Oscar 2019, la preview della 91ª edizione
La notte tra il 24 e il 25 di febbraio sintonizzate gli schermi sulla 91ª edizione degli Oscar: a chi andranno le ambitissime statuette? Roma batterà Green Book, Olivia Colman sarà la migliore attrice? Discutiamo di un’edizione senza presentatore ma ricca di splendidi film
Signore e signori, è quasi quel momento. Domenica prossima, intorno alle 2 di notte, al Dolby Theatre di Los Angeles comincerà la 91ª edizione degli Academy Awards. È vero, ci siamo ripromessi di non trascorrere più la nottata di fronte allo streaming ballerino, maledicendoci perché il giorno dopo al lavoro non potremo confessare la ragione della nostra faccia da zombie. Eppure, non neghiamocelo, anche quest’anno saremo puntualissimi: dal commento degli outfit fino alle ire sulla pellicola vincitrice, perché questo è senza dubbio il migliore show che mother America ci abbia mai regalato.
Questa è comunque un’annata particolare: a partire dal conduttore, che non c’è. Dopo la rinuncia di Kevin Hart, causata da una serie di affermazioni omofobe che gli sono costate una intensa bagarre prima con i fan e poi con l’Academy stessa, si è deciso che la cerimonia degli Oscar si condurrà da sola. Di volta in volta gli ospiti adibiti a presentare il singolo riconoscimento si alterneranno sul palco, eliminando di fatto la figura di raccordo che l’anno scorso era di Jimmy Kimmel. La decisione non sorprende troppo, inconvenienti del genere erano già accaduti in altre sette occasioni: c’è stato addirittura un triennio, dal 1969 al 1971, in cui non si è vista l’ombra di un presentatore sul palco della statuetta d’oro.
La vera sorpresa sarà il vincitore, che quest’anno confonde anche i bookmaker sempre compatti sulla scelta finale. In verità il carnet delle nomination è ricco di ottimi film e persino migliori performance. Ci auguriamo perciò di poter finalmente dire: “Per me può vincere chiunque”, e goderci la serata senza litigare come nel burrascoso 2017 (TeamLalaLand vs TeamMoonlight). Tentiamo comunque una preview dei risultati più misteriosi di sempre.
Innanzitutto abbiamo sul piatto delle regie d’eccezione. Alfonso Cuarón, Spike Lee e Yorgos Lanthimos nella stessa competizione sarebbero già troppi, senza dover aggiungere il promettente Pawel Pawlikowski e un colpo di genio di Adam McKay. La vittoria di Cuarón, la più probabile secondo chi scrive, sarà meritatissima. Tuttavia, l’arte di sogno che Lanthimos mette in ogni suo film, e che si vede tutta nella sequenza finale de La Favorita, è un tipo di genialità che andrebbe riconosciuta e celebrata sempre in quanto rappresenta, profondamente, il senso del cinema.
La vittoria de La Favorita, comunque, ci sarà per la Migliore sceneggiatura originale, dove la storia della Regina Anna e delle sue due dame di compagnia stringerà l’omino dorato. Più dubbi per il Miglior adattamento, in cui Blackkklansman potrebbe essere raggiunto da Se la strada potesse parlare. Qui Barry Jenkins (già Moonlight) mette in scena il romanzo di James Baldwin in cui una moglie è impegnata a salvare suo marito dall’accusa di stupro di un poliziotto razzista. La tematica, quella della rivincita del popolo nero contro l’insensato razzismo dell’America dei Settanta, è comune anche al capolavoro di Spike Lee e grida per tante storie che non sono ancora state raccontate.
Nel film di Jenkins c’è un’ulteriore piccola perla: Regina King, che interpreta Sharon Rivers, una delle sorelle di Tish, donna tenace che cerca giustizia per il suo Fonny. Sarà probabilmente lei a vincere il titolo di Miglior attrice non protagonista, sfilandolo alla meravigliosa performance di Rachel Weisz in La Favorita e a quella di Amy Adams in Vice. Più semplice forse sarà la Migliore attrice, titolo che da mesi si dà per certo nelle mani di Olivia Colman, la regina più disperatamente umana possibile, e che invece sarà doverosamente di Glenn Close. C’entrerà sicuramente la sua genialità in The wife, in cui interpreta Joan Castleman, donna dietro il successo di suo marito Joe (Jonathan Pryce) che ritroverà sé stessa nel viaggio verso Stoccolma, dove lui è atteso per ritirare il Nobel per la Letteratura. Ma sarà la sua intera carriera da attrice a vincere: versatile, superba, forte in ogni ruolo e una delle più nominate dopo Meryl Streep, che finora non ha potuto però mai stringere una statuetta.
Più scontato il discorso per gli uomini. Rami Malek, dal suo primo ingresso trasfigurato nel baffo più famoso della musica, ha reso giustizia sia a Freddie Mercury che alla sua nomination agli Oscar. Per quanto la trasformazione di Christian Bale nel famigerato Dick Cheney meriti una lode onorevole, sarà Rami il Miglior attore protagonista. Una raccolta di magnifiche interpretazioni quella che anima questa categoria, dove Viggo Mortensen e Willem Dafoe hanno dato dei saggi altrettanto meravigliosi. Green Book, comunque, porterà un Oscar con sé grazie a Mahershala Ali, che duetta con Mortensen nella storia di un’amicizia che supera le consuetudini del tempo. Sarà lui il Miglior attore non protagonista, sebbene chi vi scrive abbia trovato Adam Driver (Blackkklansman) più incisivo di Ali nel creare un personaggio credibile.
Un piccolo passaggio sull’animazione prima di arrivare al nome finale. Quest’anno, se avremo fortuna, la Disney sarà spodestata dal suo trono di cristallo. Per quanto i candidati di casa siano ben due, Ralph spacca internet e Gli incredibili 2 (era necessario?), potremmo veder trionfare Spiderman – Into the Spider-Verse, un piccolo capolavoro firmato Columbia e diretto da Bob Persichetti. Finalmente un cartone che tratta chi guarda come un essere pensante e che pretende una soglia di attenzione uguale a quella dei film. Dispiace per L’isola dei cani, ogni edizione in cui Wes Anderson non viene premiato è un’occasione persa, ma sfilare il titolo per una volta all’industria di Topolino può già essere una ricompensa sufficiente.
Tra le tante particolarità della 91ª edizione c’è anche la possibilità (più che concreta) che lo stesso titolo vinca nella categoria Miglior film e Miglior film straniero. Roma, infatti, concorre per entrambe ed è data come favorita. Tutto il Messico tifa con Cuarón per questo importante riconoscimento a una terra di meraviglia e contraddizioni per troppo tempo ignorata dall’Academy e recuperata lo scorso anno con la vittoria di Guillermo del Toro. Con questo film dai colori retrò e dal ritmo modernissimo, vincerebbe anche la piattaforma di streaming Netflix, che ha prodotto Roma e lo ha messo a disposizione dei suoi utenti con un lancio parallelo ai cinema. Una rivoluzione a più livelli, ma meritata?
Noi pensiamo di sì. Roma è una storia femminista nel modo più naturale possibile. Dimostra come intorno a uomini che pensavano di star facendo la storia, ognuno a suo modo (il dottore, il soldato), c’era un insieme di donne instancabili che reggeva sulle proprie azioni il progredire della società. I personaggi del film sono veri anche nel loro tratteggio sottile, parlano di dolore e sopravvivenza, di unione e speranza. Cuarón ha diretto un film di cui c’era bisogno, per dare concretezza alle rivendicazioni femminili e corpo alle battaglie di anni. Per questo, e per tutte le emozioni che scorrono insieme ai titoli di coda, non ci sono mani migliori che potrebbero sollevare l’Oscar nel 2019.