Haruki Murakami incanta la città di Alba e ci ricorda il potere magico del racconto
Vincitore del Premio Lattes Grinzane 2019, sezione La Quercia, il noto scrittore giapponese è stato protagonista di una lectio magistralis intensa e appassionata nel corso della quale ha parlato del suo approccio alla scrittura e il ruolo secolare del racconto
È un teatro straripante di persone quello che ha assistito ieri, venerdì 11 ottobre, alla lectio magistralis di Haruki Murakami nella prestigiosa cornice del Teatro Sociale di Alba.
L’occasione, più unica che rara, era la cerimonia del Premio Lattes Grinzane 2019 che ha visto proprio il noto scrittore giapponese ricevere il prestigioso premio letterario, e giunto alla sua nona edizione.
Dopo una veloce introduzione a cura dello scrittore Marcello Fois, sul palco arriva Murakami accolto tra un misto di riverenza, meraviglia e ammirazione da parte del pubblico. Sorriso timido, jeans, camicia chiara e una giacca, un’apparenza ordinaria che fa capire che è in quella semplicità che si annida la vera grandezza.
E poi con tono pacato, rigorosamente in giapponese, inizia il suo intervento dal titolo emblematico “Un piccolo falò nella caverna”. Murakami seduce tutti il pubblico in sala (peraltro blindata, su richiesta dell’autore sono state vietate sia foto che video) con un’intervento di un’ora e mezza dedicata al motivo per il quale scrivi libri o più semplicemente come nascono i suoi romanzi.
“L’essenziale, per me, è che questa storia abbia spontaneità. Perché se per caso non l’avesse, mancherebbe di forza di persuasione. Non riuscirebbe a far vibrare il cuore dei lettori”, – spiega Murakami. Spontaneità come parola chiave per comprendere l’evoluzione delle trame dei suoi libri e il suo approccio alla pagina bianca.
Racconta di come il suo modo di scrivere non sia fondamentalmente cambiato nel corso degli anni, ne sono passati quaranta dal primo libro, e di come il metodo sia rimasto lo stesso. Spontaneo per l’appunto. Non parte mai da una struttura e una trama ben delineata, piuttosto quando ne sente l’esigenza scrive di getto un’istantanea creatasi nella sua mente. Un breve frammento frutto di un impulso momentaneo.
“Scrivo quello che mi viene in mente. L’importante è che si tratti di cose che affiorano in modo del tutto spontaneo – prosegue Murakami -. Cose che emergono in maniera naturale dal profondo di me, come l’acqua sotterranea sgorga in superficie diventando un fonte”.
Non c’è quindi alcun tipo di sovrastruttura o piano preciso da seguire. Nessuna bozza di trama già delineata. Quel che conta è quella spontaneità, parola che ancora torna e molte altre volte tornerà nel corso della lectio, perché senza di essa il romanzo “mancherebbe di persuasione”.
Lo scrittore prosegue poi nel raccontare come tale processo sia fondamentale per arrivare a una completa libertà creativa che lo
porta ad accedere con più facilità al proprio inconscio raggiungendo quella che lui definisce “la tua vera storia” non costruita sulla
base di un processo logico e razionale quanto su un impulso emozionale colto dal tuo intuito. Ciò permette secondo Murakami di scrivere storie in cui si riesce a creare davvero una connessione con il lettore comunicando a un livello più profondo.
Non manca poi un’importante riflessione sul ruolo che la musica ha rivestito e riveste tuttora nella sua prolifica carriera di scrittore. Murakami infatti nasce come proprietario di jazz (di cui è grande cultore come dimostra anche nel suo libro “Ritratti in jazz”) e da sempre la musica riveste un ruolo centrale nella sua metodologia di lavoro. Cita il ritmo come uno degli elementi imprescindibili di un romanzo, “quello che riesce a mandare avanti il racconto. A volte semplice, a volte complesso, e anche, ogni tanto, capace di scuotere l’aria come una magia”.
Improvvisazione, ritmo e melodia. È questo l’ultimo elemento che, come una triade magica, compone quella che è la poetica e allo stesso tempo lo stile di scrittura di Murakami.
“Infine c’è la melodia, quella che in conclusione resta profondamente impressa nel cuore del lettore. In un romanzo, sarà un paragrafo straordinario che spontaneamente ci viene voglia di citare. Un bel passaggio che ci avrà dato una forte emozione” – prosegue Murakami.
Non è un caso che questi tre fattori appena citati siano subito riconducibili all’universo musicale. La musica rimane, e Murakami lo dimostra anche durante questa lectio, un elemento imprescindibile della sua vita. Lo dimostra anche l’ultimo libro appena uscito, edito come sempre da Einaudi, “Assolutamente musica” scritto insieme al noto direttore d’orchestra Ozawa Seiji.
Chiude l’intervento una riflessione finale sul ruolo storico e sociale del romanzo e del racconto in generale, che riprende e spiega il titolo della lectio “Un piccolo falò nella caverna”. Murakami spiega come, sebbene non esista un modo standard di scrivere romanzi, ci siano però all’interno di essi degli elementi fondamentali comuni ovvero la capacità di creare un senso di fiducia nei confronti del racconto da parte di chi lo ascolta o legge.
Racconta di come fin da quando l’uomo viveva nelle caverne i racconti intorno al fuoco hanno rappresentato quello svago momentaneo dalla paura dell’esterno e dalla fame. Un momento di condivisione intorno a quel fuoco che scalda e illumina e un uomo, sempre lo stesso che racconta sera dopo sera un racconto che va’ via via modificandosi anche in base alle reazioni dei suoi ascoltatori.
Uno scenario simile in ogni epoca in qualunque altro posto della Terra, un rito che si consuma anche oggi seppur sotto forme diverse. Quei racconti con la stampa sono diventati libri che a loro volta oggi sono supportati da strumenti elettronici. Ma non ne cambia la sostanza spiega Murakami. La struttura degli stessi è la stessa dei racconti intorno al fuoco. E gli scrittori altro non sono che coloro che portano avanti il lavoro di quei narratori.
E se anche oggi le notti sono un po’ meno buie, abbiamo sempre bisogno di quei piccoli falò per rischiare il buio che si nasconde dietro l’angolo. Quei falò oggi e per sempre sono le storie, sono i libri e i romanzi.
Una piccola pausa e poi un’ultima battuta finale. “Per quarant’anni, tenendo a mente quei falò, ho continuato a scrivere senza interruzione. Se con le storie che ho scritto sono riuscito, anche solo un pochino, a illuminare gli angoli oscuri di tante caverne in tanti posti del mondo, e se potessi continuare a farlo anche d’ora innanzi, non ci potrebbe essere per me gioia più grande”.
Un ultimo sorriso dolce e poi una scoppio fragoroso di applausi, lui che si stringe un po’ quasi imbarazzato da una simile ovazione. Eppure il pubblico in sala sa perfettamente a cosa ha assistito. All’ennesimo incantesimo di un cantastorie provetto, colui che è oggi (con o senza Premio Nobel) il più grande scrittore vivente. Infine nel ricevere il Premio Lattes Grinzane 2019 ricorda gli anni vissuti a Roma, dove peraltro scrisse Norwegian Wood e Dance, dance, dance e rinnova il suo amore per l’Italia.
Poi silenziosamente scompare così come era entrato. Con semplicità e un piccolo di aplomb zen così tipico del suo Paese, quasi come un cantastorie che, terminato il racconto, si appresta a riprendere il suo viaggio.
(immagini via facebook.com/fondazionebottarilattes)