Hong Kong in piazza per difendere l’autonomia da Pechino
Nuova stagione di manifestazioni a Hong Kong contro la Cina continentale per una legge sull’estradizione, per ora sospesa
Cinque anni dopo Occupy Central e proprio in concomitanza con l’anniversario della fine della centenaria colonizzazione inglese ricorso lo scorso 1° Luglio, la popolazione di Hong Kong torna in piazza a manifestare contro quello che ritiene un ennesimo tentativo di ingerenza da parte della Cina.
È un’estate caldissima per la popolazione di Hong Kong che, tra marce e barricate, si batte contro la nuova proposta di legge sull’estradizione. Un mese di manifestazioni che conta già diverse decine di feriti, sia tra i manifestanti che tra le forze dell’ordine, benché sia nata come una dimostrazione pacifica. Studenti, casalinghe ma anche giornalisti, medici e avvocati hanno manifestato a più riprese nelle piazze principali, davanti alla sede centrale della polizia ed al Palazzo di Giustizia e, lunedì, hanno anche fatto una breve irruzione in Parlamento chiedendo il ritiro completo del progetto di legge di cui si è già sospeso il dibattito quindici giorni fa.
I manifestanti, il cui numero al momento rimane incerto (oltre un milione e mezzo secondo gli organizzatori ma non più di 240 mila stando a fonti della Polizia) richiede anche le dimissioni di Carrie Lam – attuale Capo Esecutivo di Hong Kong, ritenuta filo-cinese – oltre al rilascio degli arrestati durante le precedenti manifestazioni ed un’indagine sull’operato delle Forze di Polizia durante gli scontri.
La Legge di estradizione riguarderebbe i rapporti giudiziali con Cina, Macao e Taiwan. I delitti che verrebbero presi in considerazione sarebbero l’omicidio e lo stupro; i reati a sfondo commerciale ed economico sono stati esclusi dalla lista, anche se ogni estradizione verrebbe giudicata “caso per caso”.
L’iniziativa legislativa è vista dagli oppositori come un espediente per ampliare il controllo statale cinese sulla regione di Hong Kong che, lo ricordiamo, ha un’amministrazione speciale e diversa dal colosso asiatico. Hong Kong vive un rapporto con la giurisdizione e l’amministrazione continentale particolare, cosiddetto “due pesi e due misure”: una diversità a cui la popolazione locale tiene molto ed a cui non ha intenzione di rinunciare, come dimostrato nel corso degli ultimi anni: ricordiamo proprio Occupy Central e la rivoluzione degli ombrelli del 2014.
Secondo Carrie Lam, che sostiene la riforma, la nuova normativa, invece, garantirebbe maggiore sicurezza scoraggiando l’arrivo di criminali in cerca di rifugio e “paradisi di illegalità”. Nonostante la sua posizione, comunque, nel corso dell’ultimo mese la Lam ha cercato a più riprese di riavvicinarsi all’opinione pubblica. Durante le celebrazioni per l’anniversario dell’indipendenza dal Regno Unito ha preso la parola per assicurare che “Faremo esperienza di questa situazione. In futuro – ha spiegato – terremo in maggior considerazione i sentimenti e le aspirazioni della comunità”. Un’ammissione di responsabilità? Per la piazza un tentativo di prendere tempo o di calmare le acque sulla propria figura. In ogni caso tardivo.
La pressione dei manifestanti si è fatta più forte a ridosso del G20 giapponese: le proteste in strada hanno toccato 19 consolati della regione, tra cui tra cui quelli di Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Francia e Italia. Durante il meeting di Osaka, il premier nipponico Abe ha ricordato a Xi Jinping l’importanza di mantenere per Hong Kong il sistema di amministrazione binaria per garantire “una Hong Kong libera e aperta”. Mentre già in precedenza Stati Uniti, Canada e Regno Unito avevano apertamente appoggiato gli oppositori, sostenendo il rischio di un passo indietro per l’autonomia di Hong Kong.