
[fine quarta parte]
Federica Albano e Gerardo Gatti