Ungheria pronta a cacciare i senzatetto
Ancora linea dura per Viktor Orbán: questa volta ne fanno le spese gli homeless. Ue e ONG contro la nuova legge
L’Ungheria di Viktor Orbán non perde occasione di confermarsi Paese reazionario e ultraconservatore: lo scorso 15 ottobre è entrata in vigore una legge promulgata a giugno contro il vagabondaggio, e dopo soli pochi giorni ha già avuto modo di essere applicata. Venerdì scorso, infatti, un senzatetto di Godoll (nel nord dell’Ungheria) è stato arrestato in flagranza di reato: l’uomo è un ex ingegnere, ormai da diverso tempo non ha una dimora fissa ed era già noto alle autorità per questo motivo. Fermato e in attesa di giudizio, attualmente rischia una multa pecuniaria fino a ventimila fiorini (circa 60 euro).
Secondo le nuove disposizioni, la polizia potrà fermare i senzatetto per multarli o, se recidivi, arrestarli, ordinare la distruzione delle loro abitazioni-baracche abusive e sequestrare le loro pertinenze. La recidività consisterebbe in tre fermi in 90 giorni. La neonata normativa, in realtà, inasprisce un provvedimento già esistente dal 2012, che prevedeva di limitare la vita in strada attraverso sanzioni di 500 euro o addirittura sei mesi di detenzione. Già all’epoca, le misure intraprese dal Governo guidato da Fidesz (partito del premier Orbán) avevano suscitato le critiche di Human Right Watch e dell’organo di difesa civile del Difensore del Pubblico Ungherese, che avevano pubblicamente bollato la normativa come la più restrittiva applicata in Europa.
Stando a Budapest, di cui, sull’argomento, si è fatto portavoce a più riprese il Sottosegretario agli Affari Sociali Attila Fulop, l’obiettivo è “assicurare che i senzatetto non siano in strada di notte e garantire che i cittadini possano fare uso dello spazio pubblico senza impedimenti“. Si tratterebbe, quindi, di misure prese affinché ”i senzatetto non si sentano abbandonati, garantendo – ha sostenuto – un’adeguata condizione di vita” e che si unirebbero ad un intervento di rafforzamento dei centri di accoglienza per homeless, per cui sono stati impegnati 30 mila euro nel budget 2018. I rifugi sono pensati per predisporre non solo posti letto e cibo ma anche beni di prima necessità e la possibilità di avvicinarsi al mercato del lavoro attraverso corsi di formazione. Eppure spesso non sono la prima soluzione scelta da coloro ai quali sarebbero destinati: gli homeless che scappano o rifiutano di alloggiare in questi centri, come nel caso del cittadino di Godoll, per esempio, hanno spesso lamentato furti, violenze o situazioni conflittuali. Preferendo la strada, anche durante il gelido inverno.
L’attuale stima dei senzatetto si aggira intorno alle 20 mila persone, su una popolazione di 9 milioni. Migliaia di persone che rischiano la vita a causa della rigidità del clima o della pericolosità del vivere ramingo. Il problema è all’attenzione di ONG e movimenti per i diritti umani – così come di associazioni nazionali e internazionali per i diritti dei senzatetto. E queste parti si sono dichiarate, di nuovo, apertamente contrarie al nuovo testo di legge.
Domenica scorsa 500 manifestanti hanno protestato a Budapest davanti al Parlamento contro la crudeltà e la criminalizzazione del provvedimento. Per Ivanyi, direttore del gruppo Rifugio (con all’attivo 600 posti letto), “il governo ha fallito nel dialogo con le ONG rispetto al problema degli homeless. L’unico obiettivo della nuova legge – ha continuato – è ripulire le strade, senza occuparsi realmente della qualità delle alternative offerte per gli indigenti”. Anche la FEANTSA, la Federazione Europea per i senzatetto, è sulla stessa lunghezza d’onda: “Il Governo di Orbán ha semplicemente risposto alle pressioni di residenti e commercianti – ha fatto sapere – che collegano la presenza di vagabondi con il livello di sicurezza e di vivibilità della città, criminalizzandoli sia a livello giuridico che sociale”.
Già a metà settembre il Parlamento europeo aveva votato a favore di un’azione contro Budapest “per il rischio evidente di minaccia ai valori dell’Unione” avvalendosi dell’art. 7 del trattato di Lisbona, in virtù del quale l’Ungheria rischierebbe di essere sospesa dal diritto di voto nel Consiglio Europeo.
A fronte delle critiche europee e internazionali, tuttavia, il consenso interno verso il Fidesz non vacilla: il partito di Orbán governa l’Ungheria dall’aprile 2010 ed alle elezioni legislative di pochi mesi fasi è stato confermato con il 48% dei voti. Un consenso dovuto ai successi in politica economica, che vedono l’Ungheria in ripresa, sia proprio alla linea dura verso i migranti e minoranze più deboli, indicati come minacce per la crescita del Paese.
Anche in questo caso, la caccia alle streghe, sembra aver fatto presa.