Exit West: una storia di umana resilienza
Quella di Mohsin Hamid è una favola che spersonalizza divenendo un racconto universale che accomuna nella sua narrazione città e persone
Un tempo indecifrabile di prossimo futuro. Una città indefinita, non in pace ma non ancora in guerra.
Saeed e Nadia, due giovani molto diversi tra loro, si conoscono e si frequentano in un tentativo umano di vita ordinaria. Vanno a una scuola serale. Hanno un lavoro. Lui vive ancora con i genitori. Lei ha deciso di andare a vivere da sola provocando così una rottura con la sua famiglia che non avrà la volontà né la possibilità di sanare.
Nel frattempo la situazione politica gradualmente degenera. La guerra diventa reale solo quando colpisce persone che si conoscono, persone della propria quotidianità. Solo quando sono le mura di casa ad essere crivellate dai proiettili.
Aumenta il senso di insicurezza e di isolamento. C’è il coprifuoco. Ci sono i miliziani nelle strade vicine. I cadaveri vengono esposti invece che occultati.
Comincia a girare la voce dell’esistenza di porte. Porte che permettono alle persone di lasciare la loro città. Nessuno sa dove conducano fino a quando non le ha attraversate ma è pur sempre meglio l’incognita che il pericolo certo. L’importante è andare via, in città dove non c’è la guerra. E così c’è un uomo dalla pelle nera che esce da una porta in Australia nella casa addormentata di una donna bianca. Due ragazze filippine che escono in un vicolo a Tokyo. Una famiglia nerissima che arriva a Dubai. In California si cominciano a recintare i luoghi in cui si viene a conoscenza di una porta.
Il viaggio attraverso la porta, facilitato da loschi figuri che si fanno pagare profumatamente per garantire il passaggio, è come una rinascita, un parto: il nero avvolge e si arriva dall’altra parte privi di forza, ansimanti e accecati dalla luce.
Ma l’autore non indugia nella descrizione del “viaggio” quanto sulla quotidianità che i protagonisti si trovano a vivere prima e dopo, una volta dall’altra parte.
La città di origine di Nadia e Saeed potrebbe essere tante città. Colpisce come le persone che attraversano le porte non abbiano un’identità precisa: sono un uomo, una donna, un padre, una madre, un figlio, una figlia. Exit West diventa così una favola che spersonalizza divenendo un racconto universale che accomuna nella sua narrazione città e persone con pochi ma significative dicotomie.
A cominciare dalla geografia: da una parte i Paesi di partenza dove sono le porte di entrata, paesi che vanno dal Guatemala all’Indonesia rimanendo in una fascia più o meno circoscritta di latitudine, e dall’altra parte i paesi di arrivo, i paesi ricchi. Quindi la dicotomia e la contrapposizione tra migranti e nativisti ovvero le persone originarie del luogo in cui i migranti arrivano e di cui occupano le seconde case lasciate sfitte dove cercano di ricostruire una normalità. E quindi tra chi sostiene il diritto ad attraversare le porte e chi vuole negarlo.
Nel mezzo c’è la vita che continua a scorrere, i tentativi di continuare a fare cose ordinarie: arredare una tenda in un campo profughi con i pochi averi che si è portato con sé, una doccia per liberarsi dai vestiti logori e dalla pelle sporca e ricordare a se stessi la propria umanità e dignità, le riunioni di condominio in case occupate, una storia di amore che si sfilaccia. Nei momenti di tensione le emozioni si amplificano accelerando le unioni così come il deterioramento dei rapporti.
C’è il dolore di lasciare la propria terra e, soprattutto, i propri cari come nel caso di un vecchio padre che non vuole abbandonare la casa dove ha vissuto per trent’anni con la propria moglie. C’è lo sradicamento con il suo carico emotivo: il timore dell’incognita e la trepidazione per un futuro auspicabilmente migliore, la difficoltà di creare nuovi rapporti con nuove persone e di ricostruire una parvenza di normalità.
La scrittura non è ricercata, scorre veloce con l’urgenza del racconto. Tutto è tutto e il contrario di tutto, perché dare definizioni troppo nette non è pertinente con la fluidità degli eventi e l’incertezza dei tempi.
Saeed e Nadia arriveranno prima a Mykonos, poi da lì a Londra, quindi a Marin vicino San Francisco. Nel frattempo ci sono conflitti tra nativisti e migranti, la situazione geopolitica evolve, le porte vengono attraversate da ogni dove per ogni dove. La vita va avanti.