Qatar 2022, i mondiali di calcio senza diritti
Il prossimo mondiale di calcio verrà disputato in Qatar, ma dall’assegnazione alla condizione dei lavoratori sono molti i problemi che ruotano attorno alla rassegna iridata che si disputerà nel 2022 nel Paese arabo
La prossima rassegna iridata si avvicina a grandi passi. Nel 2022 il Qatar ospiterà i primi mondiali di calcio disputati in inverno. Una scelta dovuta alle alte temperature raggiunte nella stagione estiva in questo piccolo Paese della Penisola arabica.
Molte ombre si celano però dietro l’assegnazione della prossima edizione della Coppa del Mondo. Per esempio le accuse di corruzione che fecero presagire l’addio del capo della FIFA, Joseph Blatter, nel 2015, oppure la campagna di contro informazione rivelata dal giornale britannico Sunday Times che il Paese arabo avrebbe messo in piedi per screditare gli altri Paesi candidati a ospitare i mondiali.
Ma è un’altra grave questione a incombere su Qatar 2022: ci riferiamo allo sfruttamento e al maltrattamento degli operai che lavorano per i mondiali: i problemi di diritti umani sono molteplici, senza considerare la cittadinanza, dato che si può ottenere solo per nascita ed è tramandata di generazione in generazione.
L’unica legge che regola i rapporti lavorativi è denominata Kafala e prevede che un operaio possa cambiare il suo posto di lavoro solo se ha precedentemente ottenuto il permesso dal proprio datore di lavoro. Il tutto anche in presenza di abusi o sfruttamento da parte di quest’ultimo. Il datore di lavoro diventa quindi una sorta di “padrone” e i dipendenti in questo modo sono impossibilitati a lasciare il Paese.
Molte persone sono morte durante la costruzione degli stadi che ospiteranno la rassegna iridata. Ma quasi non se ne ha notizia e il Qatar, uno dei poli del mondo economico-finanziario, non ha intenzione né interessi a far trapelare questi atroci fatti.
Amnesty International, in un rapporto pubblicato ieri, ha evidenziato come le autorità del Paese del Golfo Persico debbano compiere dei passi in avanti in merito ai diritti dei lavoratori. È bene ricordare come l’organizzazione per i diritti umani chieda l’abolizione della Kafala. Dopo tale richiesta, le autorità qatariote si sono prodigate per rendere meno rigida la situazione dei lavoratori, tant’è che per molte categorie, esclusa quella dei e delle lavoratrici domestiche è stata abrogata la norma che prevedeva la richiesta del “permesso d’uscita” dal Qatar al proprio datore di lavoro.
Il governo del Paese, seppur conscio della situazione, più volte ha dimostrato di non voler intervenire temendo che la popolazione ad oggi sottomessa possa insorgere. Sa che una presa di posizione di quel potrebbe comportare eventuali boicottaggi da parte di alcune nazioni, ma lo vive come un rischio calcolato e minore a fronte di una rivolta popolare.
È controverso come un organo sovranazionale qual è la FIFA, che all’articolo 3 del suo statuto vieta la discriminazione nei confronti di un Paese, di un individuo o di un gruppo di persone per motivi etnici, di sesso, di lingua e di religione possa permettere ad un paese che organizzerà una sua manifestazione tali libertà senza intervenire.
Gli interessi politico-economici nei confronti del Qatar e della sua famiglia reale probabilmente renderebbero complicato un intervento, ma una forte presa di posizione sarebbe un segnale da lanciare all’opinione pubblica verso quel cambiamento tanto auspicato e gridato a gran voce dalla nuova governance dell’organo con sede a Zurigo.
Intanto, un primo timido segnale c’è stato: lo scorso 8 gennaio Riku Riski, calciatore della Finlandia, si è rifiutato di scendere in campo proprio in Qatar per un’amichevole della sua nazionale contro la Svezia, per protestare contro l’assenza di diritti umani nel Paese arabo: “Le ragioni della mia decisione sono state l’etica e i valori, che voglio seguire e mantenere. Ho ritenuto fosse importante“, ha dichiarato Riski a un quotidiano finlandese