Kashmir, aumentano le tensioni con il governo centrale
In estate l’India di Modi aveva deciso il pieno controllo della regione, senza chiederne il parere
Si profila un autunno di forti tensioni in Kashmir, così come previsto da politici e opinione pubblica locale a seguito dell’abolizione dell’art. 370 della Costituzione per volere dell’India di Narendra Modi, lo scorso 5 Agosto.
Il provvedimento, effettivo nell’immediato, è arrivato in un clima da colpo di Stato: nei giorni precedenti l’ufficializzazione il governo centrale aveva isolato il Kashmir oscurando telefoni e rete internet, chiudendo le scuole e chiedendo la fuoriuscita di migliaia di turisti e pellegrini con la pretesa di un possibile attacco terroristico. Le 10 mila truppe militari inviate in loco avevano lo scopo di mantenere il nuovo ordine e di sgomberare qualsiasi manifestazione o riunione in luoghi pubblici. Soprattutto, alcune figure politiche erano state poste ai domiciliari, tra cui l’ex Primo Ministro Mufti.
Sebbene l’azione (promessa e) voluta da Modi abbia suscitato le proteste e lo sdegno dei politici Kashmiri, risulta, comunque, legale: un anno fa il governo Mufti era stato ridotto in minoranza per cui per modificare la Costituzione – cosa che richiede il nulla osta del governo statale – non è stato più necessario fare alcune passaggio.
Come si capisce, l’India di Modi lavorava a questo intento da molto tempo con lo scopo finale di ridurre l’influenza politica del decennale nemico Pakistan, con cui condivide non solo la sovranità della regione ma anche una storia di tensioni e violenze. Secondo fonti ufficiali di entrambe le parti, solo nel 2019 si contano 21 morti di cittadini indiani e 45 di pakistani per reciproci attacchi terroristici. All’indomani della perdita dell’autonomia del Kashmir è scoppiata una forte repressione verso attivisti e separatisti. Un mese e mezzo dopo, la situazione non sembra migliorata: stando alle fonti informative Kashmire, diverse centinaia di persone tra politici, imprenditori e militanti sono stati arrestati senza processo e trasferiti in prigioni indiane dove sono ancora rinchiusi.
Ma cosa è cambiato, in concreto, con la nuova disposizione? L’art. 370 prevedeva uno “Statuto speciale” per Jummu e Kashmir, regione ai piedi dell’Himalaya contesa tra India e Pakistan dal 1947 a seguito della liberazione dal colonialismo britannico. Secondo questo statuto, il Kashmir, a maggioranza musulmana, aveva diritto di legiferare autonomamente – fatta eccezione per argomenti di politica estera, difesa e comunicazione che sono sempre stati, invece, controllati da Nuova Dehli. A salvaguardia dell’identità locale, inoltre, era vietato acquistare immobili ai non residenti e la popolazione indigena godeva di tutele a livello di amministrazione pubblica ed accesso all’ istruzione universitaria.
Tutto questo è stato cancellato in modo unilaterale dal Partito Nazionalista Bharatiya Janata (BJP), da cui esce il Premier Modi, rieletto di recente. Così come senza appello è stata decisa dal governo indiano la nuova divisione amministrativa: il Ladakh, la parte orientale a maggioranza buddista, rimarrà separato; le parti restante del Jammu e Kashmir, prevalentemente indù nel sud e musulmana nel nord, diventeranno «territorio dell’Unione». Sotto totale e diretta amministrazione centrale.
Per Jay Panda, Vice Presidente del PJB, il pieno controllo indiano rappresenta un’opportunità di crescita per la regione: in termini di diritti civili, pensando a minori, donne, comunità LGBQT ed ex intoccabili che verranno acquisiti all’essere annessi al governo indiano. Ma anche rispetto agli investimenti economici ora possibili sul territorio. “Il Kashmir adesso ha la possibilità di essere infinitamente migliore” secondo il politico di Modi.
Ma c’è chi ritiene che la decisione di quest’estate rappresenti “un tradimento alla democrazia indiana”. Sashi Tharoor, esponente di Congresso Nazionale Indiano, partito laico e di centro sinistra non nega il ritardo del Kashmir in temi economici e di legislazione civile ma sottolinea l’erroneità di prendere una decisione tanto importante in modo unilaterale e violento. Un atto che rischia di segnare il prossimo futuro dell’intero Paese. Del resto un primo risultato sull’economia locale ha segno di perdita: i fatti di agosto hanno segnato un brusco calo sul turismo, settore fino ad oggi trainante. E Tharoor pone attenzione anche al vuoto politico che è stato creato dopo che i maggiori esponenti sono stati arrestati: un vuoto che rischia di essere colmato da fuoriusciti illegali e forze non democratiche.
La preoccupazione su quelli che saranno i risvolti in Kashmir è molta: del resto, poche volte la negazione dell’autodeterminazione di un popolo non ha comportato crisi sociali e politiche.