Adaptation, l’ambiente è protagonista grazie ad Andreco
Il rapporto tra uomo e ambiente è al centro di Adaptation, personale di Andreco alla Galleria Varsi di Roma. Un invito alla riflessione sul forte condizionamento che l’uomo esercita sull’ecosistema, con esiti disastrosi e irreversibili
«Se non ti piace come sono le cose, cambiale! Non sei un albero», diceva John Rohn, motivatore ante litteram e uomo d’affari americano di successo che vedeva negli alberi un simbolo di accettazione rinunciataria. A ben osservarle, invece, queste piante legnose rappresentano un esempio di adattamento: impossibilitate alla fuga, sviluppano delle soluzioni per affrontare le minacce dell’ambiente.
Proprio agli alberi si è ispirato Andreco per Adaptation la personale curata da Chiara Pietropaoli e allestita alla Galleria Varsi di Roma. Dottorando in ingegneria ambientale e artista visuale, Andreco da sempre esplora nei suoi lavori il rapporto uomo ambiente per indurre lo spettatore ad avere una maggiore consapevolezza dei profondi cambiamenti che l’azione dell’uomo produce sull’ambiente.
Si tratta di temi stabilmente presenti sull’agenda dei media: l’inquinamento atmosferico da combustione di idrocarburi, l’inquinamento di acque e suolo per la presenza ad esempio di micro plastiche, il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento del livello dei mari, l’estinzione di specie animali, la deforestazione, lo sfruttamento intensivo delle risorse geologiche. L’elenco è lungo. Insomma la vita sulla Terra è minacciata e i colpevoli siamo noi. Uno scenario che lascia presagire derive catastrofiche.
Ufficialmente per la geocronologia la fase della vita del nostro Pianeta nella quale ci troviamo viene definita Olocene, epoca geologica la cui datazione, per convenzione, è iniziata circa 11mila anni fa. Per molti scienziati ci troviamo già in una “nuova” era geologica definita Antropocene, dove l’attività dell’uomo è il fattore scatenante di cambiamenti profondi nell’evoluzione del pianeta. L’intervento umano altera irrimediabilmente gli equilibri della terra, sconvolgendoli. Il termine Antropocene è stato coniato all’inizio degli anni Ottanta dal biologo statunitense Eugene Stoermer e poi ripreso e reso celebre dal chimico premio Nobel Paul Crutzen.
Affinché una nuova era geologica sia ufficialmente riconosciuta, lo strato geologico attuale deve essere differente da quello precedente secondo parametri chimici fisici e paleontologici che siano riscontrabili globalmente. Quindi prima che l’Unione Internazionale di Scienze Geologiche formalizzi questo cambiamento sulla scala geologica, la Commissione Internazionale di Stratigrafia deve valutare numerosi dati che possano resistere alla prova del tempo, si parla di milioni di anni.
All’edizione 2018 del Toronto International Film Festival i registi Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier e il pluripremiato fotografo Edward Burtynsky hanno presentato il film Anthropocene: The Human Epoch una riflessione inquietante e allo stesso tempo affascinante sull’attitudine della specie umana a voler forgiare la natura, piegandone i limiti ad ogni costo, anche quello dell’autodistruzione.
In questo contesto si inserisce il lavoro di Andreco come una risposta non di semplice denuncia o presa di atto della situazione, ma come una forma di attivismo dove arte e scienza dialogano per rendere la prima alla portata di molti, per restituirci il senso di responsabilità rispetto al pianeta che ci ospita e che ci è dato soltanto in prestito.
Le 22 opere esposte traducono in immagini e simboli dalle linee essenziali i dati scientifici. Il grafismo elegante, minimale e geometrico rende iconicamente chiari i temi affrontati. Ci sono le inconfondibili pietre, rigorose col loro nero pieno bordato di bianco. Qua e là accenni oro e argento, ma l’alfa e l’omega dei colori prevalgono. Sulle tele sfilano bioindicators, miceti, batteri, coralli. Un omaggio alla biodiversità e alla complessità dell’ecosistema. Con Ice hole e Ice island l’attenzione è sui ghiacciai mezzi sciolti e alla deriva e tutto l’atroce effetto domino che questo comporta.
C’è la tela Muricinari project sull’omonimo progetto di Andreco in collaborazione con De Gayardon Bureu e Paride Piccinini vincitore del primo premio del concorso internazionale di architettura del paesaggio di Jazzi e ora selezionato per la Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.
II percorso conduce a una parete nera dall’eloquente frase The world without us, per ribadire la gravità della situazione: se non ci si prende carico della sostenibilità ambientale, con un’oculata gestione delle risorse e riducendo i fattori inquinanti, la strada è segnata.
Ma l’artista punta a infondere un senso di responsabilità personale e collettiva di fronte alla catastrofe e diventa manifesto la tela Struggle, un inno alla resilienza degli alberi. La stessa che possiamo apprendere e applicare facendo scelte quotidiane ecologicamente consapevoli.
Adaptation è ospitata fino al 10 novembre
Galleria Varsi
Via di Grotta Pinta 38, Roma
Galleriavarsi.it