Il treno dei bambini di Viola Ardone: un romanzo che scalda il cuore
Il treno dei bambini di Viola Ardone è stato il caso editoriale italiano dell’ultima Fiera di Francoforte. È in corso di traduzione in 25 lingue
La narrazione di Viola Ardone prende le mosse da fatti storici che risalgono al periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Il paese si stava lentamente riprendendo dal conflitto bellico e la situazione economica non era rosea. Tanto più al sud.
Nasce allora da un’idea del Partito comunista italiano un’iniziativa di solidarietà, promossa soprattutto dalle donne del partito: i bambini del sud saranno ospitati durante tutto l’inverno da famiglie del nord. Porteranno vestiti pesanti e saranno nutriti e mandati a scuola, avranno la possibilità di sopravvivere all’inverno. Le famiglie rimaste al sud saranno sollevate durante quei mesi dall’onere di mantenere quei figli, onere che per lo più non sono in grado di sostenere.
Sullo sfondo dunque il contesto storico. Il tutto narrato in maniera divertentissima attraverso la voce del piccolo Amerigo Speranza, scugnizzo napoletano che riesce a trasformare le schermaglie tra monarchici e comunisti in una battaglia a morra cinese.
Amerigo è un bambino di circa otto anni cui il lettore non può non affezionarsi. Affronta la durezza della vita con la vivacità tipica dei bambini, trasformando la povertà in un gioco. Il tutto narrato con un italiano che assorbe elementi del dialetto restituendo una scrittura che ben valorizza la narrazione e i personaggi. Il risultato è un romanzo vivace, divertente, tenero eppure in grado di restituirci la vita per come è.
Amerigo vive con la madre a Napoli nei quartieri poveri. Una madre che ha già perso un figlio per malattia prima che lui nascesse e che non ha carezze da dare perché lei per prima non ne ha mai ricevute. Un padre non ce l’ha.
Intorno a madre e figlio una coralità di personaggi divertenti: la Pachiocchia, la Zandragliona, Cape’ e Fierro, e i tanti bambini come Tommasino, Mariuccia e tanti altri. Bambini che un treno porterà lontano dalle famiglie.
Attraverso gli occhi e la voce di Amerigo si vivrà la curiosità e il timore (perché si sa che i comunisti mangiano i bambini) e il distacco dalle famiglie. L’incognita di un nuovo ambiente e la sorpresa che esiste un altro calore in cui si può crescere. La paura di dimenticare la propria casa. La difficoltà di tornare a casa e sentirsi in qualche modo spezzati in due, tra un prima e un dopo, una famiglia al nord in cui i bambini si sentiranno accolti e il ritorno alla propria realtà.
Nell’ultima parte del romanzo un netto cambio di registro in corrispondenza con un personaggio ormai diventato più che adulto che finalmente riesce a fare pace con il suo passato, la sua infanzia, la sua città e le sue scelte. E soprattutto con la madre. Il romanzo si trasforma così in una lettera d’amore alla madre, un amore che siamo capaci di riconoscere e dichiarare solo quando si riesce a guardare alle scelte dei propri genitori con gli occhi di un adulto.