Reddito di cittadinanza, sempre più sperimentato. Ma funziona davvero?
La Silicon Valley testerà il reddito di cittadinanza dal 2019, già sperimentato in Finlandia e tanto propagandato in Italia durante le elezioni. I dubbi però non sono pochi, a partire dalle eventuali coperture finanziarie
Durante la campagna elettorale che ha preceduto le elezioni italiane tenutesi il 4 marzo, il reddito di cittadinanza è stato uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle. E, se a una parte del popolo è risultato convincente, all’altra niente affatto. Ad oggi, però, vista la situazione in cui questo Paese versa, i primi sono catturati da (non) problemi che una becera politica, in continua campagna elettorale, propina, e sembrano avere anche dimenticato tutto ciò che era stato loro promesso e detto (tra cui, lo stesso reddito di cittadinanza), i secondi vedono i loro dubbi iniziali trasformarsi in certezze, o le certezze di allor riconfermate ora.
Per alcuni, quello garantito e promosso dai pentastellati sarebbe più giusto chiamarlo “reddito minimo garantito“. Si tratterebbe di una forma di sostentamento (elargibile interamente o parzialmente) che lo Stato offre ai cittadini privi di reddito o il cui reddito risulti inferiore alla soglia di povertà. Questa somma di denaro mensile potrebbe essere richiesta solo da chi in possesso di alcuni requisiti come la maggiore età, lo stato di disoccupato, inoccupato o con una pensione inferiore alla soglia di povertà (780 euro). Il reddito, inoltre, è rivolto al nucleo familiare e non a una singola persona.
Tra le altre richieste, i disoccupati dovrebbero iscriversi a un Centro per l’impiego, e circa 8 sarebbero le ore settimanali che dovrebbero essere offerte alla comunità per progetti e lavori socialmente utili. Il beneficiario, poi, oltre a frequentare corsi di qualificazione o riqualificazione professionale e comunicare ogni variazione di reddito, sarebbe obbligato ad accettare una delle prime tre offerte di lavoro che gli si presentano. È opportuno che non receda da un contratto senza giusta causa due volte in un anno. Il costo delle risorse necessarie per finanziare questa forma di sostentamento è elevato, e ancora oggi si discute sul modo in cui ricercarle.
La sperimentazione del reddito di cittadinanza in Finlandia, invece, ha avuto inizio nel 2017. Proposto da un governo conservatore, di centro-destra e pro-austerity, il suo costo è di circa 20 milioni ed è finalizzato a introdurre un nuovo sistema di welfare basato sul reddito di base. I beneficiari dell’assegno di 560 euro al mese sono 2.000 cittadini tra i 25 e i 48 anni (tra questi, non è incluso chi è in possesso di un lavoro); tra i benefici che potrebbe apportare, persone incentivate a cercare lavori che soddisfino maggiormente le necessità, la crescita delle competenze, l’accettazione di lavori che altrimenti sarebbero rifiutati, grazie alla copertura economica. Nonostante lo scetticismo della sinistra e di alcuni esperti internazionali che vi riconoscono un modo per accettare lavori sottopagati, con il reddito di cittadinanza si vuole analizzare quanti, tra i selezionati, abbiano trovato un lavoro, di quanto sia aumentato il benessere e diminuita l’ansia legata alla disoccupazione. Dietro questa analisi c’è la Kela, l’agenzia governativa che gestisce i sussidi e i programmi di sicurezza sociale. Tra questi, Miska Simanainen ha lamentato come il governo abbia messo in atto modifiche lontane dal modello originale del reddito di cittadinanza.
Per rimediare ai lavoratori sostituiti dalla tecnologia e al conseguente calo occupazionale, invece, la Silicon Valley darà il via al reddito di cittadinanza. Il campione è di 3.000 dipendenti, il costo del progetto di 60 milioni di dollari. A guidare la ricerca sarà l’azienda Y Combinator, incubatore di start-up la cui sede è in California, con la collaborazione dell’università del Michigan. Delle 3.000 persone, mille riceveranno uno stipendio fisso di 1.000 dollari annuali per 3 o 5 anni, le altre 2.000, parte di un gruppo di controllo, saranno ripagate con un compenso mensile di 50 dollari. Non sono stati ancora definiti i due Stati in cui lo “Universal Basic Income” verrà attuato e la tipologia di persone alle quali sarà indirizzato.
Le opinioni sul progetto sono diverse: se da un lato c’è chi lo considera positivamente, dall’altro chi vi riconosce un’alternativa allo stato sociale inefficace e costosa. In quella che viene considerata la quarta rivoluzione industriale, la tecnologia è in grado di agire in vari ambiti, dalla salute alla logistica, provocando da un lato la riduzione del fabbisogno di manodopera, l’aumento delle disuguaglianze e l’incremento del numero dei precari, dall’altro la nascita di nuove professioni che avranno a che fare con la Smart manufacturing, come il designer engineer, il digital architect, il data scientist. Meno persone per la stessa quantità di lavoro, ora frutto dell’automazione. Si tratta, però, di lavori e sostituzioni che si inseriscono nei processi produttivo-ripetitivi dal momento che quelli creativi e decisionali sono propri dell’uomo.
“Sono abbastanza sicuro che ad un certo punto nel futuro, con la tecnologia che continua a eliminare i lavori tradizionali, vedremo qualcosa del genere su scala nazionale. Quindi sarebbe una buona cosa rispondere ad alcune questioni teoriche ora. Le persone starebbero a casa a giocare ai videogiochi o creerebbero nuove cose? Si sentirebbero comunque felici e realizzate? Non avendo il problema di non riuscire a mantenersi sarebbero più utili per la società? Chi riceve il sussidio creerebbe più valore economico di quello ricevuto?“, ha affermato Sam Altman, direttore della Y Combinator.
Giorgia Cecca