Salvini in cerca del nemico per nascondere “il nulla di fatto” del governo
La caccia del nemico, sia esso un immigrato o un impiegato pubblico, è diventata la strategia del governo per spostare l’obiettivo dai dossier più scottanti che riguardano la nostra economia. Al MISE sono aperti 180 tavoli di crisi, ma quasi nessuno ne parla
Benvenuti nel governo del pugno duro. Nel governo che ci ha gettato nel conflitto pur non essendo in guerra. Nei mari le motovedette delle nostre forze armate difendono le acque territoriali dalle pericolose navi delle ong nonostante gli sbarchi siano numericamente crollati, a nord c’è chi propone la costruzione di muri in filo spinato e persino chi vorrebbe introdurre la tagliola ai furbetti del cartellino.
Per i dipendenti della PA non c’è più scampo, per entrare a lavoro dovranno dimostrare la propria presenza utilizzando le proprie impronte digitali. Una sorta di “grande fratello” della pubblica amministrazione che finisce per trattare i propri dipendenti come dei criminali appena acciuffati dalla polizia in flagranza di reato. Alla faccia della privacy e della tutela dei dati sensibili. In questo gioco delle parti, la ministra Giulia Bongiorno è il grande sceriffo arrivato a mettere in ordine stuoli di dipendenti pubblici indolenti e poco inclini al lavoro.
Siamo in guerra. In una guerra del tutto immaginaria con obiettivi fittizi, studiati ad hoc per spostare l’attenzione altrove. Un giorno è il migrante, un altro l’Europa, il giorno dopo l’alleato di governo. Sì perché questo Esecutivo riesce ad essere governo ed opposizione insieme, senza lasciare alcuno spazio alle altre forze di minoranza.
Intanto però i dossier più caldi sono ancora tutti sul tavolo. Al Ministero dello Sviluppo Economico sono 180 i tavoli di crisi aperti. Vuol dire aziende che hanno annunciato licenziamenti per migliaia di posti di lavoro che rischiano di andare in fumo. Non c’è solo l’ex Ilva, che ha annunciato la cassa integrazione per 1.400 dipendenti dello stabilimento di Taranto, ma anche Alitalia, Colussi, Pernigotti, Mercatone Uno e tanti altri marchi che rischiano di sparire.
Ma in crisi non sono solo le aziende.
Nel 2018 sono entrati in crisi finanziaria anche 75 comuni italiani, tanto che nel decreto crescita sono previste norme ad hoc per questi enti e un’iniezione di denaro speciale per Roma che da anni viaggia sul filo del rasoio. Quella delle amministrazioni in dissesto finanziario o con piani di riequilibrio finanziario non è una problematica che nasce oggi, ma che ha coinvolto negli ultimi 20 anni circa 900 enti locali, come dimostra lo studio presentato ieri al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Un comune in crisi vuol dire meno servizi ai cittadini e forti cure dimagranti per enti che spesso hanno sperperato o che non sono stati capaci di recuperare somme utili all’erario comunale (come le multe).
Insomma, mentre le prime pagine dei giornali sono dedicate agli scontri interni al governo o all’ultima ong che forza i confini delle acque territoriali, rimangono in secondo piano i temi e i dossier più caldi, quelli dedicati alla sostanza del Paese. Quella che lavora e quella che si sveglia da settimane in un città travolta dai rifiuti e dove cominciano ad avvistarsi i topi. È la sostanza delle cose che si muove nel sottofondo di un rumore costante che si chiama propaganda.
Sara Dellabella