Copyright: la nuova direttiva europea che divide l’universo (non solo) politico
La nuova direttiva europea sul copyright verrà votata definitivamente a gennaio 2019. Intanto resta acceso il dibattito sulla rettitudine della stessa
“È un buon segnale per l’industria creativa e culturale europea“, dice Axel Voss, eurodeputato popolare tedesco e relatore della nuova direttiva europea sul copyright. Respinta inizialmente il 5 giugno, gli eurodeputati avevano apportato degli emendamenti al testo. La direttiva è stata approvata, in seguito, con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni nel Parlamento europeo, trovando l’assenso di alcuni europarlamentari del PD tra Socialisti e Democratici, di altri di FI nel Partito Popolare Europeo e il dissenso da parte della Lega e del Movimento 5 Stelle, visti come i più “rumorosi” nel contrasto alla direttiva, che, comunque, “va ben oltre i confini di destra e sinistra“.
La nuova direttiva europea sul copyright ha l’ambizione di creare un mercato unico digitale, consapevole di quanto sia obsoleta e non più adeguata ai nuovi contenuti digitali quella del 2011. Si tratta, dunque, di un’operazione di attualizzazione rispetto ai contenuti tradizionali. I colossi digitali dovranno condividere i ricavi con i giornalisti e con gli artisti, musicisti, interpreti, editori e sceneggiatori, remunerati, così, per il loro lavoro quando condiviso da piattaforme digitali come Facebook, YouTube o aggregatori di notizie come Google News.
I creativi possono esigere una remunerazione supplementare da chi sfrutta le loro opere se il compenso originario è basso e sproporzionato rispetto ai benefici che ne derivano. Considerata una “pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini” da Isabella Adinolfi, l’europarlamentare del Movimento 5 Stelle ha anche parlato di “legalizzazione” della censura preventiva e di vittoria del “partito del bavaglio“. Viaggia lungo la stessa linea anche il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, che ha parlato di un atto che “legalizza la censura preventiva” e che attua “uno scenario da Grande Fratello di Orwell“. È per questo che ha promesso battaglia. “Sarà un piacere vedere, dopo le prossime elezioni europee, una classe dirigente comunitaria interamente rinnovata che non si sognerà nemmeno di far passare porcherie del genere. Un messaggio per le lobby: questi sono gli ultimi vostri colpi di coda, nel 2019 i cittadini spazzeranno via“. Toni minacciosi e complottismo non nuovi, purtroppo, a questo Paese.
Al centro delle polemiche ci sono due disposizioni in particolare, gli articoli 11 e 13. Il primo è finalizzato a intervenire sul rapporto tra editori di pubblicazioni giornalistiche e le piattaforme di distribuzione dei contenuti nel web. Il detentore dei diritti potrà reclamare una quota del compenso previsto per gli utilizzi dell’opera. L’uso non autorizzato dei contenuti altrui provoca la violazione del copyright. Si prevede, quindi, una stipulazione di accordi di licenza equi e appropriati con chi detiene i diritti. Se da un lato, però, gli editori accusano i motori di ricerca di servirsi dei loro contenuti senza nessun compenso in cambio, dall’altro le piattaforme credono di fare, di già, gli interessi degli editori.
È possibile, inoltre, che le aziende di Internet rinuncino ai contenuti di un editore per mancato pagamento del compenso. Per questo, si teme un limite di accesso per i cittadini europei alla condivisione e visibilità online delle notizie. L’articolo 13, invece, introduce una verifica preventiva dei contenuti caricati sul web tale da impedire la diffusione di materiali protetti dal copyright. I grandi siti web dovranno munirsi di tecnologie di riconoscimento dei contenuti per individuare video, foto, testi protetti dal copyright. Per far sì che ciò sia possibile, ogni fornitore di servizi online dovrà ottenere una licenza dalle case editrici, discografiche o cinematografiche per poter pubblicare i loro contenuti.
Gli esperti non parlano di filtri o bavagli, ma di cooperazione tra le piattaforme e i titolari di diritti, e di meccanismi in grado di intendere se un determinato contenuto abbia o meno diritti d’autore, così da non violarli. I timori, in questo caso, riguardano le difficoltà nella realizzazione di un tale sistema di controllo, mentre i dubbi sorgono sulla capacità di quest’ultimo di funzionare per tutti i contenuti caricati all’interno dell’Unione Europea. Secondo Wikipedia, si sta pregiudicando la libera circolazione dei contenuti online. Per questo motivo, ha protestato sospendendo il servizio. La direttiva riguarda le grandi piattaforme: sono escluse le enciclopedie online prive di fini commerciali, le piattaforme per la condivisione di “software open source” (come GitHub) e le piccole e micro imprese del web. Sono lasciati al di fuori anche le startup, i servizi di cloud, gli operatori con massimo 250 dipendenti e i portali di commercio elettronico per la vendita di dettaglio di beni fisici.
Davanti alle numerose fake news diffusesi a macchia d’olio e trasmesse incredibilmente dagli stessi politici, il dibattito italiano si è acceso tra esperti di diritto, grandi gruppi editoriali, attivisti e piattaforme online. La FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) ha scritto un appello favorevole alla direttiva, considerata una garanzia per un giusto compenso ai giornalisti e agli editori per la diffusione dei loro contenuti online. Il presidente, Andrea Riffeser Monti, l’ha definita “un’efficace difesa del diritto d’autore nello spazio digitale contemporaneo“. Da un lato, il parere favorevole dell’Associazione Italiana Editori e della Federazione italiana industria musicale, dall’altra quello sfavorevole degli attivisti per la libertà di internet. Secondo Andrus Ansip (vicepresidente per il Digital Single Market) e Mariya Gabriel (commissario per la Digital Economy e Society), l’obiettivo di questa riforma sembra quello “di portare benefici tangibili ai cittadini, ricercatori, insegnanti, scrittori, artisti, giornalisti e istituzioni culturali europei e contribuire a maggiore creatività e salvaguardia della libertà di paura“.
Mogol, presidente della SIAE, parla di vittoria della cultura sui soldi e di equità, di fronte a chi, invece, parla di libertà: “I grandi colossi del web ora dovranno pagare cifre che possono assolutamente permettersi, a fronte dei milioni che incassano. È giusto che ci sia rispetto per la creatività e che si difendano i giovani“, ha dichiarato. Per capire l’opinione degli italiani e di altri 7 Paesi europei, è stata condotta un’indagine online, “Copyright & US Tech Giants“, per opera di Harris Interactive e commissionata da “Europe for Creators”, un movimento di creativi, cittadini e circa 250 organizzazioni a sostegno di questa direttiva.
Sono state consultate 6.600 persone in Europa, delle quali 800 italiane: l’89% di queste ultime è d’accordo con l’approvazione della nuova direttiva europea sul copyright. A gennaio 2019, avverrà la votazione definitiva della stessa.
Giorgia Cecca