L’ospite di Duccio Chiarini e un viaggio sui divani degli altri per ritrovarsi
Il divano come metafora della precarietà che ancora avvolge (più) di una generazione e come non-luogo per ritrovarsi e ritrovare ciò che avevamo perso. Lo racconta Duccio Chiarini nel suo ultimo film L’ospite, nelle sale dal 22 agosto
“Volevo raccontare quel momento della vita dei quasi quaranta quando dovresti essere una persona ormai definita invece c’è sempre qualcosa che non torna”.
Esordisce così Duccio Chiarini di fronte a un Cinema Mexico (storica sala milanese) gremito in occasione della proiezione de L’ospite, suo ultimo film di cui è regista, sceneggiatore e ideatore.
“Circa 11 anni fa convivevo con la mia fidanzata. Un giorno mi dice che dobbiamo parlare, due giorni dopo ero fuori di casa e ho iniziato a vagare per i divani di casa dei miei amici” – racconta il regista – “Mi aveva colpito quel punto di vista insolito, il dietro le quinte delle vite delle persone a me vicine. Da lì ascolti cose che di giorno normalmente non senti”.
Nasce così l’idea de L’ospite, la cui prima stesura risale a diversi anni fa. La sceneggiatura rimane ferma per un po’ di tempo, Duccio Chiarini si concentra su altri progetti cinematografici, fino a quando non la riprende in mano. Non più però con lo sguardo e il vissuto di un trentenne bensì con quello di un quasi quarantenne.
Il risultato è una commedia agrodolce e delicata, un dramedy che indaga senza sovrastrutture eccessive i motivi della fine di una relazione, il difficile percorso dell’accettazione di una rottura e il naufragio dei piani di una vita che si era già ben immaginata.
Protagonista è Guido, che si ritrova a passare da un’esistenza placida a un turbinio di cambiamenti personali e professionali. Molla scatenante è la rottura con la storica compagna Chiara, che lo porta a cercare riparo sui divani di amici e genitori ritrovandosi suo malgrado a scoprire i dubbi e le ansie amorose di chi lo circonda.
Testimone involontario delle imperfezioni delle vite dei suoi affetti, Guido cerca di destreggiarsi tra i dolori del suo cuore, sia fisico che metafisico, che le incertezze di una vita professionale troppo spesso accettata e mai vissuta a pieno.
Sarà proprio la rottura con Chiara, confusa tanto quanto lui sulla sua di vita, ad aiutarlo a rimettere a fuoco i suoi desideri, senza dimenticare però di confrontarsi con la realtà che lo circonda.
“Volevo che fosse un film che in qualche modo togliesse e non che invece accentuasse le nevrosi e le ansie dei suoi protagonisti” – spiega il regista al termine della proiezione. Cercare di dosare l’ironia con l’amarezza, questo il punto di forza de L’ospite, capace di far ridere con intelligenza lasciando spazio comunque alla malinconia e alla tenerezza.
Si avverte spesso una sottile influenza del cinema di Woody Allen tra le scende del film. Dialoghi intensi capaci di toccare contemporaneamente corde diverse nello spettatore, un protagonista affetto da piccole nevrosi e battiti accelerati, quella patina di nostalgia che guida le scelte di tanti personaggi.
Tra tutti spicca lui Guido, qui interpretato da un convincente Daniele Parisi, capace di restituire allo spettatore un personaggio sfaccettato e nevrotico senza cadere nel rischio della macchietta caricaturale. E poi c’è un trio di donne che supportano il protagonista e, che regalano diverse sfumature dell’universo femminile così troppo spesso stereotipato in questo genere di commedie.
Silvia D’Amico nei panni di Chiara in fuga verso il proprio senso di realizzazione personale, Anna Bellato, Lucia, la collega di Guido che riscopre un’antica passione e non si rassegna all’esser relegata al solo ruolo di madre, Thony nei panni di Roberta che combatte la solitudine con il dating online, cercando il suo posto in una città nuova ed estranea.
L’ospite diventa quindi anche il pretesto per raccontare una generazione, quella che si appresta ad entrare nei temuti “anta”, che vive le proprie emozioni ancora allo sbaraglio, una precarietà emotiva che si continua a trascinarsi negli anni e che appare lo scoglio da superare per definirsi ineluttabilmente adulti fatti e finiti.
È interessante come il film non pretenda di dare alcun giudizio o consiglio sulle modalità d’uso dell’amore e delle relazioni. Racconta però come nulla sia definitivo e soprattutto come non sia obbligatorio aver spuntato tutte le caselle “imposte” troppo spesso dalla società solo per aver compiuto una determinata età, come ad esempio aver messo su famiglia, la casa di proprietà o avere un lavoro stabile. Questa corsa alla vita perfetta viene puntualmente interrotta dalle svolte impreviste contro le quali spesso ci scontriamo e che a volte servono come una sorta di wake-up call per ricordarci cosa volevamo e cosa ancora possiamo desiderare di volere.
Come un divano rosso qualunque, che per noi diventa assurdamente il migliore di sempre.
Ma soprattutto ci ricorda attraverso le parole di Brunori Sas, che appare in una cammeo nella pellicola e dove interpreta il brano inedito Un errore di distrazione come “Il dolore serve proprio come serve la felicità”.
L’ospite è in pochi ma selezionati cinema italiani. Merito della perseveranza di Duccio Chiarini che al pubblico del Mexico racconta la lunga strada verso l’approdo in sala. L’ospite infatti era stato presentato a Locarno e al Torino Film Festival nel 2018 con un ottimo riscontro e proprio in quell’ultima occasione si era aperto uno spiraglio con una casa di distribuzione.
A seguito del silenzio e dei tempi quasi immobili di quest’ultima – “Episodi purtroppo noti a tanti giovani autori e dei quali fanno le spese spesso ottimi film” – spiega il regista, Chiarini convince Tommaso Arrighi già produttore del film ad auto distribuirlo nelle sale. La Mood Film, casa di produzione che ha co-prodotto la pellicola, diventa così anche casa di distribuzione e dal 22 agosto L’ospite è presente in alcune sale.
È un bell’epilogo che denota però le falle del sistema di distribuzione del cinema in Italia, che spesso penalizza tanti giovani autori e le loro storie. Lo spettatore può fare però nel suo piccolo qualcosa, supportando queste pellicole, andandole a vedere e spargendo la voce. Il potere del buon vecchio passaparola che ancora oggi, in un’epoca dominata dalla tecnologia, può ancora far molto e riavvicinare ulteriormente il pubblico al cinema italiano e, come nel caso di Milano, al circuito delle sale indipendenti e meno mainstream.