Bangladesh, la sanguinosa vittoria di Hasina
Si sono svolte le elezioni parlamentari in Bangladesh che hanno visto trionfare Sheikh Hasina; ma il vero vincitore, purtroppo, è stato il sangue
“Esortiamo la Commissione elettorale a cancellare immediatamente questi risultati. Chiediamo che le nuove elezioni si tengano il prima possibile, affidate a un governo neutrale”. Il candidato Kamal Hossain commenta così il risultato delle elezioni per il rinnovo del Parlamento in Bangladesh, tenutesi il 30 dicembre: sconfitto dalla rivale Sheikh Hasina, le ha descritte come una “farsa”.
Come ha reso noto il segretario della Commissione elettorale, Helal Uddin Ahmed, con un’affluenza vicina all’80%, le elezioni sono state vinte dalla Lega Awami di Sheikh Hasina, che ha conquistato 288 dei 298 seggi dell’unica camera parlamentare – lasciandone una piccola quantità ai partiti dell’opposizione – riconfermando, così, il suo quarto mandato – il terzo consecutivo.
I risultati non hanno suscitato stupore: alla vigilia delle votazioni, una fonte locale riteneva che le prospettive per il voto fossero poche. “C’è una gran confusione che regna sovrana in tutto il Paese“, aveva dichiarato,”l’esito sembra scontato, dato che l’opposizione è stata neutralizzata. A meno di qualche sorpresa, ci si aspetta una conferma del mandato per la premier Sheikh Hasina“. Tra i rieletti, c’è Jowel Areng, l’unico deputato cattolico presente in Parlamento. In totale, infatti, vi erano otto candidati cristiani: per molti, dunque, è la dimostrazione di un rinnovato interesse per i temi politici da parte di questa minoranza religiosa. Gloria Sarker ha corso per la Lega: “Io sono al servizio di tutte le persone di ogni religione. Sono proprio loro ad avermi incoraggiato a candidarmi. Spero di poter ottenere i voti necessari per continuare a servire il nostro popolo“, aveva dichiarato. Per l’opposizione, il candidato John Gomes sperava di ottenere la nomination finale.
Sheikh Hasina è la figlia di Sheikh Mujibur Rahman, che dichiarò l’indipendenza del Bangladesh dal Pakistan, diventando il Primo ministro tra il 1971 e il 1975 – anno in cui venne deposto e assassinato, durante un colpo di stato organizzato dall’esercito preoccupato del suo crescente autoritarismo. In seguito, prese il potere Ziaur Rahman, fondatore del Partito Nazionalista Bengalese (BNP) – ucciso, a sua volta, nel colpo di stato del 1981. Gli succedette sua moglie, Khaleda Zia, eletta prima ministra dal 1991 al 1996 e dal 2001 al 2006 – e condannata, in seguito, per corruzione, con l’accusa di appropriazione indebita dei fondi destinati alla costruzione di un orfanotrofio (tra gli arrestati, l’ex ministro degli Interni, Mohammed Nasim, l’ex ministro di Stato, Mohiuddin Khan Alamgir della Lega Awami, l’ex ministro delle Comunicazioni, Namzul Huda e altri ministri del Bnp). Si è trattato della più significante ondata di arresti avvenuta successivamente alla proclamazione dello stato di emergenza a seguito dei tumulti di piazza, conseguenti all’importante scadenza elettorale: rinviate le elezioni e creato un governo ad interim, sono state avviate queste azioni anti-corruzione. Kamal Hossain, fautore della Costituzione, avvocato di Oxford, leader del Gano Forum (partito formatosi dalla fazione separatista della Lega Awami) ed ex ministro degli Esteri durante il governo del padre di Hasina, ha sostituito Khaleda Zia ponendosi, così, a capo dell’opposizione composta dal BNP, dal gruppo islamico Jamaat-e-Islami e altri partiti.
Sovrano indiscusso della campagna elettorale e delle stesse elezioni è stato il sangue: più di 600 mila gli uomini delle forze di sicurezza chiamati a pattugliare, mentre tra arresti (almeno 21 mila) e atti violenti, solo il 30 dicembre sono state contate 19 vittime causate dagli scontri tra la polizia e i militanti dei due partiti principali. Numerosi anche gli episodi di frodi, irregolarità e manipolazioni elettorali: a questo proposito, un corrispondente della BBC ha dichiarato di aver visto scatole piene di schede compilate in un seggio di Chittagong, prima della sua apertura; il reporter, inoltre, ha verificato come anche in altri seggi erano presenti solo i funzionari del partito al governo. Alcuni elettori, invece, sono stati privati del diritto di voto: mandati a casa, è stato detto loro che il loro voto era stato di già espresso. Nei seggi elettorali, inoltre, non sono stati rimossi i manifesti elettorali e si aggiravano liberamente uomini del partito vincitore; quando si chiedeva di incontrare alcuni rappresentanti dell’opposizione, veniva indicata gente a caso. È ciò che è accaduto al giornalista Francesco Radicioni.
Tra le vittime, tre erano appartenenti alla Lega Awami (di cui uno linciato a Sylhet), otto, invece, attivisti del BNP. Migliaia gli arrestati. Numerosi candidati dell’opposizione hanno denunciato di essere stati oggetto di attacchi fisici; il parlamentare del Partito Nazionalista, Zahiruddin Swapan, ha accusato alcuni funzionari della sicurezza di aver isolato la sua casa. Repressione, intimidazioni e violenza inaccettabili: circa 70 dei candidati dell’opposizione si sono rifiutati di fare campagna elettorale a causa delle minacce subite, mentre lo stesso Hossain ha dichiarato di aver subito un’aggressione dai sostenitori della Lega prima di un comizio a Mirpur. Una violenza non nuova, dal momento che, a settembre, già 200 membri del BNP erano stati arrestati durante la partecipazione a una manifestazione pacifica in cui si chiedeva il rilascio di Khaleda Zia. Nonostante i raduni fossero stati autorizzati dal governo, infatti, era stato consentito l’arresto arbitrario, come ha affermato Ruhul Kabir Rizvi. Da tempo le organizzazioni per i diritti umani denunciano il clima di repressione presente nel territorio, le sparizioni di attivisti e le accuse escogitate con il fine di distruggere l’avversario politico di turno; sul fronte dei Rohingya, queste ultime hanno, invece, elogiato l’ospitalità che Hasina ha offerto a 700 mila profughi islamici fuggiti dall’Arakan birmano. Durante le elezioni del 2014, invece, quando il BNP aveva chiesto di boicottare il voto per protestare contro Hasina, 19 furono i morti e molti gli arresti arbitrari.
Considerate da molti come “militarizzate“, queste elezioni sono state una sorta di referendum sul governo autoritario di Hasina, ritenuta dai suoi sostenitori “la madre dell’umanità”. Durante la campagna elettorale, Facebook ha annunciato ad Associated Press di aver chiuso almeno 15 pagine a causa della diffusione di notizie false a favore del governo; Twitter, invece, ha sospeso 15 profili legati al governo “per aver iniziato azioni coordinate di manipolazione della piattaforma“. La connessione internet è stata sospesa o rallentata a intermittenza: l’opposizione pensa si sia trattato di un piano studiato per indebolirla e danneggiarla dal momento che i siti divenuti inaccessibili erano vicini ad essa. Oscurata anche la posizione indipendente della Jamuna TV: “Stiamo ancora trasmettendo, ma nessuno ci può vedere a causa del black-out“, ha dichiarato il direttore, Fahim Ahmed. Secondo Reporter Senza Frontiere, su 180 Paesi il Bangladesh è al 146esimo posto per la libertà dei media: la legge sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, infatti, colpisce, punendola, qualsiasi comunicazione elettronica che “tende a depravare o corrompere” l’immagine dello Stato.
Serious press freedom violations mar elections in #Bangladeshhttps://t.co/8UZrSu4eSq
— RSF in English (@RSF_en) January 2, 2019
Fondamentali per la vittoria della Lega di Hasina è stato lo sfruttamento della guerra del 1971 per giustificare l’imposizione autoritaria del governo e la crescita economica del Paese, dati la triplicazione del reddito pro capite dal 2009 ad oggi, il tasso di crescita superiore al 6 per cento, la disoccupazione all’11 per cento, il miglioramento delle infrastrutture e l’aumento dell’accesso alle cure; secondo alcuni critici, dietro la crescita vi sono gravi violazioni dei diritti umani – dato lo sfruttamento dei lavoratori trattati come schiavi. Decisive anche le promesse fatte durante la campagna elettorale: da un lato, la Lega Awami aveva promesso un aumento del PIL fino al 9%; dall’altro, il BNP aveva garantito l’aumento del salario minimo dei lavoratori del settore tessile, dei prezzi del gas e dell’elettricità, e una maggiore autonomia della Banca Centrale.
Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, preoccupato, aveva chiesto “a tutte le parti interessate di garantire un ambiente privo di violenza, intimidazione e coercizione prima, durante e dopo le elezioni”. In Italia, invece, in occasione di una conferenza stampa organizzata dal BNP alla vigilia delle elezioni, Dhali Nasir Uddin, segretario del Partito Nazionalista del Bangladesh, chiedeva al governo della Repubblica Italiana e alle istituzioni europee di “intervenire per fermare la persecuzione politica che il governo del Bangladesh sta compiendo nei confronti di propri cittadini”. “In Bangladesh la giustizia non esiste”, aveva, inoltre, affermato. I componenti del BNP hanno dichiarato di non poter tornare in Paese, “se dovessimo tornare ci ucciderebbero senza restituire i nostri corpi alle famiglie. La nostra unica colpa è quella di chiedere libertà e democrazia”.
In un territorio in cui i giornalisti che scrivono e denunciano vengono ammazzati, in cui chiunque scenda in piazza viene punito (anche con la morte), reso invisibile o arrestato arbitrariamente, in cui le diseguaglianze sono evidenti e intollerabili, e regna l’ingiustizia, a pagare con la propria pelle l’ascesa e la deriva autoritaria del Bangladesh sono, dunque, i cittadini, che cercano di resistere nonostante la violenza gratuita e ingiustificata e le misure repressive adottate nei loro confronti. Nonostante la negazione dei diritti fondamentali dell’essere umano, purtroppo ovunque sempre più frequente.
Giorgia Cecca