Sudan, l’accordo consegna il Paese alle milizie armate
Civili e militari hanno pattuito 3 anni di transizione per arrivare alle elezioni ma a rappresentare l’esercito rimangono le figure che hanno piegato la popolazione
Il Sudan raggiunge un primo accordo tra il governo militare e l’opposizione della popolazione civile, trovando un momento di pausa dagli scontri iniziati a fine 2018 – che il mese scorso hanno fatto registrare un centinaio di vittime.
Supportati dalla mediazione dell’Unione Africana (UA) e dell’Etiopia, la scorsa settimana militari e civili hanno siglato un patto di Governo che durerà 39 mesi e che prevede un Consiglio Supremo con fini esecutivi che sarà composto da cinque esponenti delle forze militari e cinque civili – mentre un’undicesima figura verrà scelta tra la popolazione, ma dovrà avere alle spalle un percorso militare.
Il presidio del Consiglio di transizione del Sudan sarà alternato: inizieranno i militari per i primi 21 mesi, per poi lasciare spazio all’opposizione. Oltre tre anni per prepararsi alle elezioni che sono programmate alla fine di questa transizione.
L’accordo è stato salutato dalla UA come “Un passo fondamentale che apre ad una nuova era e prepara la strada per la seconda fase, la definizione della Costituzione del Sudan” – queste sono state le parole di Mohamed Hassan Labat, rappresentante della mediazione.
Rispetto alla delicata questione del Sudan, la domanda che ci si pone è la seguente: quanto durerà la quiete? E, soprattutto, sarà reale quiete? Ovvero, si tratta di vero equilibrio tra le forze civili e quelle militari?
Opinione pubblica, anche internazionale, e opposizione hanno ben ragione di alimentare dubbi: a rappresentare le forze militari, infatti, saranno quelle stesse figure che hanno deciso gli assalti fatali ai manifestanti di Kartum in questi ultimi mesi. Chi ha firmato l’accordo per parte militare è Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemedti, vicepresidente della Giunta Militare che, ad accordo concluso, ha assicurato che intende “Preparare una transizione completa che trovi l’accordo del popolo in ogni sua aspirazione”.
Hemedti non è un militare qualsiasi. È il capo delle Forze di Supporto Rapido, miliziani arabi mercenari di origine nomade che il Presidente Al-Bashir nel 2013 volle affiancare all’esercito – lo aveva già assoldato già nel 2003 per domare le proteste nel Darfur, anche se all’epoca erano guidate da un altro leader e non si chiamavano ancora FRS. Nel corso del tempo il potere delle milizie non si è concentrato soltanto in ambito militare: Hemedti ha controllato per anni il mercato dell’oro e oggi è uno dei più ricchi uomini del Paese e, di conseguenza, una delle figure più influenti in circolazione.
Del resto, un argomento chiave dell’intesa in questa transizione resta insoluto: si tratta dell’immunità dei militari coinvolti nella recente repressione, pretesa dall’esercito. Argomento fondamentale per i civili che, invece, richiedono il processo per i militari a capo della repressione e fino a questo momento hanno ottenuto una rassicurazione da parte dell’Unione Africana – che vorrà disporre un’indagine rispetto al massacro dello scorso mese per individuare responsabilità e colpevoli.
Ricordiamo come a inizio Giugno la popolazione sudanese organizzata nella SPA (Associazione Sudanese dei professionisti) aveva indetto la disobbedienza civile contro il Governo Militare di Transizione di Gen Buhran subentrato al regime trentennale di Al-Bashir – che era stato deposto dai militari in un colpo di Stato due mesi prima, in Aprile.
All’epoca i sudanesi erano scesi in piazza per manifestare contro il caro vita e le misure restrittive volute da Al-Bashir in autunno: dopo settimane di manifestazioni, il Presidente era stato sostituito dai militari in un atto che era sembrato più un colpo di spugna che un vero colpo di Stato da parte dei militari. Un tentativo di calmare gli animi che, al contrario, sono rimati ben accesi ed hanno continuato a dimostrare pieno dissenso per un governo troppo stretto e vincolato a quello precedente.
L’apice della criticità si era raggiunto il 3 Giugno, quando i militari avevano interrotto ogni tipo di trattativa con i civili annunciando le elezioni in soli nove mesi: con la popolazione in piazza i militari avevano aperto il fuoco causando decine e decine di vittime – oltre 160 per la SPA meno di 100 per il Governo dell’epoca.
L’Ue era intervenuta nel conflitto forzando la mano per la costituzione di un governo di transizione che è stato raggiunto in questi giorni, almeno per il momento.