Sudan, continua il braccio di ferro tra popolo e governo militare
Proseguono le proteste dei sudanesi: deposto al-Bashir, la piazza chiede l’uscita di scena dei militari, elezioni governative ed il processo all’ex Presidente e agli ufficiali che lo hanno affiancato
La piazza di Khartoum ha vinto la prima battaglia ma la guerra è tutta da giocarsi: i prossimi mesi saranno indicativi su quello che sarà il futuro del Paese dell’Africa orientale. Dopo aver ottenuto la deposizione del pluridecennale Presidente Omar al-Bashir, l’attuale obiettivo della popolazione è l’instaurazione di un governo civile senza un ulteriore prolungarsi della reggenza militare ed il processo dell’ex presidente – come di tutte le altre figure del suo entourage che risultano coinvolte in crimini di guerra. In risposta, fino ad ora, il governo militare di transizione ha destituito il Pubblico Ministero, il suo Vice ed il direttore della televisione statale. Ma la situazione è in continua evoluzione.
Dopo oltre 4 mesi di proteste, nonostante l’esercito abbia deposto al-Bashir come richiesto, i sudanesi mantengono alto il tiro contro le stesse forze armate, nel timore che il recente colpo di Stato si concretizzi in un debole colpo di spugna solamente per placare gli animi – probabilmente influenzati dall’attualità della non troppo lontana Algeria.
Il 75enne Omar al-Bashir è stato deposto da un colpo di Stato la scorsa settimana, lui che proprio grazie ad un altro colpo di Stato era salito al potere. Parliamo di 30 anni fa, giugno 1989, quando il colonnello Bashir rovesciò al Primo Ministro Sadiq Al–Mahdi durante una guerra civile che stava dilaniando il Paese. Nato da una famiglia di pastori nel Sudan del nord facente parte del Regno D’Egitto, Bashir combatté contro Israele negli anni Settanta e nel decennio successivo divenne generale dell’esercito, preparandosi all’ascesa che lo portò al potere.
La sua presidenza si è caratterizzata da subito per misure antidemocratiche: opposizione al bando, parlamento prosciolto e mezzi di comunicazione censurati – lasciando spazio solo a quelli governativi. Il prosieguo non è stato davvero migliore ed oggi su Bashir pesano diverse e gravissime accuse: la Corte Criminale Internazionale lo accusa di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità – che avrebbe perpetrato durante i conflitti del Sud Sudan e del Darfur lo scorso decennio.
Per questi crimini, tra l’altro, il neo eletto Consiglio Militare ha deciso che non ci sarà estradizione e Bashir, attualmente sotto custodia, in tal caso verrebbe giudicato in Sudan. Quello di Bashir è stato un governo belligerante che negli ultimi anni ha visto, però, diminuire la sua fama tra la popolazione: nelle ultime elezioni, 2015, l’opposizione era cresciuta notevolmente; l’idea di che si presentasse nel 2020 per prolungare la sua guida nazionale ha portato il Paese in piazza.
L’occasione è arrivata lo scorso Dicembre con il rincaro del costo della vita: prezzi aumentati, dal pane al carburante, aumento dell’inflazione cui il governo aveva risposto con misure di austerità. Le proteste sono state organizzate dall’Associazione Sudanese di Professionisti (SPA) principalmente composta da medici, avvocati, ingegneri e professori e il cui tasso di presenza femminile è molto consistente a paragone di altri movimenti nel continente. Quattro mesi di rivolta, del resto, che hanno lasciato morti e feriti: fonti governative parlano di 30 vittime tra i manifestanti – ma sarebbero 50 secondo Human Rights Watch – oltre 380 arresti e decine di feriti anche tra polizia e militari.
Al malcontento degli ultimi mesi, Bashir aveva risposto con lo stato di emergenza ed un rimpasto governativo dove aveva sostituito i governatori con figure delle forze armate. Dopo mesi di piazza, quindi, la svolta del colpo di stato che ha soddisfatto la SPA e l’opinione pubblica solamente a metà. Il Consiglio Militare istituito dall’occasione aveva posto a capo del Paese Ibn Auf: una figura ritenuta troppo simile a quella di al-Bashir, considerando che è stato capo dell’intelligence sudanese durante la guerra in Darfur. La carica di Ibn Auf non è durata che 24 ore: la popolazione non ha abbandonato le strade ed ha sfidato il coprifuoco imposto dai militari “per ordine pubblico a protezione della società civile”, costringendolo alle dimissioni. L’ispettore delle Forze Armate Gen Burhan guiderà il governo di transizione, previsto per un massimo di due anni in attesa di nuove elezioni.
Le condizioni del Sudan interessano anche il panorama internazionale: pressoché immediato è stato l’appoggio di Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia per la richiesta di un governo così come l’ammonimento al ricorso alla violenza per gestire le proteste sottolineando come il prosieguo delle ostilità potrebbe inficiare i futuri reciproci rapporti. Più cauta l’Unione Europea che ha richiesto il proscioglimento dei civili fermati durane le manifestazioni. Mentre nel fine settimana anche i vicini Arabia ed Emirati si sono schierati dalla parte dei sudanesi.