Rimbaud di Stefano Agosti: perché le opere del Poeta Veggente restano ancora un enigma?
L’interpretazione delle opere di Arthur Rimbaud risulta ancora oggi ostica e complessa. È stato un poeta controverso: per qualcuno fu “poeta veggente”, scrittore sperimentale e forse anche “angelo dannato”, come disse di lui Paul Verlaine
A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu: vocali,
io dirò un giorno i vostri ascosi nascimenti:
A, nero vello al corpo delle mosche lucenti
che ronzano al di sopra dei crudeli fetori,
golfi d’ombra; E, candori di vapori e di tende,
lance di ghiaccio, bianchi re, brividi di umbelle;
I, porpore, rigurgito di sangue, labbra belle
Che ridono di collera, di ebbrezze penitenti;
U, cicli, vibrazioni sacre dei mari verdi,
quiete di bestie ai campi, e quiete di ampie rughe
che l’alchimia imprime alle fronti studiose.
O, la suprema Tromba piena di stridi strani,
silenzi attraversati dagli Angeli e dai Mondi:
– O, l’Omega, ed il raggio violetto dei Suoi Occhi
A noir, E blanc, I rouge, U vert, O bleu: voyelles,
Je dirai quelque jour vos naissances latentes:
A, noir corset velu des mouches éclatantes
Qui bombinent autour des puanteurs cruelles,
golfes d’ombre; E, candeurs des vapeurs et des tentes,
lances des glaciers fiers, rois blancs, frissons d’ombelles;
I, pourpres, sang craché, rire des lèvres belles
dans la colère ou les ivresses pénitentes;
U, cycles, vibrement divins des mers virides,
paix des pâtis semés d’animaux, paix des rides
que l’alchimie imprime aux grands fronts studieux;
O, suprême Clairon plein des strideurs étranges,
silences traversés des Mondes et des Anges:
– O l’Oméga, rayon violet de Ses Yeux!
L’interpretazione delle opere di Arthur Rimbaud risulta ancora oggi ostica e complessa. È stato un poeta controverso: per qualcuno fu << poeta veggente>>, scrittore sperimentale e forse anche «angelo dannato», come disse di lui Paul Verlaine .
Stefano Agosti, linguista e critico letterario, nel suo ultimo libro dedicato al poeta maledetto, dal titolo “Rimbaud” (Il Saggiatore) si avventura nella decifrazione di due opere, forse tra le più enigmatiche della produzione rimbaudiana: il sonetto Vocali (Voyelles) e le due quartine di È dunque almea? (Est – elle almée? )
Nel primo sonetto, secondo una composizione sinestetica e visionaria, il poeta associa le vocali ai colori e successivamente agli oggetti: una correlazione apparentemente insensata. Nella seconda composizione invece, Rimbaud, con il verbo détruire – distruggere – dalle macerie della sua distruzione lessicale e logica, tenta di generare nuovi paesaggi, nuovi linguaggi e nuovi panorami.
Il poeta di Charleville, nel sonetto Vocali, trasforma le lettere in colori e i colori in figure o, come suggerisce Stefano Agosti, in “rappresentazioni del mondo nella sua origine e fine“. Ogni vocale viene associata ad un colore e successivamente ad una serie di immagini che durante una prima lettura sembrano essere assolutamente contraddittorie tra loro; come se il poeta le avesse scelte a caso, senza un ragionevole metodo .
<<(…)candori di vapori e di tende,
lance di ghiaccio, bianchi re, brividi di umbelle>>.
Che cosa hanno in comune dunque, le lance di ghiaccio e i candori di vapori? A leggerli così, d’emblée, sembrerebbe davvero lo sproloquio di un matto. E proprio per questo, per anni, il sonetto Vocali ha presentato grandi difficoltà di decrittazione e di comprensione: nella composizione lirica del poeta francese ogni legame logico viene infranto. La sua è poesia simbolista: ogni lemma, ogni parola evoca qualcos’altro e assume significati diversi da ciò che rappresenta.
Rimbaud si avvale di immagini simboliche e accostamenti alogici, proprio come nei meccanismi dell’inconscio. Ci troviamo nella logica della scena del sogno, della <<grammatica della visione (…) – dice Agosti -. Come insegna Freud, nella scena del sogno non vige né un principio di identità, né successione temporale e progressiva dei fatti, né concatenazione logica degli stessi >>.
La complessità di comprendere l’accostamento di questi oggetti potrebbe essere risolta, o quanto meno ammorbidita, proprio dalla spiegazione di Agosti, ossia del fatto che Rimbaud stia descrivendo scenari onirici, prospettive di sogni. Da qui, quindi, la necessità del poeta di scegliere dispositivi verbali sofisticati, complessi e precisi in modo da rimanere fedele alla visione, ossia a quella che Shakespeare chiamava la “such stuff as dreams are made on”, ovvero la sostanza dei sogni.
Tutti gli oggetti si avvalgono di quello che in economia viene chiamato valore aggiunto. Ogni oggetto citato da Rimbaud ha una sua logica solo se concepito in una dimensione sovra reale, una sorta di fantasy poetico. Questo genere di scrittura simbolista ha il compito di mostrarci la realtà e il mondo sotto una serie di concatenazioni apparentemente assurde. Rimbaud ci mostra il mondo in un modo più ampio, più grande di quanto riusciamo a vedere: “l’aperto (…)lo spazio puro dinanzi a noi, nel quale i fiori s’aprono infiniti. “ come lo definirebbe Rilke.
<<Questa lingua sarà anima per l’anima, riassumerà tutto: profumi, suoni, colori; pensiero che uncina il pensiero e tira>> – dice Rimbaud.
Il perché il nostro Poeta scelga per la sua lirica proprio delle vocali, invece avrebbe due correnti di pensiero. Fra le varie ipotesi formulate finora, una è quella di Gaubert che rimandava all’abbecedario a colori di cui Rimbaud si sarebbe servito da bambino. “Gaubert aveva infatti scovato un alfabeto illustrato dell’Ottocento nel quale le concordanze coi cromatismi vocalici del poeta sono notevoli: la lettera A è nera, la E gialla, la I rossa, la U verde, la O azzurra. Se si esclude la E (ma è stato obiettato che il giallo può stingersi fino a sembrare bianco) la correlazione è perfetta.”
L’altra spiegazione, fornitaci da Stefano Agosti, sarebbe data dal fatto che le vocali sono ‘figure parcellari’ , atomi sonori, particelle autonome che non hanno bisogno di “appoggio”, come nel caso delle consonanti, per essere pronunciate.
Inoltre, la presenza dei colori associati alle vocali, sempre secondo la spiegazione di Agosti, sarebbe da ricercare nei colori dell’arcobaleno. Di notevole bellezza risulta la spiegazione di questo passaggio nel libro di Agosti: l’arc en ciel – termine che compare nella sua lirica Il battello ebbro – in inglese si traduce con il termine rainbow che dà, alla pronuncia, un’emissione fonatoria prossima a quella del nome Rimbaud. Quindi secondo Agosti, “lo spettro dell’iride sotteso a Vocali corrisponde perciò a quella che si può designare come una spettografia del proprio nome“.
Nella seconda parte del libro, Stefano Agosti tenta di spiegarci un altro testo, altrettanto criptico, della letteratura rimbaudiana: È dunque almea?…
Il testo si articola in due blocchi, due quartine che oppongo una visione notturna reale e una visione diurna immaginaria: una visione mista e contrapposta. La prima cosa che però viene da chiedersi è, chi sia o cosa sia Almea.
L’almèe – spiega Agosti – è il nome di danzatrici orientali che possiamo ritrovare anche in alcuni testi di Balzac, Zola, Colette e Nerval. Ma non è l’unica spiegazione che riusciamo ad avere: almea, infatti rappresenta anche la figura di un sapere orale. Una sorta di dio mitologico? Un dio dell’eloquenza? Un Mercurio? Stefano Agosti dice che <<Il senso del vocabolo (almea) oscilla tra la figura di danza e figura di sapere orale>>.
Il testo appare assolutamente fluttuante, galleggiante in una dimensione spirituale più che materiale e fisica; reso incomprensibile da una successione di parole apparentemente senza senso. Non ci sono, in letteratura, altri esempi di un così forte impatto con la definizione di parola notturna, o linguaggio notturno, inoltre, credo, che la cripticità di tali versi è resa maggiore dalla traduzione (francese-italiano) che complica il tutto: perché, ad esempio, <<les fleurs feus>> , nella traduzione italiana si trasforma in i fiori defunti, secondo la spiegazione di Agosti, la traduzione del testo sarebbe <<i fiori che furono>> perché il feu (<<les fleurs feus>>) è un qualcosa che ha vissuto, che è stato.
Il feus vive in una dimensione, per citare nuovamente Shakespeare, di non essere , ma che vive grazie alla memoria. Un’essenza che esiste ancora – nei sogni, nei ricordi – sotto altra forma.
Anche i puntini di sospensione hanno una loro funzione patemica, ossia hanno il compito di evocare uno stato d’animo, il pathos.
La contaminazione degli elementi, la distruzione – secondo Rimbaud – è necessaria affinché si verifichi il pour, ossia la felicità. L’idea di contrapposizione di elementi che richiamano alla distruzione per la genesi ricorda, a mio avviso, la spiegazione dell’àpeiron il Tutto esistente che racchiude in se anche le cose contrarie tra loro, come, ad esempio, il giorno e la notte.
Mentre nel mondo sensibile il giorno, subentrando alla notte, dissolve e distrugge la notte stessa, e così, in un eterno gioco di distruzioni conseguenti, la notte subentrando al giorno dissolve il giorno, l’àpeiron è la dimensione eterna entro la quale tutti i contrari sono custoditi in attesa di essere richiamati nel mondo degli uomini, soggetti alla legge del tempo (solo dove c’è tempo c’è mutamento, e quindi diversità e molteplicità). Ecco come l’àpeiron è il principio di tutte le cose, secondo Anassimandro.
Da notare che per Anassimandro, l’àpeiron non genera le cose casualmente, egli parla infatti di governo dell’àpeiron, esso non è un qualcosa di cieco e insensibile, ma conoscente e vivo, intenzionale.
Credo, e mi permetto di intervenire in prima persona in questa recensione, che almeno una volta nella vita sia necessario leggere perlomeno uno dei capolavori del poeta francese Arthur Rimbaud perché le sue opere, oltre che articolate e difficili, sono estremamente sopraffine e di grandissimo spessore culturale. Rimbaud è il terzo occhio del poeta.
Lessi una volta che tutti coloro che si avvicinano all’opera di Rimbaud abbiano qualcosa in comune, un sostrato profondo che li caratterizza, come dire, un tocco, un carisma di diversità.
Se sia vero o meno non lo so; quello che posso assicuravi è che le opere di Rimbaud sono come un vento che sconvolge l’ordine delle carte, ma da quel caos nascono cose incredibili.
È dunque almea?… alle prime ore azzurre
Si distruggerà come i fiori defunti…
Davanti alla splendida distesa dove si sente
Soffiare la città enormemente florida!
È troppo bello! troppo bello! ma è necessario
– Per la Pescatrice e il canto del Corsaro,
E anche perché le ultime maschere credettero
Ancora alle feste di notte sul mare puro!
Est-elle almée ?… aux premières heures bleues
Se détruira-t-elle comme les fleurs feues…
Devant la splendide étendue où l’on sente
Souffler la ville énormément florissante !
C’est trop beau ! c’est trop beau ! mais c’est nécessaire
— Pour la Pêcheuse et la chanson du Corsaire,
Et aussi puisque les derniers masques crurent
Encore aux fêtes de nuit sur la mer pure !
*Articolo aggiornato al 9 agosto 2018