La lezione del prof. Mariani: intervista a Murubutu
Nelle mie esplorazioni per la rubrica Musica in 3D mi sono imbattuto in “Tenebra è la notte ed altri racconti di buio e crepuscoli“, un disco rap pazzesco, il quinto album di Alessio Mariani aka Murubutu uscito ad inizio 2019
Questo disco mi ha aperto una nuova finestra sulla scena hip hop italiana e non potevo far finta di niente. Così ho intervistato Alessio Mariani, in arte Murubutu, che, oltre a rispondere alle mie domande, mi ha dato una vera e propria lezione su questo genere musicale.
Ecco com’è andato il botta e risposta tra me e questo cantautore rap che fa storytelling sistematico.
Premetto che non sono ferratissimo sul rap e l’hip hop. Come tanti della mia generazione (sono nato all’inizio degli anni Ottanta) sono stato travolto negli anni Novanta dall’esplosione di artisti come Articolo 31, Neffa, Frankie Hi NRG. Poi ho ripreso ad ascoltare questo tipo di musica solo recentemente, grazie alla scena romana e ad artisti come Rancore, Assalti Frontali, Colle der fomento, Lucci e Piotta.
Ti faccio questa premessa perché devo ammettere che da ascoltatore inesperto del genere ho fatto e sto facendo fatica a trovare qualcosa di profondo che non sia annacquato dalla moda della trap (che odio). È solo un’impressione mia questa?
Possiamo sicuramente dire che la musica trap sia attualmente un genere molto diffuso tra i giovani e i giovanissimi. Le caratteristiche principali della trap – che sono soprattutto le batterie 808, l’utilizzo dell’autotune e certe soluzione melodiche – hanno contaminato anche buona parte del rap attuale. Quindi capisco se quello che senti in giro ti sembra tutto molto allineato.
Capisco però, e te lo dico da padre: anche solo il pensiero che mia figlia possa crescere ascoltando Sfera Ebbasta invece che un Murubutu mi terrorizza.
È un momento storico in cui i giovanissimi rappresentano una nuovo bacino di utenza dell’industria discografica. Non è che Sfera Ebbasta e la trap siano la cosa peggiore che abbia mai visto la storia della musica. I contenuti diseducativi ci sono sempre stati, pensa al primo rock’n’roll, non è che avesse tutti questi contenuti educativi! La differenza principale è che non veniva fruito dai giovanissimi.
La cosa più importante secondo me è dare loro degli strumenti di lettura rispetto a certi contenuti affinché non subiscano il fascino dei modelli di vita che vengono propagandati nella trap. Strumentarli rispetto alla eccessiva superficialità dei contenuti e dei sentimenti che spesso la trap sembra veicolare. Come per molte altre cose non credo nella repressione ma credo sicuramente nell’importanza di dare un certo tipo di formazione, quello che provo a fare con i miei figli.
Ok, a questo punto però, tornando alla mia ignoranza personale sull’hip hop italiano dammi qualche consiglio d’ascolto allora per mitigare le mie mancanze considerando che sono più vicino ai quarant’anni che ai trenta.
Oltre a Rancore, che hai già citato tu, Claver Gold sicuramente, Carlo Corallo che pur essendo giovanissimo può essere apprezzato da chi ha la mia e la tua età. Poi sicuramente Caparezza, Dutch Nazari e Willie Peyote.
Ho letto che citi spesso tra i tuoi gruppi preferiti i Gorilla Biscuits o gli Agnostic Front. Posso capire i punti di contatto tra l’hardcore e l’hip hop nella scena americana degli anni Ottanta e primi Novanta (soprattutto per via delle esibizioni dal vivo). Oggi però sono due generi nettamente separati. E la tua musica e la tua scrittura è lontanissima dal punk. Come sei arrivato, partendo da un background hardcore, alla tua attuale produzione?
Penso che sia parte di un percorso, se non c’è un’influenza diretta ce n’è una indiretta. Talvolta è questione di prospettiva con cui si approccia la musica o di emozioni che mi legano ancora alla musica che sono sempre quelle di quando ascoltavo questi gruppi. A me le linee melodiche dei Gorilla Biscuits sono rimaste in testa. E penso di ispirarmi ancora a queste qualche volta quando do delle curvature melodiche al mio rappato, per esempio.
In questo periodo sono tornati al centro dell’attenzione i Rage Against The Machine per via dell’annunciata reunion. Alla fine sono stati precursori di un genere che appunto fonde insieme il rock e l’hip hop in una miscela unica.
Non sono mai stato un fanatico dei Rage anche se sono cresciuto con il crossover degli anni Novanta. Ho ascoltato molto di più Urban Dance Squad, Living Colour o Faith no More per esempio. È piacevole riascoltarli: capisci come certi suoni si siano sviluppati e come siamo arrivati al suono di oggi.
Parlami di “Tenebra è la notte”: come sei arrivato a pensare ad un disco del genere, così carico di emotività, riferimenti letterari e come comun denominatore la notte?
Questo è il mio terzo concept album. Nei dischi precedenti ho usato prima il mare e poi il vento. E questa volta ho detto “voglio restringere il bacino di immagini proprio come un esercizio narrativo e voglio usare un medium che sia ora spaziale ora temporale e allo stesso tempo voglio anche un certo tipo di atmosfera”. Per cui è nata l’idea della notte.
Occhiali da luna parla di tre riflessioni diverse – la tua, quella di Dutch Nazari e di Willie Peyote – sulla dimensione dell’ispirazione artistica notturna. Com’è nato questo brano? Parte da una sorta di confronto tra voi tre su questo o da altro?
Nell’hip hop è abbastanza usuale fare queste cose, è bastato scegliere un argomento piuttosto generico, come l’ispirazione notturna, per trovare tutti un unico centro di gravitazione cui ruotare attorno. Ho detto qual era la mia idea, ho fatto sentire la mia strofa. Poi ognuno l’ha sviluppata autonomamente in base alle proprie risorse e sensibilità.
Ho trovato affascinante la tua musica, mi è piaciuto molto il modo in cui sei riuscito a mettere così tanta carica emotiva nei testi e ad appoggiarli su basi calde e morbide. Tra l’altro oltre al supporto dei beatmakers della scena hip hop nazionale (Il tenente, Dj West, XxX-Fila, Swelto, Dj Fastcut, SuperApe, R-Most) ci sono interventi strumentali di musicisti reggiani come Emanuele Reverberi (Giardini di Mirò) e Stefano Castagnetti (Ico). Parlami un po’ della musica che affianca i tuoi testi.
Io cerco delle produzioni che siano cinematografiche rispetto al mio rap, che riescano a rendere bene le atmosfere pur mantenendosi coerenti con l’idea classica che ho dell’hip hop; che riescano a costruire un buon tappeto musicale che ovviamente si leghi bene alla narrazione per renderla ancora più efficace. Quindi oltre ad avere dei produttori di fiducia con cui collaboro sottoponendo loro dei campioni, ho diversi amici che producono sempre e che mi propongono delle cose da cui io poi sviluppo dei testi in base alle suggestioni che ne derivano.
La presenza di Emanuele è dovuta al fatto che abbiamo avuto occasione di suonare insieme in diversi contesti per un progetto nato a Reggio Emilia. Lui è un componente dei Giardini di Mirò, un gruppo di Reggio piuttosto noto tuttora in attività.
La vita dopo la notte è una storia bellissima. È di fatto un inno all’amore eterno?
Sì, l’intuizione è questa, di ipotizzare il fatto che le persone continuino ad esistere ma non per forza in un aldilà ma in un al di qua in cui non sono visibili.
Puoi definire questo disco come un tentativo di educazione alternativa verso le giovani generazioni? La notte di San Bartolomeo è un esempio lampante di didattica. O quantomeno un’ottima idea per spingere uno studente ad approfondire le lotte di religione in Francia del 1500-1600.
In questo caso è più il professore che influenza l’artista che viceversa. Ricevo tantissimi stimoli dallo studio, dalla mia programmazione e talvolta li riverso nella mia parte artistica. Non uso questo testo in classe, questo testo ha delle velleità didattiche ma non me la sento di usare materiale mio nelle mie classi. Più che materiale didattico è una captatio benevolentiae nei confronti degli studenti che magari a volte scindono così tanto il materiale scolastico dalla musica, io invece voglio dimostrare che si può realizzare una sintesi.
A volte mi arrivano dei messaggi in cui mi viene detto che alcuni miei brani vengono utilizzati a scuola. A me fa piacere perché la scuola è il mio pane quotidiano, sono contento ci siano dei risultati in questo senso.