Sudan, la transizione è drammatica
Saltati i tentativi di accordo tra militari e popolazione in un crescendo di vittime e tensioni sociali
Cresce la tensione in Sudan, dove continuano gli scontri tra la popolazione rappresentata dall’Associazione Sudanese dei Professionisti (SPA) e il Consiglio Militare di Transizione guidato da Gen Burhan.
Dalla scorsa domenica la SPA ha incitato alla disobbedienza civile, che ha comportato lo sciopero prolungato di servizi, banche e negozi ed ha avuto come risposta un’ondata di arresti – che va ad aggiungersi alla repressione violenta per mano dei militari al comando degli ultimi giorni.
A quasi due mesi dal colpo di stato che ha deposto il Presidente Al-Bashir dopo 30 anni di regime autoritario, in Sudan non diminuiscono gli scontri e non si arresta il numero di caduti – 46 secondo il governo ma oltre il doppio (106) per l’opposizione – in nome di una Repubblica scevra da quelle pressioni militari che l’hanno caratterizzata negli ultimi decenni.
Risale all’inizio della scorsa settimana l’atto di forza dei militari che hanno esploso il fuoco sui sit-in dei manifestanti, cancellando tutti gli accordi fin qui raggiunti ed annunciando elezioni tra soli 9 mesi – segnando un punto di non ritorno con i civili organizzati nella SPA che, adesso, si dicono indisponibili a qualsiasi dialogo richiamando l’attenzione internazionale, prontamente arrivata.
Innanzitutto, l’Unione Africana – organizzazione panafricana che può intervenire nei conflitti interni richiamando ai principi democratici e ai diritti umani – ha sospeso il Sudan da ogni tipo di partecipazione fino a quando non verrà instaurata un’Autorità di Transizione composta da figure civili.
L’UA si è schierata, quindi, dalla parte dell’opposizione, così come avevano già fatto Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Ue e ONU, che da Aprile chiedono indagini sugli interventi dei militari durante le manifestazioni. D’altro canto Paesi come l’Egitto, gli Emirati e l’Arabia Saudita spalleggiano il regime militare nel processo di normalizzazione così come i movimenti islamisti li sostengono in quanto manterrebbero la legge islamica a fondamento della Costituzione.
La crisi di quest’ultima settimana è conseguenza del malcontento generatosi lo scorso autunno a seguito di un rincaro del costo della vita, situazione che aveva esasperato gli animi e agitato le piazze.
Dopo 4 mesi di manifestazioni in cui si sono contate decine di morti, il 75enne Al-Bashir era stato arrestato e tenuto in custodia dai militari in un’azione che già all’epoca era stata definita un colpo di spugna piuttosto che un reale colpo di stato. Una mossa per zittire l’opinione pubblica e calmare gli animi che, però, non aveva e non ha ancora trovato un riscontro concreto alle richieste della popolazione.
All’indomani del giro di vita e della presa del potere da parte di Gen Burhan, si era parlato di un Consiglio Supremo di Transizione che avrebbe dovuto portare alle elezioni nel giro di due anni. La popolazione civile chiede di non andare alle urne fino al momento in cui le nomine in ballo da parte della classe dirigente militare non siano diverse e senza legami con quelle che hanno fatto la storia recente del Paese – ricordiamo che il Sudan è una Repubblica Presidenziale Federale a governo militare, dunque il peso di quest’ultima non andrebbe in alcun modo trascurato.
Con questa richiesta alla base delle trattative, negli ultimi due mesi militari ed opposizione non hanno trovato un compromesso rispetto alle figure da porre alla guida di tale Consiglio, rimanendo fermi su nomine dell’una o dell’altra parte con il risultato di lasciare il paese in una situazione di drammatico stallo.