Algeria, finisce l’era Bouteflika

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Dopo ben sei settimane di proteste la popolazione algerina ha ottenuto le dimissioni dell’ottantaduenne presidente, al potere dal 1999

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Fonte immagine: Agenzia Dire

Svolta storica in Algeria: ieri, martedì 2 Aprile 2019, Abdelaziz Bouteflika ha rassegnato le sue dimissioni. L’ormai ex presidente aveva preso il potere nel Luglio del 1999, grazie a un contestatissimo 73% maturato grazie al supporto dei militari e alla contestuale rinuncia degli altri 6 sfidanti – ritiratisi il giorno prima del voto per presunti brogli elettorali. Bouteflika aveva dunque conservato la presidenza fino a ieri, ottantadue anni e seri problemi di salute, prorogando la sua leadership a forza di riforme costituzionali ed elezioni plebiscitarie boicottate dalle opposizioni.

Nelle ultime settimane la popolazione algerina era scesa in piazza per chiedere la rinuncia di Bouteflika a partecipare alle prossime presidenziali – rinuncia poi ottenuta a metà Marzo – e la destituzione del fedele militare Ahmed Gaid Salah, Capo di Stato maggiore e vice Ministro della Difesa.

Le proteste in Algeria erano iniziate a fine Febbraio per iniziativa della società civile: studenti, insegnanti avvocati e giornalisti contrari alla quinta ricandidatura consecutiva di Abdelaziz Bouteflika alle future elezioni presidenziali – inizialmente previste per il prossimo 28 Aprile (naturale scadenza del mandato presidenziale) e poi spostate in data da definirsi. Attraverso le manifestazioni di piazza l’Algeria ha dimostrato di essere stanca di un governo ventennale accusato di corruzione e nepotismo e che vede per protagonisti gli stessi volti da ormai 20 anni.

Sul protrarsi del malcontento, Salah aveva deciso di mettere all’angolo il capo di Stato in carica ricorrendo alla Costituzione ed approfittando dello stato di salute dello stesso Bouteflika che nel 2013 è stato colpito da un ictus. Da allora, in effetti, la sua autonomia decisionale è stata sempre più debole e sempre più spesso ha dovuto fare ricorso a consiglieri e parenti, o parenti consiglieri, per gestire la res statale. L’Articolo 102 della Costituzione algerina recita infatti che il presidente può essere deposto qualora incapace di governare per ragioni di salute. Malgrado la ferma posizione Salah, domenica pomeriggio Bouteflika aveva addirittura nominato il futuro governo, scegliendo Nourradine Bedui a Primo ministro e confermando lo stesso Salah in qualità di Capo di Stato maggiore dell’esercito.

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Abdelaziz Bouteflika. Immagine via twitter.com/RaiNews

La mossa di Salah, d’altra parte, è stata massivamente rigettata dalla popolazione. Innanzitutto, non presuppone un vero cambiamento di corrente politica: andrebbe piuttosto valutata come un palese tentativo di salvaguardare il potere delle élite militari da lui presiedute. Inoltre, è viziata anche in termini procedurali: prima di passare al vaglio del Parlamento, che deve approvare la risoluzione con una maggioranza pari a due terzi dei deputati, una prima valutazione spetta al Consiglio Costituzionale il cui vertice è presieduto da Tayez Belay, giurista molto vicino a Bouteflika – le possibilità di una valutazione trasparente ed oggettiva, in definitiva, apparivano piuttosto scarse.

Qualora anche Bouteflika fosse stato realmente sfiduciato, si sarebbe trattato di un colpo di spugna, un colpo di stato “soft”, un escamotage per dare continuità all’attuale sistema politico – il ruolo di Bouteflika, infatti, è stato assunto ad interim dal presidente del Senato, Bensalah, mentre il popolo algerino ha chiesto un cambiamento immediato e vuole nuove, libere elezioni. Lo stesso Salah, del resto, è al potere militare da oltre cinque lustri e rappresenta un’altra figura chiave dell’attuale sistema governativo che gli algerini intendono cambiare. Vista la sua posizione di soluzione non risolutiva adottata verso Bouteflika, lo stesso Generale è diventato un elemento di continuità da allontanare.

È un altro modo per il sistema di confermare se stesso” è il parere del presidente della Lega dei Diritti dell’Uomo, Nordin Benissad, condiviso da gran parte delle espressioni politiche nazionali. Il leader di Jil Jadid, Djilali, riassume la posizione dei partiti centristi e di sinistra “Né l’opposizione, né il popolo accetteranno un’operazione del genere. È l’intero sistema – ha spiegato – a dover essere rimosso”.

Il ventennio di Bouteflika è ormai concluso, adesso Algeria ha bisogno di elezioni democratiche e libere – l’auspicio sarebbe lasciarsi alle spalle l’intero sistema di potere che si reggeva attorno alla figura del presidente uscente. Ciò che occorre, a questo punto, è un’alternativa concreta – non va trascurato che in questi venti anni l’opposizione è stato un concetto labile. La vera sfida, per l’Algeria, inizia adesso.

Sara Gullace

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