“Girl in a band”. L’autobiografia di Kim Gordon dei Sonic Youth
“Girl in a band” è un’autobiografia schietta, malinconica e arrabbiata e allo stesso tempo lucida e coraggiosa che mette in luce il maschilismo (o per certi versi sessismo) della musica mainstream contemporanea e che vi farà conoscere meglio una di quelle donne che hanno contribuito, nonostante tutto, a renderla grande
Non dev’essere stato facile per Kim Gordon scrivere questo libro.
La sua autobiografia rispecchia la sua vita intensa e la passione per l’arte visiva e la musica e racconta una donna forte cresciuta in un’America piena di stereotipi e cliché che le hanno decisamente complicato la vita. Artista eclettica, scrittrice, attrice, musicista, ma soprattutto donna con la D maiuscola.
Fin dal titolo, “Girl in a band” (Minimum Fax, 2016), l’autrice pone l’accento sugli stereotipi che hanno caratterizzato la sua carriera a forza di domande come: “Cosa si prova ad essere una ragazza in una band?”e una volta madre: “Come ci si sente ad essere una madre e portare avanti la carriera da rock star?”.
Sessantasei anni compiuti lo scorso 28 aprile, la co-fondatrice, bassista e compositrice della band Sonic Youth ha passato gran parte della sua vita in studio per confezionare i 15 album della band newyorkese o in giro per il mondo a fare concerti. In questa biografia non troviamo solo questo, anzi, ma non per questo la musica viene messa in secondo piano.
Dopo una prima parte dedicata alla sua infanzia, al rapporto con i genitori e con un fratello che ha minato la sua autostima fin da piccola, Kim parla dei suoi viaggi e della sua crescita culturale: dalla Contea di Monroe ad Hong Kong e Los Angeles fino alla lotta per la sopravvivenza nella Grande Mela dove Kim Gordon riuscirà, sgomitando, ad emergere sia come artista visuale sia come musicista, maturando nei confronti della città di New York un rapporto di amore e odio che si porterà avanti per tutta la vita.
Kim riesce ad inquadrare perfettamente la scena artistica che va dalla fine degli anni Settanta agli anni Novanta, rendendo vivo uno spaccato culturale americano e, in particolare, la scena no wave. Si trattò di un vero e proprio movimento artistico newyorkese che trovò il suo apice espressivo nell’arte contemporanea, nella musica underground, nella videoarte, nella performance art e nel cinema, un movimento che la Gordon descrive come “Anti Wave” per rimarcare la netta contrapposizione con la scena New Wave dell’epoca.
Il termine No Wave, coniato da gente ormai stanca dei nomignoli scadenti con cui i media etichettavano qualsiasi scena o genere, comprendeva tutto, dal cinema alla video-arte alla musica underground […] di fondo era anti-wave. Era anche una risposta diretta alla moda New Wave, per esempio il punk più commerciale, melodico, ballabile – i Blondie, i Police, i Talking Heads – che da molti era visto come una roba da sfigati venduti. […] Anche se i Sonic Youth vengono associati a quella scena, non è corretto dire che siamo un gruppo No Wave. Non suonavamo No Wave. L’abbiamo solo usata per fare qualcos’altro.
Nonostante i Sonic Youth siano stati una presenza ingombrante nella sua vita, l’autrice prova a ridurre all’essenziale la storia del gruppo concentrandosi sulle canzoni o sugli album o sui “momenti su cui ho più cose da dire o che ricordo meglio”.
È comune, leggendo altre recensioni del libro, una concentrazione più accentuata sugli aspetti di cronaca rosa. Perché, ridotto ai minimi termini, questo libro racconta (anche) della rabbia di Kim dopo il tradimento da parte del marito, Thurston Moore, l’altro fondatore dei Sonic Youth.
Thurston ha avuto certamente un ruolo fondamentale nella vita di Kim Gordon, ma contribuirà anche a trasformarli in un classico cliché: coppia borghese, sopraffatta dal lavoro e dalla vita coniugale, una figlia adolescente a carico, e che ad un certo punto si separa perché lui si prende una sbandata per un’altra donna e mette così fine all’amore per sua moglie sperando di tornare indietro nel tempo per fare “la vita dell’hipster bohémien libero da ogni responsabilità”.
La fine del matrimonio tra Kim e Thurston sancirà anche la fine dei Sonic Youth, comunicata a mezzo stampa nell’ottobre del 2011 dopo un matrimonio di 27 anni e un sodale artistico lungo trent’anni. La band concluse ufficialmente la carriera con l’ultima tournée in Sud America e proprio l’ultimo concerto dà il via al libro.
“Girl in a band” in realtà va ben oltre la cronaca rosa. Racconta la difficoltà di emergere in un mondo sostanzialmente maschilista, la forza e l’ispirazione che Kim Gordon trae da quelle band tutte al femminile come le inglesi The Raincoats e dal movimento femminista underground Riot grrrl nato negli anni Novanta.
È qui che nasce – secondo quanto riportato dalla Gordon – l’espressione girl power, “un espressione di cui poi si sono appropriate le Spice Girls, un gruppo messo insieme da uomini, ogni Spice Girl etichettata con una diversa personalità, tirata a lucido e stilizzata per poter essere commercializzata come un modello di donna ben definito e completamente falso”.
Kim Gordon non risparmia critiche anche ad altre colleghe icone del pop, da Lana Del Rey a Madonna, devastante su Courtney Love, con la quale ha avuto modo di approfondire la sua conoscendo producendo il disco delle Hole, Pretty On The Inside.
In questo libro inoltre trova spazio anche la moda – con un capitolo dedicato interamente al suo marchio X – Girl (poi venduto ai giapponesi) – e bellissime chicche, come i ricordi del tour con i Nirvana e l’amicizia con Kurt Cobain, la serata dedicata al gruppo di Seattle alla Rock ‘n’roll of Fame nel 2014 che vide Kim Gordon sul palco – accanto a Dave Grohl, Krist Novoselic, Pat Smear – per cantare Aneurysm e, infine, la sua comparsa nel film di Gus Van Sant, Last Days, ispirato agli ultimi giorni ed alla tragica morte di Kurt Cobain.
Una storia interessante, dunque, consigliata ai fan più sfegatati dei Sonic Youth e del noise ma anche a chi vuole approfondire uno spaccato di cultura americana fatto di arti visive, musica e moda.