La magia del California Zephyr: in treno da Chicago a San Francisco

Tempo di lettura 11 minuti
Un viaggio indimenticabile negli Stati Uniti tra paesaggi mozzafiato e migliaia di chilometri su binari: è il California Zephyr, treno che collega Chicago a San Francisco

Settembre 2018, sono da poco rientrata dalle ferie e vengo colta da quell’ansia di cui soffre ogni viaggiatore incallito: da lì a 3 mesi non ho nessun viaggio programmato. Decisa a mettermi subito a lavoro, perché nella mia testa dicembre è già alle porte, contatto subito la persona che più comprende questo stato di incompletezza: mia sorella.

Da qualche anno per me il periodo di Natale è diventato una promessa, non più per l’attesa di quel momento magico che si prova scartando i regali (ormai siamo grandi, e i soldi li spendiamo in bollette e voli aerei), ma perché con mia sorella puntiamo il dito sul mappamondo e scegliamo la nostra prossima meta. Questa volta l’indice sulla mappa cade in un luogo lontano, gli Stati Uniti.

Essendo un Paese enorme con paesaggi estremamente diversi tra uno stato e l’altro, veniamo attratte da una succulenta possibilità: un viaggio sul California Zephyr, il treno che attraversa longitudinalmente 7 stati, partendo da Chicago (Illinois) arrivando fino a Emeryville (California) da dove poi un autobus conduce i passeggeri fino a San Francisco. Il totale dei chilometri percorsi è 3.924, impiegando in totale 52 ore circa. Sì, dovrete rimanere 2 notti e quasi 3 giorni su un treno, ma assicuro che verrete ripagati dai paesaggi incredibili che vi si porranno davanti. 

Chicago

22/12/2018-24/12/2018

california zephyr

Chicago

Quando si nomina Chicago generalmente vengono in mente gli anni del proibizionismo, i gangster, il blues e per gli amanti del cinema centinaia di film come Gli Intoccabili e The Blues Brothers.

Io e mia sorella siamo due fan sfegatate del capolavoro di John Landis, l’abbiamo visto e rivisto centinaia di volte, di conseguenza parte del nostro tour in giro per la città lo abbiamo dedicato ai posti dove è stato girato. Ammetto di aver fatto poche foto alle zone dei Blues Brothers, un po’ perché si trovavano in aree periferiche dove tirare fuori la reflex sarebbe stato poco saggio, un po’ perché resta ben poco degli scenari originali.  

Per vostra gioia non vi racconterò la storia della città, ma un dato storico è doveroso per comprendere l’importanza estetica e architettonica di Chicago. Nel 1871 un grande incendio la distrusse completamente, costringendo una popolazione intera a ricominciare da zero. Come la famosa fenice che rinasce dalle proprie ceneri Chicago fa altrettanto, viene eretto il primo grattacielo della storia, l’Home Insurance Building (costruito nel 1885 verrà purtroppo demolito nel 1931) e con lui prende vita un movimento architettonico moderno e lungimirante, la Scuola di Chicago.

L’uso di strutture in acciaio, facciate geometriche con elementi neoclassici e successivamente decorazioni Art Déco, grandi finestroni che portano il vetro a prevalere sul mattone sono gli elementi principali che troverete sugli edifici nella parte storica della città. Altra bellezza urbanistica che si lascia facilmente ammirare è la metropolitana, inaugurata nel 1892.

La maggior parte delle linee è visibile in quanto sopraelevate, a differenza di New York sono state mantenute tali e non interrate successivamente, rendendo inconfondibile il paesaggio cittadino. Assolutamente imperdibile per gli appassionati d’arte è l’Art Institute of Chicago, museo che ospita capolavori assoluti di artisti come Monet, Degas, Cézanne, Renoir, Modigliani, Hopper, Toulouse-Lautrec, Van Gogh, Seurat, Gauguin. Sono stati incontri a dir poco commoventi che spero di avere di nuovo in futuro. 

Maxwell street e il Blues di Chicago

Voglio dedicare una parentesi al luogo che ci ha portato con l’immaginazione in un passato che ha gettato le fondamenta della cultura musicale attuale, in questo caso sopportatemi perché fornire cenni storici è una doverosa missione. Siamo alla fine del 1800, Maxwell Street è una strada che corre lungo un quartiere popolato da ebrei. Grazie alle loro note abilità commerciali nasce un mercato dedicato al ghetto, negli anni a seguire si svilupperà in un mercato delle pulci, una sorta di  Portobello di Chicago.

Fin qui nulla di eccezionale, se non fosse che il fenomeno della Grande Migrazione che colpì il sud degli Stati Uniti intorno agli anni ‘20 portò un enorme flusso migratorio di afroamericani verso gli stati del nord. Dalle aree rurali si andava alla ricerca di un futuro migliore nelle realtà urbane più sviluppate. Le persone portarono con sé non solo gli effetti personali ma anche la loro cultura musicale.

Mia sorella fa amicizia con una statua su Maxwell Street – Chicago.

Cominciarono a frequentare Maxwell Street per le opportunità lavorative offerte dalle attività commerciali, successivamente i musicisti videro che nel giorno del mercato (la domenica) potevano finalmente avere un “palco”. I locali infatti non ospitavano persone di colore ma solo i bianchi. Tutti i generi di blues che videro i natali nel sud degli Stati Uniti (in particolare sul Delta del Mississippi), il country, l’acoustic, il back-porch, conobbero nuova vita qui a Chicago, trasformandosi in uno stile musicale che rispecchiava la vita di città. Diventò più graffiante, veloce, ma soprattutto elettrico, in quanto era necessario farsi sentire nel caos del mercato, utilizzando quindi gli amplificatori. Si assiste così alla nascita dell’Electric Blues, il genere che poi ha ispirato i musicisti di tutto il mondo, da cui poi è nato anche il rock ’n’ roll.

Tra gli artisti che si esibirono qui troviamo Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Bo Diddley, e nel già citato film The Blues Brothers c’è una scena emblematica, quella che vede Aretha Franklin protagonista di una ramanzina fatta al marito, colpevole di fuggire insieme a Jake e Elwood verso nuove avventure musicali.

La scena è ambientata in un diner di Maxwell Street (che oggi non esiste più) e inizia con Jake e Elwood che percorrono in auto la strada gremita di gente impegnata a fare acquisti e a ballare sulle note di Boom Boom, suonata ovviamente da John Lee Hooker. In ogni bella storia c’è sempre una nota malinconica, l’originaria Maxwell Street in realtà non esiste più, sono stati abbattuti i vecchi edifici per far posto a quelli moderni, alle catene di negozi e ai juice bar. Oggi a ricordare l’importanza di quel mercato troviamo delle statue e delle targhe, che ne raccontano la storia.

Affascinante, brillante, cupa, malinconica, frizzante, moderna, elegante, questi sono solo alcuni degli aggettivi che mi vengono in mente quando penso a Chicago, noi l’abbiamo girata in due giorni assaggiando solo una piccola parte delle meraviglie che offre, ma il tempo è tiranno e noi abbiamo un treno da prendere.

California Zephyr

24/12/2018 – 26/12/2018  

Arriviamo in stazione con circa 45 minuti di anticipo rispetto alla partenza, al centro della grande sala c’è un signore che dà informazioni ai passeggeri, ci dice che dobbiamo attendere che chiamino il nostro treno, nessun binario ci verrà comunicato.

Scopriamo quindi che funziona un po’ come in aeroporto dopo aver fatto il check in: quando la voce dall’altoparlante chiama il tuo treno allora devi metterti in fila e seguire le indicazioni del personale. Giunti al binario in fila indiana mi rendo conto che in America è davvero tutto fuori misura.

Il treno California Zephyr

Il treno è un gigante d’acciaio che brilla nei suoi due piani e credo almeno 5 o 6 metri di altezza. Il controllore ci indica la nostra postazione al secondo piano (il primo piano ho intuito sia dedicato a persone con disabilità motorie). Abbiamo optato per la poltrona in quanto il costo è di 120 euro circa, prezzo di tutto rispetto per affrontare distanze del genere con quelle tempistiche, mentre la cabina ovviamente ha tariffe inavvicinabili.

Dopo aver sistemato i bagagli ci precipitiamo nella zona più ambita del treno, la carrozza panoramica. C’è da dire che tutti i finestrini del treno, anche quelli delle poltrone classiche, sono molto grandi, ma la carrozza panoramica è stata progettata per soddisfare il desiderio più grande degli appassionati degustatori di paesaggi: poltrone rivolte direttamente sulle vetrate enormi, finestre anche sul soffitto, tavolini ai lati e prese elettriche in abbondanza. Tutto studiato per permettere allo spettatore di turno di rimanere incollato lì. 

Il treno partiva alle 16.50, orario che ci ha permesso di vedere giusto il tramonto in Illinois e iniziare a vedere l’alba due stati dopo, alla stazione di Denver (Colorado). Percorrere questa tratta d’inverno ha solo un inconveniente, le ore diurne sono ridotte, ma è un prezzo che abbiamo pagato volentieri per ammirare la scenografia mozzafiato dei canyon innevati in Colorado.

I paesaggi naturali sono incredibilmente differenti, si passa dalle zone aride con gli arbusti a quelle innevate con il fiume ghiacciato circondato da abeti, dalle praterie alle lagune. Un particolare che mi ha fatto molta tenerezza è che il treno passa per zone quasi totalmente disabitate, e ogni volta che incontravamo abitanti del luogo o escursionisti, questi si sbracciavano con entusiasmo per salutare il nostro passaggio. Per il resto lascerò parlare le fotografie. 

I passeggeri dello Zephyr

Guardandomi intorno noto con tristezza che la maggior parte dei nostri compagni di carrozza è più intenta a fissare lo schermo del telefono che il panorama, ma qualche eccezione c’è.

Ricordo un uomo, sui 40 anni, che non ha mai staccato gli occhi dal vetro, se non per portare la tazza di caffè alla bocca. Parlandoci abbiamo poi scoperto essere originario di Sacramento, stava tornando dalla famiglia per Natale. Prende sempre questo treno e mai l’aereo, perché costa meno e perché la vista sul canyon e sulle montagne innevate lo rilassa.

Passeggeri sul California Zephyr

Abbiamo poi fatto amicizia con Carlos, un vero cowboy del Texas con l’animo da artista. Dipinge quadri astratti con colori assurdi che ricordano i trip da LSD e mentre eravamo in viaggio ha scritto una canzone alla moglie. Si sorprende nel sapere che siamo italiane, dispiaciuto ammette di non essere mai stato in Europa, con il tono di chi vorrebbe sdebitare la nostra gentilezza nell’essere passate a dare un saluto.

Carlos ha girato tutti gli Stati Uniti, quindi gli chiediamo secondo lui quali sono i posti più belli in assoluto. Risponde con fermezza: l’area tra il sud dello Utah e il Nord dell’Arizona, in particolare il parco di Yellowstone. Da lì ha un colpo di genio, e si ricorda che la ragazza due poltrone dopo la nostra ci è appena stata.

Carlos, fautore di nuove amicizie, ci presenta la ragazza (non ricordo il nome, solo che è originaria di Shanghaii e ora vive a New York) la quale carinamente inizia a farci vedere le foto che ha scattato nei giorni precedenti. Tante foto.

Alla stazione di Reno salgono un centinaio di turisti, assai chiassosi. La pace goduta fino a quel momento viene spezzata per il resto del viaggio, ma ormai la meta è vicina.

San Francisco

12/2018-29/12/2018

Arrivate alla stazione di Emeryville attendiamo circa mezzora il pullman che ci avrebbe portato a San Francisco (servizio incluso nel prezzo del biglietto). Ricordo che quei 20 minuti sono stati più lunghi delle 52 ore fatte sul treno, perché la signora che avevo davanti aveva abbassato totalmente lo schienale schiacciandomi come una sardina. Dopo un timido tentativo nel chiederle di farmi respirare ho capito che l’unica lingua che conosceva era il cinese. Ho continuato a soffrire in silenzio.

Attraversando il ponte che collega Oakland alla penisola di San Francisco, il Bay Bridge, si apre davanti agli occhi lo skyline di San Francisco. Ricordo ancora di essermi sentita una contadinella di provincia che per la prima volta andava in città. Una sensazione di incredulità e stupore, i grattacieli qui sono molto diversi da quelli di Chicago. Ho percorso tutti i 2 km a piedi per raggiungere l’hotel con il naso all’insù, mentre mia sorella giustamente sbuffava perché doveva continuamente richiamare la mia attenzione per evitare che mi investissero. Sarei morta senza la sua pazienza.

San Francisco

Cominciando il giro della città apprezziamo da subito l’altra faccia di San Francisco, quella dell’architettura vittoriana e coloniale, passiamo prima per le tappe obbligatorie di Lombard Street (troppi turisti), Chinatown (bellissimo e divertente perdersi per le sue strade e curiosare nei negozi) e il Golden Bridge (fatto a piedi quasi interamente), per poi inoltrarci nel Presidio. Quest’area è molto particolare perché è descritto come un parco, ma a me è sembrato un vero e proprio quartiere super chic con vaste zone verdi.

Essendo originariamente un’area militare (nel XVIII sec. gli spagnoli vi costruirono il forte, il secolo successivo divenne la base dell’esercito americano) si trovano edifici-casermoni e ville in mezzo alle colline dove una volta abitavano i pezzi grossi dell’esercito, oggi credo persone molto ricche. Un particolare che ho notato: ogni villetta ha l’apposito supporto per fissare la bandiera americana con l’asta. 

L’obiettivo che avevamo puntato era il Walt Disney Family Museum, inserito all’interno del Presidio, per noi un sogno diventato realtà! Ci abbiamo passato circa 3 ore. Sulla strada di ritorno abbiamo fatto un curioso incontro, mentre cercavamo di orientarci per trovare l’uscita del parco abbiamo notato che sulla mappa era indicata la Yoda Fountain.

Ci guardiamo esterrefatte e corriamo verso il punto indicato, e ci ritroviamo davanti non solo una fontana con la statua di Yoda sorridente che la dominava, ma la sede centrale della Lucasfilm! Abbiamo sbavato sul vetro della lobby per 20 minuti ammirando gli interni con le statue dei personaggi di Star Wars, locandine di film e ammennicoli vari, tutto addobbato con decorazioni natalizie. Se ci doveste passare di giorno abbiamo scoperto che è visitabile (ma non è un museo, è comunque un posto di lavoro).

Il giorno seguente abbiamo fatto una gita fuori città che consiglio vivamente a chiunque, il Muir Woods, un parco naturale dove è possibile ammirare le sequoie passeggiando per un ampio sentiero asfaltato molto semplice, adatto anche alle famiglie con carrozzine. Si prende un autobus dalla città con direzione Sausalito, da dove poi ogni ora parte una navetta che porta al Parco Nazionale.

L’ultimo giorno abbiamo fatto diverse tappe, la più divertente è stata sicuramente la visita al museo della Wells Fargo (gratis!), piuttosto piccolo ma interessante. Già dalla vetrina si può ammirare una vera diligenza dell’800, una riproduzione (nella quale è possibile salire e vedere un video che racconta la storia della Wells Fargo), e diversi reperti dell’epoca del West e della famosa corsa all’oro.

Altra visita doverosa era per la City Lights Bookstore, storica libreria indipendente (e casa editrice) che propone principalmente letteratura di stampo progressista. Fondata nel 1953, è diventata il luogo simbolo della Beat Generation, essendo molto vicina agli ideali di questo fenomeno culturale e avendo pubblicato diversi libri di autori appartenenti al movimento.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Prendendo informazioni sul sito dell’Amtrak (la società di trasporto ferroviario americana) abbiamo scoperto che lo Zephyr non è l’unico treno a lungo raggio, ma ne esistono diversi, ve ne cito solo alcuni per cullare la vostra curiosità:

  • Sunset Limited – da New Orleans a Los Angeles
  • Silver Meteor – da New York a Miami
  • Coast Starlight – da Seattle a Los Angeles
  • Palmetto – da New York a Savannah 
  • Texas Eagle – da Chicago a Los Angeles

Testo e foto di Francesca Romana Abbonato

Potrebbero interessarti anche...

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, scrivi a ghigliottina.it@gmail.com. Cookie Law

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, scrivi a ghigliottina.it@gmail.com.

Chiudi