Perché Matteo Renzi è il nuovo problema di Conte
Dopo aver piazzato i suoi al governo, Renzi annuncia l’addio al Pd e nuovi gruppi parlamentari. Ma se al Nazareno molti tirano un sospiro di sollievo, a Palazzo Chigi sono preoccupati
È una questione di tempo. Non si parla di altro. “Proprio ora che c’era bisogno di unità” o “Non poteva esserci momento migliore, era ora“.
Tutto qui il dibattito tra i militanti del Pd e i renziani, anche quelli che non seguiranno l’ex presidente del Consiglio nella scissione appena annunciata. Il pensiero non va molto oltre l’opportunità temporale di questa scelta di cui oramai si parlava da diversi mesi.
Era lì dietro l’angolo, ma probabilmente non ci si aspettava che tutto precipitasse nelle stesse ore in cui Matteo Renzi piazzava alcuni suoi fedelissimi nelle caselle del neonato governo. Appena finito di giurare nelle mani del presidente della Repubblica, mettendo in cassa la sua componente, Renzi ha sfilato la tovaglia dalla tavola appena apparecchiata.
Un tempismo che gli ha attirato ancora una volta accuse di complottismo tra chi legge in questa mossa, la chiave per diventare ago della bilancia sulla tenuta dell’Esecutivo. Insomma, qualcuno vede nei gesti di Renzi un Salvini della sinistra (?). Renzi voleva assicurarsi ancora una volta il potere di far saltare il banco e questo Giuseppe Conte lo ha intuito benissimo, tanto da affidare alle agenzie, dei flash da Palazzo Chigi dal tono “se lo avessimo saputo prima, avremo valutato in altro modo il progetto di un nuovo governo”.
Così Conte liberatosi di un Matteo, se ne trova un altro altrettanto pericoloso per l’Esecutivo. Perché questa scissione del Partito Democratico rischia di diventare tutt’altro che una questione di partito, ma un’altra bega per il presidente del Consiglio, che è già stato chiamato in aula a riferire su questo nuovo assetto.
Intanto, in settimana si formerà il nuovo gruppo parlamentare alla Camera e al Senato l’adesione del socialista Riccardo Nencini ai renziani potrebbe essere dirimente per la costituzione di un gruppo autonomo dal gruppo misto. Il regolamento di Palazzo Madama prevede, infatti, che i gruppi debbano corrispondere ai partiti che hanno eletto dei rappresentanti in Senato e Nencini, eletto con “Insieme“, è l’unico che potrebbe dare il via a un gruppo autonomo.
Anche perché gruppo vuol dire finanziamenti da parte della Camera e del Senato, dove ogni anno, complessivamente, viene spartita una torta di circa 50 milioni di euro tra i vari gruppi in base al numero dei componenti. Quindi va da sé, che togliendo parlamentari al Pd, Renzi oltre a incassare come gruppo autonomo toglierà anche risorse economiche al vecchio partito (già in profondo rosso).
Comunque anche in questa occasione Renzi ha fatto Renzi. Ha posizionato i suoi fedelissimi al governo e si riserva il potere di far saltare tutto al momento giusto. L’uscita dal Pd infatti preoccupa più Palazzo Chigi che il Nazareno, dove forse finalmente si comincia a respirare un’aria più serena. Non era il momento giusto? Forse, ma Renzi ancora una volta ha giocato d’attaccante, da chi di fronte alla porta non passerebbe mai il pallone ad altri.