Auguri a Gioconda Belli: la scrittrice nicaraguense compie 71 anni
Gioconda Belli, donna, madre, moglie, ribelle, poetessa e scrittrice. Se non fosse reale sarebbe un personaggio perfetto per un romanzo
Pagine e pagine, carta, inchiostro. Storie, avventure. Guerre e amori. Desideri e timori. La vita. La vita che noi lettori cerchiamo tra le pagine di un libro. Che sia di finzione o ispirata da fatti reali molte volte non fa differenza.
E poi ci sono alcune persone, persone reali, magari anche viventi, che colpiscono per come la loro vita sia degna di un romanzo. Come nel caso della vita di Gioconda Belli: saggi e articoli sulla scrittrice e sulla cittadina impegnata si mescolano alle pagine de “Il mio paese sotto la pelle” (la sua autobiografia) e de “La donna abitata” restituendo un personaggio che potrebbe essere tranquillamente la creatura di un romanziere talentuoso.
Due cose che non ho deciso io hanno determinato la mia vita: il paese in cui sono nata e il sesso col quale sono venuto al mondo*.
Nasce in Nicaragua, famiglia borghese di origine italiana, studia all’estero, si diploma in giornalismo, torna in Nicaragua e si sposa a neanche vent’anni. Nasce la prima figlia. Gioconda Belli è il prototipo della ragazza della buona società di Managua rassegnata alla dittatura laddove l’unica alternativa, quella rappresentata dai sandinisti, fa troppa paura.
I sandinisti, però, non erano un’alternativa per noi: erano guerriglieri. Proponevano la lotta armata, la violenza, il socialismo. Avevano spesso scontri con la dittatura. […] Il martirio dei sandinisti, la loro tenacia, ispirava rispetto, ma erano considerati pericolosi, sovversivi, comunisti. Operavano nella clandestinità. Tra la gente della mia classe non si parlava di loro. Li si temeva*.
Poi qualcosa succede nella vita di Gioconda Belli. E d’un tratto non è più la giovane signora bene della borghesia locale. O continua ad esserlo ma solo in apparenza. Ha un amante, entra in contatto con i militanti sandinisti, inizia il suo impegno politico e si unisce al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale.
Scrive poesie, ha una seconda figlia, si separa dal marito e si innamora di un dirigente sandinista. Per sfuggire all’arresto scappa dal paese lasciandosi dietro le due figlie. Dal Costa Rica organizza la rete dei rifugiati. Poi un divorzio, la dolorosa morte dell’ex marito ucciso dalla Guardia Nazionale di Somoza, un nuovo matrimonio e un altro figlio. E intanto sostiene ancora la guerriglia.
Poi finalmente succede. La rivoluzione sandinista ha la meglio sulla dittatura. È il 20 luglio del 1979. Gioconda Belli torna in Nicaragua.
Ho partecipato a grandi imprese, ne sono stata artefice e testimone. Ho vissuto la gravidanza di una creatura partorita dalla carne e dal sangue di tutto un popolo. Ho visto la folla celebrare la fine di una dittatura durata quarantacinque anni*.
Le viene affidata la direzione della televisione di stato ma iniziano al contempo alcune divergenze con il partito. Nel mentre rompe il matrimonio perché innamorata di uno dei membri della Direzione nazionale, il comandante Modesto. Non sarà un rapporto equilibrato: lui profondamente maschilista e lei dipendente. Del resto il Nicaragua si è liberato della dittatura ma non del maschilismo di cui è intrisa la sua cultura.
Avevo rischiato di essere colpita dalle pallottole, di morire, avevo trafficato in armi, pronunciato discorsi, vinto premi, partorito figli, e tante altre cose, ma non sapevo com’era la vita senza il pensiero di un uomo, senza l’amore di un uomo*.
Segue un periodo di crisi, sia sul fronte sentimentale sia politico: il governo instaurato alla vittoria della rivoluzione risente delle divisioni interne nonché dell’ingerenza e opposizione degli Stati Uniti che sostiene e finanzia i Contras.
Un anno dopo che io e molti come me avevamo visto realizzarsi increduli ed esultanti i nostri più fervidi sogni, il mio paese ritornò a far la guerra, a dissanguarsi*.
Arriva l’equilibrio, la maturità sentimentale e l’amore con Carlos, giornalista statunitense – mai nazionalità poteva essere più inopportuna in quel preciso momento storico. Si sposano e inizia la sua seconda vita, divisa tra gli Stati Uniti e il Nicaragua, dedita soltanto alla famiglia e alla letteratura.
Perché nel frattempo, già apprezzata autrice di poesie a partire dall’inizio degli anni 70, raggiunge il successo internazionale con il suo primo romanzo, “La donna abitata”, pubblicato alla fine degli anni ’80.
Il libro, in parte ispirato a vicende autobiografiche, racconta la storia di due donne: una giovane donna moderna della buona società di Faguas (immaginaria città centro-americana che tanto assomiglia a Managua) che entra a far parte del movimento rivoluzionario del suo paese, oppresso dalla dittatura; e una india che 500 anni prima combatte contro i conquistadores spagnoli. Due donne, due epoche diverse, l’amore, la guerriglia e la resistenza.
La donna abitata ha venduto milioni di copie in tutto il mondo a cominciare dalla Germania, dove fu pubblicato prima che in patria e dove è stato presentato alla Fiera di Francoforte del 1988.
Scrive ancora. Poesia, racconti per bambini ma soprattutto romanzi: “Sofia dei presagi” (1990), “Waslala” (1996), il già citato “Il paese sotto la pelle. Memorie di amore e guerra” (2001), “La pergamena della seduzione” (2005), “L’infinito nel palmo della mano” (2010). “Nel paese delle donne” (2010), “L’intenso calore della luna” (2014), “Le febbri della memoria” (2018). Le date sono quelle della prima pubblicazione. In Italia, dove arrivano sempre un po’ dopo, i suoi lavori sono stati pubblicata prima da Edizioni e/o, poi da Feltrinelli.
Non c’è qui lo spazio per approfondire ogni suo lavoro ma, sebbene non sia tra i suoi romanzi più famosi, Waslala merita una nota in questo periodo di epifania collettiva. Scritto nel 1996, si tratta di un romanzo ambientato nel 2050. Quello che descrive non è però un futuro di macchine volanti e luci al neon, è il futuro visto dal cosiddetto Terzo Mondo che riceve tutta l’immondizia degli altri paesi e sopravvive vendendo l’ossigeno dei propri boschi.
Waslala è un’utopia, un luogo nascosto nella foresta dove, secondo le leggende degli indios del Centro-America, si troverebbe una società nella quale uomini e donne vivono in pace e in sintonia con la natura. Questi elementi e altri contenuti di questo romanzo – scritto ormai più di venti anni fa – denotano una grande capacità immaginifica di Gioconda Belli ma soprattutto la sua capacità, quella capacità quasi mistica che si ritrova in alcuni scrittori, di anticipare il futuro e le istanze che, noi ora lo sappiamo, sono decisamente uscite dalla sfera della mera narrativa di finzione per atterrare prepotentemente nella realtà reclamando attenzione.
Numerosi i premi e i riconoscimenti che ha ricevuto nel tempo. Il più recente ad agosto 2019 quando è stata nominata membro a tutti gli effetti dell’Accademia Nicaraguense della Lingua.
Un riconoscimento importante in un paese che fino alla alla metà del secolo scorso ha dato voce a una letteratura prevalentemente maschile: nell’ambito di una società decisamente patriarcale come quella del Nicaragua (e di gran parte dei paesi dell’America Centrale e Meridionale con ben poche eccezioni) anche scrivere per una donna non era ben visto, era un atto di sfida, di rifiuto di un ruolo ben circoscritto che la società riservava alla donna.
Gioconda Belli in occasione di tale riconoscimento ha ripercorso la sua carriera ma ha anche ribadito l’importanza dell’opera letteraria in quanto tale, al di là di qualunque classificazione che non è sempre corrispondente alla complessità e varietà dei messaggi contenuti in essa, al di là della paternità dell’opera.
Nelle parole del suo discorso la sua idea della creazione letteraria, l’urgenza di raccontare e il piacere che deriva dall’immaginazione, ma anche la capacità della letteratura di generare un’etica di valori attraverso la comprensione delle forze che determinano il comportamento umano.
Perché è anche dalle nostre letture che deriviamo la nostra idea di bene e di male. E’ anche attraverso ciò che leggiamo che ci avviciniamo alla storia e la analizziamo, inseguiamo utopie e distopie, entriamo in connessione con sentimenti che non sono i nostri, come la sofferenza di chi è discriminato o con ciò che si annida nella mente di un tiranno.
Gioconda Belli ha dunque rivendicato il ruolo determinante della letteratura nella storia dei popoli. Nella storia del Nicaragua la letteratura e le arti in generale hanno svolto un ruolo civilizzatore impagabile. Perché il linguaggio contiene in sé una concezione del mondo e quello degli scrittori di Nicaragua ha contribuito a diffondere le idee di giustizia, libertà, ribellione, a creare un sentimento di nazione.
Così come la letteratura a qualunque latitudine che ha contribuito (cita Orwell, cita Bradbury e molti altri) a comprendere il linguaggio del potere che predica falsità. E ha ringraziato dunque il lavoro di tanti colleghi, presenti e passati, che hanno con il loro lavoro costruito una visione e dei valori che permetteranno al Nicaragua di sopravvivere alla situazione difficile che sta vivendo il paese da oltre un anno.
Gioconda Belli a 71 anni continua a scrivere e ad essere attiva politicamente. Molto critica verso Daniel Ortega e Rosario Murillo, disposti a tutto pur di mantenere in vita un governo che assomiglia sempre di più a un regime dittatoriale (si parla di oltre 30 mila persone in esilio e un migliaio tra prigionieri politici e morti ammazzati nei dodici mesi dall’inizio – aprile 2018 – delle proteste contro Ortega), continua come scrittrice e come cittadina a sostenere la parità di genere e i diritti umani, la libertà, la democrazia.
*tutte le citazioni sono tratte da ‘Il paese sotto la pelle’ di Gioconda Belli (Edizioni e/o)