Amazzonia, la strage degli indigeni in nome del progresso
Nuova vittima nel nord del Brasile: Paulino si occupava di diritti umani e proteggeva la foresta dallo sfruttamento economico
La scorsa estate si è molto parlato di deforestazione amazzonica quando, in seguito ad incendi dolosi che per giorni hanno afflitto la foresta, opinione pubblica internazionale e Chiesa cattolica avevano preteso un intervento dal presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Inviate le forze di polizia federali a vigilare sugli atti dolosi, la violenza contro gli indigeni continua ad essere costante, sebbene capillare.
Paulo Paulino Guajajara, conosciuto anche come Lobo Mau (lupo feroce) aveva 20 anni ed era un leader indigeno attivista per i diritti umani delle tribù amazzoniche e la salvaguardia dell’ecosistema forestale: faceva parte, per questa ragione, dell’organizzazione Guardiani della Foresta, istituita nel 2012 proprio per ostacolare la distruzione ed il disboscamento illegale dell’Amazzonia.
È stato ucciso da mercenari armati di fucile lo scorso primo novembre nello Stato di Maranhao, nord del Brasile, durante un’imboscata. Nell’attentato è rimasto coinvolto anche Laercio Guajajara, ora ricoverato in ospedale ma non in pericolo di vita. I due, appartenenti alla tribù dei Guajajara (da cui prendono il nome), rientravano da una battuta di caccia quando sono stati colpiti dall’ennesimo attacco mirato alla popolazione indigena. È da escludere nel modo più assoluto che si sia trattato di un incidente – così come è da escludere che sia stato l’esito di uno scontro non preterintenzionale finito in tragedia.
Secondo Amazon Watch, non-profit che monitora la salute delle popolazioni indigene in Amazzonia, nel 2017 sono stati assassinati 57 indigeni e ancora 20 lo scorso anno. Per Sonia Guajajara, in questi giorni impegnata in Europa proprio per denunciare e responsabilizzare rispetto alla questione, “è ora di fermare questo genocidio istituzionalizzato. Basta autorizzare lo spargimento di sangue del nostro popolo! C’è una licenza per uccidere, armarsi – ha spiegato – visto che i crimini restano impuniti e le stesse istituzioni parlano di sfruttamento del territorio in favore dello sviluppo economico. Gli invasori – ha concluso – si sentono legittimati”. Anche per l’ABIP, il Coordinamento dei Popoli Indigeni del Brasile, il responsabile è chiaro: “Bolsonaro ha la mani macchiate del sangue indigeno”, così come si legge in un loro comunicato stampa.
Fino a questo momento il governo ha risposto tramite il Ministro della Giustizia, Sergio Moro, che è stato molto lapidario: “La polizia federale non risparmierà energie per individuare i responsabili di questo crimine”. La qual promessa, se mantenuta, sarebbe una novità: i casi di assassinio verso gli attivisti ambientalisti, ad oggi non sono stati risolti. L’ultimo, nel 2018 aveva coinvolto Jorginho Guadajajara, della stessa tribù.
I Guadajajara vivono nella terra Arariboia, 413 mila ettari di foresta adesso obiettivo di speculazioni ed interessi governativi. Sebbene, come abbiamo detto, negli ultimi mesi Bolsonaro abbia impiegato le forze militari a controllo di disboscamenti ed incendi dolosi, continua a tenere posizioni incoerenti e contrastanti: la scorsa primavera aveva richiamato pubblicamente l’attenzione sulla bassa densità umana rispetto all’estensione dell’Amazzonia, anticipando l’ampliamento di attività agricole e minerarie. Così come aveva trasferito il potere di definire le riserve naturali dalla precipua Fondazione Nazionale dell’Indio, il Funai, al Ministero dell’Agricoltura: una decisione significativa che aveva scatenato le proteste di migliaia di indigeni, scesi in piazza a Brasilia per manifestare lo scorso Aprile.
Quello che deve fronteggiare la popolazione indigena è il piano di deforestazione a fini di sfruttamento economico voluto e promosso da Bolsonaro. Secondo l’Istituto nazionale per le ricerche scientifiche (Inpe), legato al ministero di Scienza e Tecnologia, la più grande foresta tropicale del mondo ha perso 1700,8 km quadrati solamente il mese scorso: sempre stando ai dati INPE, la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è cresciuta del 300% ad agosto rispetto allo stesso mese del 2018.
Una continua progressione che ha nel mirino la costruzione di una centrale idroelettrica, l’estensione della rete autostradale e lo spostamento di popolazioni all’interno della regione. Nei piani di Bolsonaro c’è il controllo statale dei territori forestali per utilizzarli a scopi economici evitando un inserimento di forze straniere, in primis la Cina. In quest’ottica, le popolazioni indigene rappresentano un ostacolo.