Clara Sereni, l’ultimista che ha cambiato un pezzetto di mondo
Coraggiosa, umana, ultimista. Per Clara Sereni scrivere significava fare ordine, cercare di capire la propria esperienza e qualcosa del mondo
Il prossimo agosto avrebbe compiuto 72 anni: Clara Sereni era una donna che ha raccontato, coraggiosamente e da ultimista, l’umanità, e l’importanza e la bellezza della diversità in un Paese che, ad oggi, calpesta la prima ed è ostile alla seconda.
Diceva di essere coinvolta in un destino ineludibile: “La morte noi ebrei siamo abituati a contrastarla scrivendo storie. La parola scritta per noi è la persistenza dell’esistere“. Nata, infatti, in una famiglia ebrea, ne ha fatto un ritratto nel libro “Il gioco dei regni“, del quale è uscita una nuova edizione Giunti nel 2017, in un mondo profondamente cambiato.
Suo padre, Emilio, era una persona di rilievo all’interno del Partito Comunista Italiano, proveniente da un ambiente antifascista e incarcerato durante il fascismo come militante comunista. Sua madre, Xenia Silberberg, era di origine russa e antifascista. Come ha raccontato Clara, infatti, i suoi nonni materni erano dei rivoluzionari russi: mentre suo nonno fu condannato a morte dal regime zarista, sua nonna fuggì in Italia.
Considerato un viaggio-capolavoro nel Novecento, con questo libro, nel 1993, vince il Premio Società dei Lettori Lucca-Roma e il Premio Marotta. “I miei invitati hanno, tutti, quella stessa aria annoiata che con ogni probabilità ho anch’io, e credo sia assolutamente impossibile trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che possa smuoverci“. Si tratta di “Sigma epsilon“, scritto, invece, nel 1974 e con cui, in chiave autobiografica, Clara Sereni ha rivisitato l’impegno proprio della sua generazione. Anni dopo, con autocritica, definirà questo suo primo libro “con troppe pretese e molti difetti che ebbe vita breve e sfortunata“.
La scrittura di Clara era schietta ed era la voce dei lavori precari, dei vecchi amori, dell’identità politica, dell’affettività, del prendersi cura della disabilità, della memoria, della storia, delle donne. Le donne: nel 90% delle storie, sono proprio loro le protagoniste, e perché cercava le loro emozioni dentro di lei, e perché portatrici di contraddizioni, alla base di ogni narrazione possibile, come lei stessa affermava. “Per le donne, essere protagoniste, nella vita e nella scrittura, resta comunque faticoso, con pezzi tuttora troppo alti da pagare“, riteneva Clara, sulla cui scrittura e persona hanno inciso scrittrici come Jane Austen, Alba de Céspedes e Madame de La Fayette (della quale ha tradotto e curato anche alcune opere, assieme a quelle di Balzac e Stendhal). Al centro di “Manicomio primavera” ci sarà proprio la soggettività femminile.
Nei suoi scritti, è possibile trovare la storia del Paese unita alla propria. Risale al 1995 “Taccuino di un’ultimista“, termine da lei coniato per definire se stessa. Qui, parlerà dei “quattro spicchi dei quali, con continui sconfinamenti, mi sembra di compormi: ebrea per scelta più che per destino, donna non solo per l’anagrafe, esperta di handicap e debolezze come chiunque ne faccia l’esperienza, utopista come chi, radicandosi in quanto esiste qui e oggi, senza esimersi dall’intervenire sulla realtà quotidiana, coltiva il bisogno di darsi un respiro e una passione agganciati al domani“.
Non solo “ultimista”: è suo il neologismo “casalinghitudine“, titolo del suo libro che è apparso in libreria nel 1987, per Einaudi, nonostante le perplessità di Natalia Ginzburg (che ne ha curato la pubblicazione). Ricordi, emozioni e storie attraverso il cibo che si mangia. E così la minestra dei Sette Grani richiamano una maternità, pasta e fagioli il Sessantotto, il polpettone alcune tappe di amicizia e la frittata di zucchine ricorda una discussione sulla spiaggia di Formia tra suo padre e Pietro Nenni. In “Le merendanze“, invece, si può assaporare la storia di donne italiane che aiutano donne immigrate, organizzando una raccolta fondi fatta di merende e pranzi. Il cibo come incontro, dialogo e condivisione.
La giovinezza nel Sessantotto, quella di un’intera generazione, l’eskimo, le canzoni di protesta, le feste dell’Unità, l’ideologia per cui si lottava, la casa romana (in cui ha vissuto) fatta di soffitti a cassettoni e mattonelle stagionali rosse e nere: tutto questo racchiude “Via Ripetta 155“, arrivato in finale al Premio Strega nel 2015, suo ultimo libro nato dall’idea di un amico al quale raccontava gli avvenimenti di quegli anni.
Non solo nel campo letterario e sociale, Clara Sereni si impegnava anche in politica. Trasferitasi a Perugia, infatti, ha rivestito la carica di vicesindaco con delega alle politiche sociali dal 1995 al 1997. In “Passami il sale” (2002), ha raccontato la sua esperienza politica nell’amministrazione locale.
Clara era sposata con Stefano Rulli, sceneggiatore e regista: con Matteo, loro figlio psicotico dalla nascita, hanno dato vita a “Un silenzio particolare“, un viaggio familiare. È stata promotrice della Fondazione Città del Sole Onlus per supportare disabili psichici e mentali gravi e medio-gravi, un progetto da lei considerato politico, di socializzazione e finalizzato a cambiare un pezzetto di mondo. La scrittrice, inoltre, aveva scelto di ritirarsi in una casa di riposo. Non voleva, però, la si definisse “ospizio”: “Ho due stanze luminose, un balcone pieno di fiori“. Nel 2012, per Rizzoli, attraverso i racconti degli ospiti di una casa di riposo, ha accompagnato i suoi lettori nell’Italia di ieri. “Nessuno è innocente o senza cicatrici. Come ovunque. Ciascuno ha la sua storia. I suoi rancori. Le sue ragioni. Le sue magagne da nascondere. I suoi peccati da scontare“.
Divideva gli scrittori in due categorie: da un lato, coloro che stanno bene solo quando scrivono; dall’altro quelli che dicono che invece patiscono, ed era proprio tra questi che aveva inserito se stessa. Ricordata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, come una “scrittrice colta, sensibile e raffinata. Una donna che ha speso gran parte della sua esistenza al servizio della comunità e delle persone più svantaggiate“, Clara Sereni non pretendeva di cambiare il mondo, ma un pezzetto sì, come lei stessa affermava. E lo ha fatto.
Giorgia Cecca