La “novità” di cui la musica italiana aveva bisogno: I Hate My Village live a Roma
L’attesa spasmodica dei fan si è trasformata in uno spettacolo assoluto per un soldout strepitoso al Monk di Roma

I hate my village
©Marta Bandino | Ghigliottina
Un’attesa, più che motivata, ha circondato questo progetto fin dall’annuncio, un hype cresciuto giorno dopo giorno dall’uscita del primo singolo Tony Hawk of Ghana, confermato dal secondo Acquaragia e che ha condotto tutti i curiosi fino all’annuncio delle prime date del tour, iniziato proprio dalla capitale lo scorso 2 febbraio. Il primo di diversi soldout, che non possono che far piacere sia agli artisti che a chi segue da tempo le scene musicali nostrane.
Un supergruppo, perché non ci sono altri modi per descriverlo, gli I hate my village sono composti da Marco Fasolo, chitarrista e frontman dei Jennifer Gentle, Adriano Viterbini, chitarrista dei Bud Spencer blues explosion, Alberto Ferrari, chitarrista e voce dei Verdena e Fabio Rondanini, batterista di Calibro 35 e Afterhours. Inutile dirlo, i presupposti per una musica di assoluta qualità ci sono tutti in questa ricetta di per sé molto raffinata, che come risultato ha una musica tra il progressive e lo psichedelico a tinte etniche che diverte ed arriva chiara alle orecchie del pubblico.
Il soldout e gli applausi fragorosi dall’inizio alla fine del concerto ne sono un chiaro segnale, non c’è molto da cantare, i pezzi cantati della stessa band sono pochi, e comunque il focus è ben altro.
Pezzo dopo pezzo, a partire dall’apertura affidata a Presentiment non si può non notare la tenacia di un Rondanini che tra piatti e drum machine fa sentire marcato il suo stile, di un Viterbini sempre più divertito dalla musica saltando a destra e a sinistra che cattura la scena, il basso di Marco Fasolo segue a ruota il ritmo ed esalta la linea sonora della band e Ferrari tra chitarra e voce cattura il pubblico.
Un supergruppo, così come descritto prima, che non ha un vero frontman, come anche la stessa scena sul palco dimostra. Tutti disposti a semicerchio, lasciando il centro del palco volutamente vuoto.
Descrivere brano per brano l’esecuzione non renderebbe merito agli I hate my village, capaci di convincere ancora più live di quanto non avessero già fatto da disco.
Si crea una vera e propria attrazione magnetica tra il palco, la sua scenografia tra luci e fumo, e il pubblico che accompagna in un viaggio di quasi due ore da cui si esce storditi tanta la spettacolarità del live.
A condire tutto, un po’ per completare la setlist, ci hanno pensato due cover, si può forse dire una e mezza, la prima Don’t stop ‘till you get enough, dell’iconico Michael Jackson che diverte e fa ballare il pubblico, ed infine la mezza cover, si fa per dire, in realtà è un brano di Adriano Viterbini Tubi Innocenti, che chiude una serata che musicalmente ha tutte le carte in regola per essere la migliore del 2019 pur essendo soltanto a febbraio.
L’invito è unico, se si ha la possibilità di assistere ad un live degli I hate my village non bisogna perdere l’occasione.
La scaletta del concerto:
Presentiment
Tramp
Acquaragia
Fare un fuoco
I Ate my village
Elvis
Fame
Bahum
Kennedy
Tony Hawk of Ghana
Don’t stop ‘till you get enough
Tubi innocenti
Testo di Cristiano Tofani
Foto di Marta Bandino