I Mondiali delle sorprese: dalle deluse alla Francia campione
Quelli in Russia sono stati mondiali particolari, all’insegna dell’imprevedibilità e dove a trionfare è stata la Francia ben guidata da Didier Deschamps
La favola della Croazia si è interrotta sul più bello. Il sogno è stato spezzato prima che potesse diventare realtà. La finale di Mosca ha incoronato Campione del Mondo la Francia di Didier Deschamps, che centra questo traguardo da commissario tecnico diventando protagonista di entrambe le affermazioni mondiali della sua nazionale dopo che, nel 1998 ha alzato questo trofeo da giocatore, terzo nella storia dopo Zagallo (1958, 1962, 1970) e Beckenbauer (1974, 1990).
Alla fine ha vinto lui con i suoi galletti. Sono partiti in sordin, dati fin da prima dell’inizio della manifestazione come squadra favorita non hanno deluso.
La qualità della rosa è un elemento indiscutibile. La Francia si è dimostrata una squadra completa con un ottimo sistema di gioco nel quale sono emersi non solo i grandi nomi come Mbappé e Griezmann,inevitabilmente gli uomini copertina di questa formazione ma anche ottimi gregari come il portiere Lloris ed il terzino Pavard.
Nota a margine la merita Ngolo Kantè. Un giocatore unico, capace di correre come un maratoneta per tutta la durata dell’incontro non tirando mai indietro la gamba e dando sempre tutto per la causa.
Sono stati mondiali particolari. Perché se è vero che avere quattro nazionali europee tra le semifinaliste è una rarità visto che in passato era accaduto solo quattro volte, è altrettanto evidente come questa verrà ricordata come la Coppa del mondo dei flop.
Partiamo dagli ormai ex campioni in carica della Germania, giunti in Russia tanto spavaldi da prenotare l’albergo fino al giorno della finale ma che sono usciti con le ossa rotte dai gironi senza mostrare un gioco degno di questo nome e sconfessando quanto di buono fatto 4 anni prima. Perdendo addirittura contro la Corea del Sud
Passiamo poi all’Argentina di Jorge Sampaoli, che più che una nazionale sembrava un cantiere con su scritto work in progress. Non ha mostrato gioco, l’albiceleste, troppo aggrappata al talento ed alle fiammate di Lionel Messi, tanto che è finita per passare per il rotto della cuffia ai gironi venendo poi regolata con un netto 4-2 dai futuri campioni del Mondo.
Chiudiamo l’analisi delle deluse con il Brasile. La squadra di Tite ha ben impressionato in quanto ha messo in mostra un gioco “europeo” molto attento e poco spettacolare. Il suo problema è stato l’uomo che doveva garantirgli il cambio di passo, la giocata decisiva, quel Neymar troppo attento a cadere per terra appena toccato (sono più di 14 i minuti che il fantasista brasiliano ha passato a rantolare per il terreno di gioco) ed a rubar palla ad i compagni per pensare di essere decisivo per le sorti della sua squadra. Una presunzione costata cara ai sudamericani che, come 4 anni fa sono usciti ai quarti di finale
Diamo spazio alle note liete. Quelle squadre che si sono dimostrate all’altezza della competizione seppur partendo in sordina. Detto della Croazia, vice-campione, un gradino sotto per impegno e dedizione va sottolineata la prova dell’Inghilterra di Gareth Southgate. Quella inglese più che una nazionale sembrava una squadra di club. Lottava su ogni pallone compatta e determinata ed ha fornito alla manifestazione molti volti nuovi inaspettati alla vigilia come il portiere Pickford, il centrale Maguire, e l’ala Trippier. Il match simbolo di questo modo di vivere il calcio è stato quello con la Colombia, dove Kane e compagni passano in vantaggio, vengono raggiunti nei minuti di recupero ma ai rigori battono i rivali.
Si è confermata su un buon livello, dimostrandosi pronto al definitivo salto di qualità il Belgio, ben allenato da Roberto Martinez, che si è dovuto arrendere solo alla Francia ma che ha dimostrato il suo valore mettendo in mostra giocatori che si sono consacrati ed hanno raggiunto la loro maturità calcistica come Lukaku, Curtois e Hazard.
Meritano una nota a margine due squadre che si sono affrontate negli ottavi. Portogallo e Uruguay. La prima perché ha messo in mostra, per l’ennesima volta la classe cristallina di Cristiano Ronaldo. Il neo-juventino ha trascinato praticamente da solo la sua nazionale agli ottavi. Per i sudamericani invece va premiata la dedizione di Oscar Washington Tabarez che, nonostante una malattia, non ha lasciato soli i suoi ragazzi guidandoli fino ai quarti dove, senza Edinson Cavani, nulla ha potuto contro una corazzata come quella transalpina.
Anche i padroni di casa della Russia hanno ben figurato togliendosi lo sfizio di eliminare la più blasonata Spagna.
Una bella favola poteva essere quella del Giappone, ma i “blue samurai” hanno pagato in termini di centimetri nell’incontro ad eliminazione diretta coi Diavoli Rossi del Belgio, passando sì in vantaggio per 2-0, ma subendo un clamoroso recupero uscendo troppo presto da una competizione nella quale hanno messo in mostra buone cose e buoni elementi.
Questi mondiali sono anche stati i primi in cui il VAR (Video Assisten Referee) ha coadiuvato gli arbitri. Ha funzionato ed è stato un valido aiuto l’arbitro virtuale nella risoluzione di casi a volte spinosi.
Nel complesso per le emozioni provocate e l’incertezza che è regnata sovrana durante quasi tutti i match della competizione i mondiali russi si sono dimostrati gradevoli e di ottima fattura.
Ora, appuntamento tra 4 anni, per la prima volta in inverno, in Qatar (di cui parleremo a breve sul nostro giornale per la questione diritti umani). Con la speranza che, dopo una competizione vista sostenendo altre formazioni, a lottare per la vittoria finale possa esserci, anche l’Italia.