Musica in 3D: i tre dischi per affrontare meglio novembre
I dischi selezionati non sono necessariamente stupendi o speciali ma si meritano l’ascolto lento, quello fatto con calma e attenzione, senza ricorrere allo skip da una canzone all’altra. Questo mese parliamo di tre dischi molto particolari: The Center Won’t Hold di Sleater-Kinney, The Complete Jeff Buckley and Gary Lucas Songbook firmato The Niro feat. Gary Lucas e Everything Hits At Once degli Spoon
Center Won’t Hold – Sleater-Kinney
Per questo appuntamento mensile con la rubrica Musica in 3D l’unico disco 100% originale è frutto del lavoro in studio di ben 4 donne molto speciali. Due di loro sono le fondatrici storiche del gruppo nato nel 1994 dalle ceneri del movimento Riot grrrl vale a dire Corin Tucker e Carrie Brownstein. C’è la ormai ex batterista del gruppo Janet Weiss, che ha deciso di lasciare le compagne di viaggio poco dopo aver chiuso questo disco. E la quarta è nientemeno che Annie Clark – più famosa con il nome d’arte St. Vincent – che di quest’opera ha curato la produzione.
Le Sleater-Kinney dopo 25 anni di carriera e con 8 dischi alle spalle tornano in una veste decisamente nuova e al passo con i tempi. La mano di St. Vincent è stata pesante e sembra che abbia sfruttato al massimo le capacità artistiche soprattutto delle due compositrici la Tucker e la Brownstein senza però snaturarle. L’impatto sonoro è decisamente diverso dai loro lavori passati che, spesso, hanno faticato a trovare melodie orecchiabili adatte al grande pubblico.
In questo disco invece le sonorità sono efficaci e fluide nella maggior parte dei pezzi con picchi massimi di orecchiabilità ultra pop con “Reach Out” e specialmente con il singolo “Can I Go On”. Ci sono anche la canzone spacca cuore “Restless” con il classico ritornello che entra in testa perseguitandovi per giorni.
“And my heart wants the ugliest things
My heart wants the ugliest things
But I’ve learned to love the ugliest things
Like you and me, and me and you
And me”
E poi ci sono pezzi più ruvidi, crudi ed elettrici come “Ruins”, “Love” e “Bad Dance” che mettono in luce tutta la fisicità del gruppo.
Insomma, se prima di adesso non avete mai sentito parlare delle Sleater-Kinney, questa è l’occasione buona per iniziare ad ascoltarle. Se, invece, le avete amate per le produzioni precedenti rimarrete un po’ delusi per una deriva un po’ commerciale. A mio avviso, nel complesso, è un disco che si attacca al palato di diversi gusti musicali. Vi invito, dunque, a non rinunciare all’ascolto e a non giudicare l’intero lavoro fermandovi alla prima traccia che è poi proprio quella che dà nome al disco: un fragore metallico, sordo e ripetitivo cvi introdurrà al cospetto di un disco veramente rifulgente.
The Complete Jeff Buckley and Gary Lucas Songbook – The Niro feat. Gary Lucas
Jeffrey Scott Buckley è una leggenda e su questo non ci sono dubbi. In questo caso stiamo parlando di 12 brani scritti a 4 mani da Jeff e Gary Lucas, tra cui 5 inediti mai registrati ovvero: “No one must find you here”, “Story without words”, “In the cantina”, “Distortion” e “Bluebird blues”.
Ma andiamo con ordine. Forse quasi tutti sanno chi è Jeff Buckley e molto probabilmente quasi tutti sanno che sfortunatamente ha lasciato ai posteri un solo disco in studio, ovvero Grace. Una pietra miliare del rock, sicuramente uno dei dischi più belli del 1994 e più in generale di metà anni Novanta, al 303º posto nella lista dei 500 migliori album di tutti i tempi secondo Rolling Stone.
Purtroppo Buckley morì nel 1997 a soli trentanni e il secondo disco – Sketches for My Sweetheart the Drunk -, seppur pubblicato nel ’98, è un opera incompiuta (per questo “Sketches” ovvero “abbozzi”). Il terzo ed ultimo disco You and I è anch’esso postumo e pubblicato a marzo 2016: è composto da 8 cover interpretate da Jeff più 2 canzoni originali. La cosa che mi ha sempre affascinato di questo disco è che la selezione dei brani e l’intero processo produttivo è stato affidato alla mamma di Jeff (Mary Guibert). Oltre a questi troverete diversi dischi live, edizioni speciali e rarità.
E allora dov’è la peculiarità di questo disco?
Innanzitutto non è un album di Jeff Buckley ma è come se lo fosse: le canzoni sono tutte state scritte da Jeff (e Lucas) quindi i fan un pò spaesati da questo progetto possono comunque ritrovare l’essenza di Buckley nei testi e nelle strofe. Poi non dimentichiamoci l’importanza di Gary Lucas nell’impronta sugli arrangiamenti e sui riffs di chitarra che forgeranno poi il Jeff che conosciamo.
Pochissimi sanno infatti che i due, Gary e Jeff, hanno avuto una breve ma intensa attività all’inizio degli anni Novanta nel gruppo Gods and Monsters dove Buckley militò per quasi un anno. E proprio 2 della canzoni più belle e popolari di Jeff Buckley incluse in Grace (la title track e Mojo Pin) sono frutto della loro collaborazione.
Lucas, sebbene abbia lavorato spesso e volentieri nell’ombra collaborando e suonando con artisti del calibro di Nick Cave, Leonard Bernstein, Chris Cornell, Lou Reed, John Cale o David Johansen, è indubbiamente uno dei migliori chitarristi viventi e in questo disco potrete sentire un distillato delle sue capacità come arrangiatore e produttore seriale di ottime parti strumentali di chitarra.
E poi c’è The Niro, nome d’arte di Davide Combusti, il quale non si è limitato ad imitare la voce e lo stile di Jeff ma ha proprio creato un personaggio tutto suo dando al disco una solida importa canora e una brillante chiave interpretativa che mantiene alta su tutte le tracce del disco. Il risultato è un progetto unico nel suo genere e, forse, una delle migliori pubblicazioni italiane indipendenti (l’album è pubblicato in Italia per Esordisco) del 2019.
Everything Hits At Once – Spoon
«L’idea di fare un best-of ci era già venuta un paio di volte. All’inizio non ero sicuro di come mi sarei sentito a riguardo, ma poi mi sono ricordato che il primo disco dei Cure che ascoltai fu Standing On A Beach, così come il primo New Order fu Substance. Fu così che conobbi quelle band, e da lì andai a ritroso a scoprire la loro discografia. Adoro i greatest hits, quando sono fatti bene. Possono avere dignità di dischi a sé stanti».
Queste le parole di Britt Daniel frontman della band in occasione della promozione di questo disco degli Spoon. La band viene da Austin (Texas) e si è formata a metà degli anni Novanta diventando un punto di riferimento dell’Alternative Rock statunitense.
Si tratta appunto di un Greatest hits, una raccolta di 12 loro pezzi più un pezzo inedito, “No Bullets Spent”.
La scelta di includere questo disco in questa rubrica non è stata facile per due motivi: primo perché è il secondo disco con pochi pezzi originali di cui parlo in questa sede e secondo perché, prima di questo disco, non conoscevo proprio gli Spoon.
Eh già, mi sono lasciato convincere dalla parole di Britt e provato a traslare la sua esperienza con la mia: anche io posso vantare diverse “compilation” di artisti che mi hanno convinto ad ascoltarli ed in seguito ad amare un gruppo. Nel mio caso c’è sicuramente Standing On A Beach – The Singles dei Cure che, quando l’ho ascoltato per la prima volta, mi ha convinto ad approfondire la conoscenza del gruppo di Robert Smith.
Stessa cosa e stesse sensazioni con Money for Nothing, la prima raccolta dei Dire Straits uscita più o meno nello stesso periodo della raccolta dei Cure (1986 Standing On A Beach e 1988 la raccolta della band dei fratelli Knopfler). Al terzo posto nella mia classifica personale dei Best Of che mi hanno cambiato la vita e fatto amare tutta la discografia di un gruppo è In Time: The Best of R.E.M. 1988-2003, ma in questo caso si è trattato più di una riscoperta del gruppo e conoscevo da tempo la maggior parte dei loro dischi epici come Out of Time, Automatic for the People e Monster.
Poi ci sono stati i Best of che ho odiato perché hanno restituito un’immagine commerciale dell’autore priva di elementi caratterizzanti e tralasciando sfumature fondamentali della storia dell’artista. Due esempi che ancora oggi mi fanno ribollire il sangue nelle vene sono Greatest Hits, la prima raccolta di Bruce Springsteen uscita nel 1995 e International Superhits! dei Green Day (2001).
Insomma tutto questo per dire che le raccolte, oltre ad essere una buona trovata commerciale per le case discografiche, a volte possono essere un patrimonio importante nella carriera di un’artista che permettono di far conoscere aspetti particolari di un musicista, rimettere in circolo vecchi successi o – come in questo caso – arrivare ad un pubblico più vasto.
Già perché, nonostante gli Spoon siano una sorta di autorità nella musica indie degli States, in Italia sono stranamente poco conosciuti. Per quanto mi riguarda questo progetto discografico ha fatto centro: grazie ad una news su Pitchfork di giugno che riportava la dichiarazione di Britt Daniel che leggete all’inizio di questa sezione, ho ascoltato e ri-ascoltato il disco e da lì sono andato ad ascoltare la maggior parte dei loro album in studio (9 in tutto). Da questo mese gli Spoon sono entrati nella sfera dei miei gruppi preferiti grazie a questa raccolta.
E pensare che all’inizio dell’estate scorsa non sapevo neanche chi fossero! Provare per credere.