Marielle Franco, una vita per i diritti
Quanti altri ancora moriranno, prima che questa guerra finisca? Così scriveva Marielle Franco sul suo account Twitter il giorno prima di essere uccisa in un attentato che ha scosso il Brasile
Tra il 14 e il 15 marzo 2018, qualcosa di profondo è cambiato nella scena politica brasiliana. Oppure, forse, è semplicemente diventato più evidente un processo sociopolitico che va avanti da decenni (se non da secoli) nel Paese.
Ad ogni modo, è successo a seguito di un unico evento: la morte di Marielle Franco, consigliera comunale a Rio de Janeiro e astro nascente della scena politica brasiliana – fervente attivista a sostegno dei diritti umani – sopratutto in favore delle donne, degli omosessuali e delle persone di colore).
Marielle stava facendo ritorno da un dibattito sui giovani di colore, quando è stata uccisa con tre colpi alla testa e uno al collo, nella notte di mercoledì 14 Marzo. Gli autori del delitto hanno ucciso anche l’autista della macchina su cui viaggiava la consigliera, Anderson Pedro Mathias Gomes. Dopo il crimine, sono fuggiti senza rubare nulla.
Secondo l’organizzazione Human Rights Watch, l’omicidio di Marielle mostra “l’impunità a Rio de Janeiro” e il “sistema di sicurezza in bancarotta” dello Stato. Ciò che è certo è che, giorni prima del crimine, Marielle aveva sporto denuncia contro la violenza della polizia – in particolare contro la morte di due giovani della favela di Acari, nella zona nord della città.
Acari è una delle favelas sottoposte a un intervento federale in virtù del quale l’esercito ha assunto il controllo delle mansioni della polizia, dei vigili del fuoco e dell’area di intelligence nello stato di Rio de Janeiro. Due settimane fa Marielle era diventata relatrice di un comitato nel Municipio, istituito per seguire gli sviluppi di questo intervento in città.
Tanti nomi di una lunga lista
Con 70.000 follower su Facebook, Marielle era al suo primo mandato come consigliera dopo essere stata eletta con 46.000 voti – la quinta candidata più votata alle elezioni comunali nel 2016. La sua scomparsa, in questo momento politico e storico, è altamente simbolica.
Oltre alle proteste e alle mobilitazioni in tutto il Brasile, ci sono state anche reazioni internazionali – come la manifestazione dell’ONU e l’opposizione degli eurodeputati al negoziato economico tra Unione europea e Mercosur.
Il crimine contro Marielle si aggiunge alla tristemente lunga lista dei leader comunitari uccisi in Brasile negli ultimi anni. Prima di lei, nel solo 2018 sono stati assassinati almeno 12 personalità politiche nel paese – il doppio rispetto allo stesso periodo del 2017. Negli ultimi due anni, invece, sono stati 40 i politici uccisi.
Nella lista figura anche Paulo Nascimento, ucciso a colpi di arma da fuoco fuori casa sua a Barcarena, nello stato del Pará, 48 ore prima dell’assassinio di Marielle a Rio de Janeiro. Leader di un’Associazione di indigeni e neri in Amazzonia, Nascimento aveva denunciato il rilascio di rifiuti tossici da parte della raffineria Hydro Alunorte nelle acque della regione.
Una settimana prima, anche George Rodrigues, leader comunitario a Recife, è stato trovato cadavere, con segni di arma da fuoco e un filo avvolto intorno al collo, dopo aver subito un rapimento da parte di quattro uomini. La lista va avanti con membri di movimenti sociali, leader sindacali o capi di tribù indigene.
L’omicidio di Marielle, tuttavia, è avvenuto in una regione simbolica del paese, scoperchiando una questione all’ordine del giorno nel dibattito politico brasiliano: la sicurezza pubblica e i metodi scelti dallo Stato per combattere il proprio fallimento.
Un problema complesso e storico che, in un articolo inviato al Jornal do Brasil poche ore prima della sua morte, Marielle ha cercato di discutere: “La sicurezza pubblica non va certamente costruita con più armi, ma con politiche pubbliche a tutti i livelli. Nella sanità, nell’istruzione, nella cultura e nella generazione di occupazione e reddito. È urgente monitorare questo processo, avendo cura di lottare affinché i diritti individuali e collettivi siano garantiti, in modo che le istituzioni democratiche siano preservate e rimangano autonome. L’opposto di questo sarebbe qualcosa di molto pericoloso in una società di tradizione patrimoniale, poco abituata ala coesistenza democratica e che ha un rapporto storico violento con la sua popolazione più vulnerabile”.
La domanda posta da Marielle, che abbiamo riportato nel sommario di questo articolo, rimane senza risposta.
*articolo del 23 marzo 2018