Con Bohemian Rhapsody rivive il mito di Freddie Mercury
Il regista Bryan Singer in Bohemian Rhapsody rende omaggio ad uno dei personaggi musicali più amati nel secolo scorso: Freddie Mercury. E ai Golden Globes arrivano anche due premi
Entrare in punta di piedi nella vita di un artista. Raccontare tutto di lui, o, vista la caratura del personaggio, una parte importante della sua vita. Questo ha fatto Bryan Singer in Bohemian Rhapsody, premiato all’ultima edizione dei Golden Globes miglior film drammatico.
Una pellicola che racconta le gesta di uno dei migliori cantanti del Ventesimo secolo, Farrokh Bulsara, uomo consacratosi al mondo col nome di Freddie Mercury, interpretato magistralmente da Rami Malek, miglior attore protagonista ai Globes per la sua interpretazione.
Riuscire a raccontare la vita di un artista di cui si è detto e scritto tutto ed il contrario di tutto, non è mai facile. Il regista è stato bravo nel farlo, riuscendo a far comprendere alcuni aspetti della sua vita senza mai mancargli di rispetto. Tratta il tema dell’omosessualità con importanza ma senza ricorrere a scene che avrebbero potuto tediare lo spettatore.
Mercury è stato uno dei personaggi più controversi della storia della musica. Il nome che ha dato alla sua band di cui facevano parte anche Bryan May, Roger Taylor e John Deacon, i Queen, è inadatto per un quartetto maschile, ma d’impatto. Questi quattro ragazzi, credendo nelle loro idee hanno avuto il coraggio di vivere la loro carriera al limite, col piede pigiato sull’acceleratore, in un mondo che veleggiava prudente a velocità di crociera. Il film ben evidenzia come la determinazione con la quale portavano avanti le loro idee fosse più forte dei muri impostigli dalle case discografiche. “I Queen sono una band in cui tutti devono riconoscersi” questo, rispondevano fieri i membri di questo gruppo a chi, provava ad imbrigliarli in schemi predefiniti.
Il film poi, come in realtà tutta la vita di Mercury, gira attorno al suo rapporto con Mary Austin, che per lui sarà una compagna di vita alla quale dedicherà una delle canzoni più famose del gruppo, Love of My Life.
Lei, assieme ai tre membri della sua band rappresentano uno scudo per Bulsara, il quale se ne renderà conto solo quando ormai la malattia sta prendendo il sopravvento su di lui. L’alchimia, l’amalgama che questi ragazzi sono stati capaci di creare è ben messa in mostra dall’opera di Singer.
Ci sono momenti nella vita di ogni artista in cui attraverso la sua arte vuole darci un segnale su qualcosa che gli sta succedendo, vuole inviare un messaggio. Questo passaggio nella vita artistica di Mercury avviene al Live Aid manifestazione organizzata il 13 luglio 1985, per raccogliere fondi per l’Africa.
Fu un evento planetario, al quale parteciparono i più grandi musicisti dell’epoca ed anche, ovviamente, i Queen. Delle otto canzoni realizzate nel tempo a loro dedicato tre sembrano eseguite dal frontman per dare un segnale. Attraverso le note di Bohemian Rhapsody si ha l’impressione che il cantante avesse voluto congedarsi “idealmente” dai suoi cari; con Hammer To Fall, traccia un bilancio della sua vita e con We Are The Champions, esprime il suo ringraziamento ed il suo commiato ai suoi compagni di viaggio che gli sono rimasti sempre fedeli, May, Deacon e Taylor.
Raramente, in 20 anni, mi è capitato di vedere un pubblico che, ancora con le lacrime agli occhi, applaudisse spontaneamente alla fine della proiezione di un film. Basta questo particolare per descrivere le emozioni che questa pellicola è in grado di dare.
https://www.youtube.com/watch?v=ktYlzVYQbwY