Midterm 2018, la vittoria del cambiamento?
Le elezioni di Midterm del 6 novembre rischiano di rivoluzionare il panorama culturale, politico e sociale statunitense
I democratici alla Camera, i repubblicani al Senato: è il risultato delle elezioni di Midterm svoltesi il 6 novembre negli Stati Uniti. Le elezioni di Midterm – che potrebbe tradursi come “metà mandato”, o “medio termine” – sanciscono il rinnovo dei membri della Camera dei rappresentanti (il cui mandato dura 2 anni), di 1/3 dei membri del Senato (con un mandato, invece, di 6 anni), di parte del Congresso, delle assemblee legislative locali, dei governatori di alcuni stati e il voto su alcune proposte di referendum in alcuni territori (tra cui, l’aborto e la legalizzazione della cannabis per uso ricreativo/medico).
Ogni 4 anni, a metà del mandato presidenziale, i cittadini americani sono chiamati a rinnovare il Parlamento per un bilanciamento del potere del Presidente (gli exit poll dicono che circa 2/3 degli elettori hanno considerato le elezioni di Midterm come un voto su Donald Trump). Elezioni importanti sia dal punto di vista della politica interna che sul piano internazionale e finanziario (in ogni caso, una sconfitta di Trump porterebbe a un indebolimento del sovranismo europeo).
Si tratta, infatti, anche di una sorta di giudizio sull’operato dell’amministrazione in carica che potrebbe portare, dunque, a un ribaltamento degli equilibri del Congresso. Il periodo che ha preceduto le medesime elezioni è stato caratterizzato da una vera e propria campagna elettorale. Da un lato, Trump ha puntato sulla paura, sulla lotta a una presunta “invasione” di migranti e allo ius soli; dall’altro, Barack Obama ha definito il suo avversario come “bugiardo” e seminatore di odio e paura. “L’America è a un bivio, in queste elezioni sono in gioco i valori del nostro Paese e le conseguenze possono essere pericolose” – ha aggiunto l’ex presidente – “abbiamo visto ripetuti tentativi di dividerci con una retorica pensata per renderci arrabbiati e timorosi, per sfruttare la nostra storia di divisioni razziali, etniche e religiose, per metterci l’uno contro l’altro e farci credere che l’ordine sarà in qualche modo ripristinato se non ci saranno persone che non sembrano come noi, o che non amano come noi, o che non pregano come noi“.
Quella dei democratici è stata descritta dall’attuale presidente come “un’onda criminale”, ingiustificatamente: la stessa con cui oggi sarebbe pronto a negoziare – in quanto vincitrice di queste elezioni di Midterm. “Il boom dell’economia? Non è merito dei Donald Trump e dei repubblicani”, ha affermato Obama, “quando sono arrivato alla Casa Bianca ho dovuto risolvere i problemi che ci avevano lasciato“, riferendosi alla crisi dei mutui subprime. “È in gioco il carattere del nostro Paese, i suoi valori”, ha concluso. Accusato di razzismo, invece, lo spot prodotto a fine propagandistico dal comitato elettorale di Donald Trump: la sua trasmissione a pagamento, infatti, è stata rifiutata subito dalla CNN, dalla NBC (dopo che ne ha trasmesso una versione breve durante un intervallo di una partita di football) e dalla Fox News. Facebook, invece, ne ha impedito la sponsorizzazione a pagamento.
Lo spot accusato, dunque, parlando dei migranti attraversanti il Messico per il raggiungimento degli Stati Uniti, li ha descritti come una minaccia, sostenendo (senza prove) che tra di loro ci siano criminali e terroristi islamici, motivo che ha portato allo schieramento di alcuni soldati per controllarli. Si concentra, in seguito, su Luis Bracamontes, un uomo messicano immigrato negli Stati Uniti che, nel 2014, è stato condannato per l’uccisione di due poliziotti. Un modo, dunque, per accusare i democratici di averlo fatto entrare e restare nel Paese. Falso: Bracamontes, infatti, è stato espulso nel 1997, e, rientrato tra il 2001 e 2002, è stato riespulso. Nel 1998, invece, è stato arrestato per traffico di droga e rilasciato per motivi poco chiari dallo sceriffo Joe Arpaio, sostenitore di Trump. È lecito chiedersi e provare a cercare quale sia il legame tra queste storie ed è normale non trovarlo poichè inesistente.
Le elezioni di Midterm hanno rispettato, in ogni modo, le aspettative dei più. Dopo 8 anni, i democratici hanno conquistato il controllo della Camera, strappando, inoltre, ai repubblicani sette seggi di governatori. Si tratta di un cambiamento reale, del vero “nuovo che avanza”. I giornalisti americani hanno parlato molte volte di “pink wave” (onda rosa), dal momento che si è trattato delle elezioni con il più alto numero di candidate – ma anche di latini, afroamericani, appartenenti alla comunità LGBT.
Ilhan Omar, somala-americana, è la prima ex rifugiata eletta e la prima donna musulmana che ha indossato l‘hijab al Congresso. “The Intercept” l’ha definita come “il peggior incubo di Donald Trump perché rappresenta tutto quello che il presidente detesta: l’Islam, i rifugiati, i neri, l’Africa, le donne e i progressisti“; il suo programma prevede l’eliminazione delle rette universitarie per famiglie che guadagnano meno di 125 mila dollari l’anno, la riforma del sistema di giustizia criminale e la creazione di un sistema di immigrazione più equo. Christine Hallquist è, invece, la prima governatrice transgender che sia stata eletta. Ayanna Pressley entra nella storia come la prima donna afroamericana eletta alla House of Representatives in Massachussets (è stata, in passato, anche la prima afroamericana eletta nel consiglio comunale di Boston).
Rashida Tlaib, invece, è la prima donna musulmana, figlia di migranti palestinesi, ad entrare nel Congresso: candidata nel suo distretto democratico in Michigan, ha concentrato la campagna congressuale sul salario minimo di 15 dollari, sull’assistenza sanitaria per tutti e sull’abolizione dell’ICE (l’agenzia federale che si occupa del controllo dell’immigrazione negli USA). Deb Haaland, nativa americana eletta nel Congresso, ha proposto un salario minimo di 15 dollari, l’assistenza sanitaria e l’impeachment di Trump. Nel Kentucky, ha ottenuto la vittoria la democratica Amy McGrath;
Antonio Delgado, invece, è il primo rapper (poi avvocato aziendale) eletto al Congresso nella storia americana. In Colorado, Jared Polis è il primo governatore di uno Stato americano dichiaratamente gay: nel suo programma, la scuola materna per tutti, l’abrogazione della pena di morte e leggi più dure sulle armi. Nel Kansas, Sharice Davids ha battuto Kevin Yoder ed è divenuta la prima deputata lesbica; è, inoltre, la prima donna nativa americana eletta nel Congresso. Alexandra Ocasio-Cortez è la donna più giovane mai eletta al Congresso: 29 anni, nata nel Bronx, militante nei Democratic Socialists of America e organizzatrice della campagna delle primarie del 2016 di Bernie Sanders. Alle elezioni del 26 giugno, ha battuto Joe Crawley; si definisce “socialista democratica” e combatte per le minoranze etniche e sessuali, per i diritti delle donne, per la cittadinanza per tutti gli immigrati, per una piattaforma fatta di sanità universale, per il college gratuito per gli studenti universitari e per vincoli restringenti per la lotta all’emergenza del deterioramento ambientale.
Una reazione delle minoranze etniche a una presidenza che criminalizza i lavoratori stranieri e senza documenti e creatrice di un clima odio nei confronti di tutti gli immigrati. In Virginia, uno scontro tra donne per la Camera: la democratica Jennifer Wexton ha vinto contro la repubblicana Barbara Comstock. Nel dodicesimo distretto della California è stata rieletta la democratica Nancy Pelosi, nel ventisettesimo della Florida la democratica Donna Shalala. Eletta per i repubblicani, Marsha Blackburn è la prima donna a vincere in Tennessee nonostante lo scoraggiamento subito da parte dei suoi colleghi. Ha definito “maiali sessisti” chi pensava non riuscisse a vincere.
In Georgia, dove i repubblicani hanno vinto negli ultimi vent’anni, è arrivata Oprah Winfrey per sostenere i democratici e Stacey Abrams, che potrebbe essere la prima donna e la prima afroamericana a ricoprire un incarico nella storia dello Stato. “I democratici in Georgia a volte lasciano milioni di voti sul tavolo. Non perché gli elettori non li voterebbero, ma perché nessuno chiede loro di farlo“, ha dichiarato. “Dobbiamo creare una coalizione delle minoranze e convincere di nuovo loro, prima di provare a convincere (come invece chiedono dal quartiere generale di Washington) gli elettori repubblicani a cambiare idea”, ha continuato. Suo avversario politico, il repubblicano Brian Kemp.
Si tratta di elezioni simboliche e importanti anche per lo scandalo legato alla registrazione delle persone nelle liste elettorali: Kemp, segretario di Stato, è a capo dell’ufficio che supervisiona il processo elettorale e, nonostante le polemiche suscitate da questo suo ruolo, non ha voluto presentare le dimissioni. È, inoltre, accusato di aver limitato, nel corso degli anni, l’accesso ai registri elettorali ai cittadini appartenenti a minoranze etniche. Kemp, colui che è fiero di possedere armi, esibisce un pick-up che dice userà “per rastrellare immigrati clandestini“. Nonostante, inaccettabilmente e ingiustamente, Brain Kemp ne stia uscendo da vincitore, Stacey Abrams non riconosce l’insuccesso e, così, afferma: “sono qui per dirvi che ogni voto deve essere contato, ci sono ancora voci che devono essere ascoltate”.
Sono almeno 99 le donne che copriranno delle cariche. Kelly Dittmar del “Center for American Women and Politics aRepubblica” ha dichiarato che “le donne sono ancora sottorappresentate in politica. Il 2018 sarà l’anno delle donne solo se batterà il record del 1992: quando nonostante la denuncia di Anita Hill, il giudice Clarence Thomas approdò alla Corte Suprema un numero record di donne corse per un seggio al Congresso. All’epoca le novizie della politica elette furono 28. Solo superando quel numero potremo parlare di nuova onda rosa”. Queste, sono storie che hanno superato barriere che sembravano insuperabili e per questo è necessario raccontarle.
Tra le novità, alcune riconferme in Senato, come Bernie Sanders nel Vermont, Elizabeth Warren nel Massachussetts e Tim Kaine in Virginia. In Texas, invece, il repubblicano Ted Cruz ha sconfitto il democratico Robert Francis O’Rourke (detto “Beto”), che a molti ricorda Barack Obama e Bob Kennedy; una sconfitta vista da alcuni come mezzo per arrivare alla Casa Bianca. Il candidato repubblicano Dennis Hof, inoltre, è morto durante la campagna elettorale ma ha comunque vinto, contro i democratici, un seggio nell’Assemblea legislativa dello Stato di Nevada (oggi, ovviamente, scoperto).
Nonostante la chiarezza del risultato di queste elezioni di Midterm, Trump non vuole ammettere la sconfitta subita alla Camera e, così, ringrazia tutti come se nulla fosse successo, come se una parte del popolo non avesse messo in atto questa importante rivoluzione. “Un enorme successo questa sera. Grazie a tutti”, ha twittato. “La storia si ripete”, ha affermato Paul Ryan, speaker repubblicano della Camera, “un partito al potere deve sempre affrontare sfide difficili nelle sue prime elezioni di Midterm”. E ancora: “Mi congratulo con i democratici per la nuova maggioranza alla Camera e con i repubblicani per avere mantenuto il Senato. Non serve un’elezione per sapere che siamo una nazione divisa, e ora abbiamo una Washington divisa. Come Paese e come governo dobbiamo cercare un terreno comune”.
Un tema, però, che avrebbe dovuto decisamente dominare la campagna elettorale era l’economia, visti i dati positivi che l’America presenta sull’occupazione, il Pil, la produzione industriale e i salari. La disoccupazione, infatti, è scesa ai minimi dal 1969, mentre la Borsa è ai massimi. Il presidente, invece, ha puntato tutto sull’immigrazione parlando, incredibilmente, di un’inesistente “invasione di teppisti molto cattivi e membri di gang”. Secondo gli analisti di Amundi, due sono i possibili scenari che potrebbero presentarsi: in un caso, i democratici potrebbero mostrarsi concilianti con i repubblicani creando accordi in ambiti come le infrastrutture (con un aumento annuo della spesa infrastrutturale di 30 miliardi di dollari, si avrebbe un aumento, nel 2019, di circa 9 punti percentuali nella produzione di ingegneria e un consumo di cemento di circa 6); nell’altro, i democratici potrebbero fare ostruzionismo su tutto e far partire inchieste sul Presidente e sui suoi collaboratori. Per attivare la procedura di impeachment di Trump, i democratici avrebbero bisogno dei voti dei repubblicani, precisamente dei 2/3 della maggioranza.
Le inchieste di cui si parla, invece, riguardano le interferenze di Mosca e le possibili collusioni tra la campagna elettorale di Trump e il Cremlino, nel 2016. Il deputato democratico Adam Schiff, infatti, ha promesso il rilancio dell’inchiesta sui legami tra i due. A questo proposito, Trump ritiene che i democratici debbano smettere di indagare su di lui. “È passato tanto tempo e non hanno trovato nulla, perché non c’è nulla”, e ha continuato: “possono giocare a questo gioco ma noi possiamo giocare meglio, io di solito sono più bravo”. Un duro attacco è partito anche nei confronti dei media: “Abbiamo vinto nonostante ci sia stata una copertura dei media ostile ai repubblicani”.
Uno scontro ha animato la conferenza stampa: quando un corrispondente della CNN della Casa Bianca ha ricordato a Trump come i migranti, in realtà, siano povera gente a differenza di come lui li ha descritta, il presidente gli ha dato del maleducato e nemico del popolo, “la CNN dovrebbe vergognarsi di averti come corrispondente della Casa Bianca. Io governo, tu pensa alla CNN”. Il personale della Casa Bianca ha cercato di zittire il giornalista, togliendogli il microfono. Stesso atteggiamento quello tenuto, in seguito, con un’altra giornalista.
Grazie alla vittoria dei Blu (democratici), l’Obamacare potrebbe essere salvo, i Dreamers (i giovani immigrati in America da piccoli con i loro genitori) dovrebbero essere tutelati, potrebbe esserci una stretta sulle armi, investigazioni sulle dichiarazioni dei redditi passate di Trump sul suo patrimonio, il blocco a un nuovo taglio delle tasse per la middle class e un ridimensionamento della guerra commerciale. Il presidente, ora definito “anatra zoppa”, a seguito delle elezioni di Midterm, ha già annunciato il licenziamento del ministro della Giustizia, Jeff Gessions, poiché ha voluto tutelare l’inchiesta del Russiagate e dichiara di far cessare ogni speranza di negoziazione con i democratici nel caso in cui le Commissioni della Camera, dal 20 gennaio democratiche, cominciassero a indagare sulla sua Amministrazione.
Nonostante le evidenti divisioni, parte del popolo americano ha deciso di ripartire e lo ha fatto votando il vero e possibile cambiamento.
Giorgia Cecca