La Frontiera. Viaggio intorno alla Russia
Erika Fatland va alla ricerca della “dusha”, l’anima russa, lungo il confine più lungo del mondo, nel nuovo reportage “La Frontiera. Viaggio intorno alla Russia”
Dopo il successo di Sovietistan, caso letterario tradotto in 13 lingue (qui la nostra recensione), l’antropologa e giornalista norvegese Erika Fatland torna ad esplorare il tema a lei più caro: capire l’immenso territorio russo. Il risultato è un affascinante viaggio lungo i confini della Russia raccontato ne La Frontiera (Marsilio), con la traduzione dal norvegese di Sara Culeddu, Elena Putignano e Alessandra Scali.
La Russia con i suoi diciassette milioni di chilometri quadrati occupa un sesto della superficie terrestre, popolati da 200 etnie e altrettante nazionalità che ne fanno una realtà multietnica e multilingue, con una cultura ricca ed eclettica. Paese degli zar, dei Soviet, delle avanguardie artistiche, della corsa allo spazio, di importanti scienziati, di oligarchi ricchissimi e di letteratura immortale, la Russia è una realtà geopolitica che suscita entusiasmi e avversione, ma che non lascia indifferenti.
A partire da quel doloroso esperimento sociale di utopia e terrore nato più di un secolo fa con la Rivoluzione d’Ottobre, che voleva fare tabula rasa del passato per ricominciare tutto da capo, costringendo popoli diversi a vivere insieme e rilocandone a milioni per la collettivizzazione forzata dell’agricoltura.
La notte di Natale del 1991, la bandiera rossa viene ammainata sul Cremlino: il sistema totalitario va in frantumi quel 26 dicembre 1991, all’indomani delle dimissioni di Mikhail Gorbaciov, quando appunto il Soviet supremo scioglie ufficialmente l’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche). La cortina di ferro crolla improvvisamente e molte frontiere geografiche e politiche sono state ridisegnate da capo creando un patchwork di 14 Paesi e 3 repubbliche secessioniste dal passato lungo e complicato, costantemente all’ombra di un regime brutale.
Se nel precedente Sovietistan l’autrice ha viaggiato per otto mesi nel territorio russo, tra gli “stan” (i Paesi dell’Asia centrale un tempo dipendenti da Mosca, che dopo il crollo dell’URSS sono diventati repubbliche con una certa stabilità economica e sociale, ma spesso frutto di una repressione più o meno velata), in questo nuovo affascinante lavoro, cambia la prospettiva della ricerca e la rotta di viaggio segue i confini della Russia per capire dall’esterno quello che si vede. Un viaggio che durerà due anni e sessantamila chilometri.
“Non è mai stato semplice essere vicini della Russia. Dei quattordici paesi confinanti, negli ultimi cinquecento anni la Norvegia è l’unico a non essere mai stato in guerra con la Russia o a esserne invaso”, è la premessa necessaria per capire un territorio immenso che ha da sempre avuto la tendenza all’espansionismo, inglobando popoli e nazioni nell’impero.
“La leggendaria espansione della Russia ebbe inizio nel XVI secolo, con la conquista del khanato islamico di Kazan a est di Mosca, e poi della Siberia e delle terre del lontano Oriente”.
Il confine segna un luogo dove avviene l’incontro con l’altro, elemento determinante per plasmare l’identità culturale, perché l‘alterità permette di differenziare un noi e un loro. I confini non sono immutabili e certi, in natura non esistono linee di demarcazioni nette, spesso i confini sono frutto di accordi, alcuni dei quali devono essere ancora ratificati, altri invece si sono sciolti.
Il confine russo non è statico, come testimoniano l’annessione della Crimea e la guerra con l’Ucraina orientale, che combatte per ottenere l’indipendenza. A nord, nell’Artide, il confine è in mano alle decisioni delle Nazioni Unite, che devono stabilire fin dove è territorio della Russia, della Danimarca e del Canada.
La spedizione avventurosa di Erika Fatland inizia dalla Corea del Nord, che è separata dalla Russia dal fiume Tumen. Si tratta del confine più breve, 19 Km, ma l’influenza della Russia sulle sorti di Pyongyang è stata determinante. Prima della seconda guerra mondiale la Corea sottostava al Giappone, al termine del conflitto, con la creazione delle due aree di influenza americana e russa, Stalin scelse come leader locale Kim Il-sung e da allora la dinastia di dittatori non ha più lasciato la presa dello stato socialista, che è il regime più autoritario del mondo e anche il più corrotto. Con il crollo dell’Unione Sovietica, l’economia nord coreana collassò e e si stima che tre milioni di persone siano morte letteralmente di fame per carestia.
Il tour della Corea, possibile soltanto con l’agenzia turistica di stato, prevede la confisca dei passaporti, divieti stringenti su cosa e come fotografare, e il divieto di andare in giro da soli.
Dappertutto è forte il culto della personalità del dittatore. Sia nel Museo dell’amicizia, che raccoglie tutti i regali ricevuti dal leader Kim dai Paesi sopratutto africani, e che espone quadri e statue di cera dei dittatori, che nel Palazzo del sole, dove riposano le salme imbalsamate dei dittatori. Obbligatori gli inchini dei visitatori.
Per le strade la popolazione sembra sempre intenta ad esercitarsi per l’anniversario della fondazione del partito, mentre, fingendo disinteresse, seguono con sguardi furtivi la diversità dei visitatori.
Dalla Corea del Nord a quella del Sud c’è un confine di 250 km. Tecnicamente le due Coree sono ancora in guerra perché un trattato di pace non è mai stato formalizzato e vige un armistizio del 1953. La Corea del Sud è la più popolosa delle due, dove si sono rifugiati un milione di nord coreani appena iniziò il regime.
Oggi è impossibile lasciare il Paese, il rischio è di essere rimpatriati e poi torturati e messi in prigione e la ritorsione colpisce non soltanto il fuggitivo ma tutti i suoi discendenti e familiari. Molti nord coreani hanno un visto di lavoro per la Russia e molti soggiornano illegalmente in Cina, dove il confine è presidiato da filo spinato e telecamere proprio per controllare e scoraggiare l’immigrazione.
Il viaggio prosegue in Cina a Dalian, un bazaar di insegne di brand di lusso occidentali, pubblicità, luci.
Poi la città di Port Arthur, dove si è combattuta la guerra russo giapponese, e ancora oggi i due stati si contendono tre isolette.
Nella monotonia urbana cinese Harbin è una città con una personalità: fu fondata dai russi nel 1898, chiamata la Parigi cinese o la Mosca d’Oriente. La sua decadenza iniziò con la sconfitta dei russi contro il Giappone nel 1905.
Vicino ad Harbin venne costruita la famigerata unità 731, dove si svolgevano mostruosi test con armi batteriologiche su cavie animali ma anche umane, principalmente mongoli; esperimenti barbarici che utilizzavano uomini-cavia non anestetizzati. L’attività dell’Unità 731 si concluse nel 1945 quando l’Armata Rossa entrò ad Harbin.
La situazione tra Russia e Cina, dal diciassettesimo secolo, si può sintetizzare così: “la Russia ha più terra, i cinesi più persone”.
Dalla Cina seguiamo Erika Fatland in Mongolia su un treno veloce da Pechino – l’unica possibilità di collegamento via terra, un mezzo nuovo, moderno, pulito ordinato – destinazione Ulan Bator, la capitale, dove i rimandi al mitico condottiero Gengis Khan sono continui, mentre durante il comunismo erano proibiti.
Scopriamo le vicende della Mongolia, che nel 1200 fa inginocchiare Pechino, mentre negli anni Trenta è colpita dalla purga di Stalin, che uccide diecimila monaci lama.
Lungo il cammino, l’incontro con “il popolo delle renne”, i Tuva, nomadi abituati a vivere nelle tende yurta della taiga russa, esperti dell’allevamento di renne e anche di sciamanesimo legato agli elementi della natura, un patrimonio culturale distrutto dall’invasione sovietica.
Il territorio è puntellato di incisioni rupestri con renne e cervi stilizzati su stele di pietra, dove sono stati ritrovati resti animali, probabilmente usati per riti sacrificali.
Si incontrano gruppi di idrogeologi in giro a scavare pozzi e a cercare l’oro.
Se durante il comunismo la Mongolia aveva scambi con l’Unione Sovietica, dopo il crollo e la conquista della democrazia, l’export si diresse verso l’antico nemico cinese.
L’accuratezza storiografica per capire l’evoluzione dei territori attraversati si unisce all’aneddotica nel racconto de La Frontiera, che può essere letto come libro di viaggio, compendio geopolitico, ripasso di storia e antropologia etnografica.
Altra tappa Ürümqi, capoluogo dello Xinjiang, una città da film distopico, buia e con grattacieli tetri.
Diverse culture abitano la regione come gli uiguri, “un’etnia turcofona orginari della Mongolia e della regione a sud del lago Bajkal in Russia” famosi per avere la lingua scritta sotto Gengis Khan. Recentemente i i nazionalisti uiguri hanno colpito la Cina con attentati terroristici, che hanno scatenato una spirale di misure repressive e un crescendo di tensione.
Lasciata la Cina si arriva in Kazakistan, colpito negli anni Trenta dalla collettivizzazione forzata dell’agricoltura alla quale fece seguito una carestia che decimò un quarto della popolazione. Il Kazakistan ha alcuni luoghi da primato: a sud della capitale Astana (rinominata Nur-Sultan dal marzo 2019), una città dal centro ricco di edifici imponenti firmati dall’archi star britannico Norman Foster, c’è il secondo campo di prigionia sovietico dove morirono 800mila prigionieri politici. A nord-est c’è il poligono nucleare Semipalatinsk teatro di 456 test atomici durante la Guerra Fredda.
Il primato di Arasan, invece, è l’avere il complesso termale più grande dell’Asia centrale.
Che cosa sorge nel mezzo della steppa a circa 200 Km dal lago d’Aral? Un luogo segreto in epoca soviet, Bajkonur, che non è indicato sulle mappe, ancora oggi per visitare la città ci vuole un’autorizzazione dalla Roskosmos, la risposta russa alla Nasa.
Il cosmodromo di Bajkonur è la prima base di lancio al mondo e la più grande in funzione. Da lì partì lo Sputnik 1 e lo Sputnik 2 con la cagnolina Laika a bordo, poi Jurij Gagarin, primo uomo ad andare nello spazio, poi Valentina Tereškova, prima donna astronauta.
Altra tappa altro paese, Baku in Azerbaigian, terra ricca di gas e petrolio, anticamente chiamata “terra del fuoco”, forse in riferimento ai templi di Zoroastro, dove ardeva sempre il fuoco.
La celebre e cruenta battaglia di Stalingrado fu in realtà la battaglia per Baku, per il suo petrolio, del quale avevano bisogno tanto i tedeschi che i russi. Ed è in terra azera che avviene l’incontro con un funzionario che conosce la teoria di Thor Heyerdahl secondo la quale Odino e le divinità norvegesi erano originarie dell’Azerbaigian. Un Paese che deve affrontare corruzione, rispetto dei diritti umani e tenuta della democrazia.
Il viaggio prosegue in Georgia, Armenia, Repubblica secessionista del Nagorno-Karabakh
“Non di rado la realtà supera la fantasia, specialmente quando si viaggia nelle ex repubbliche sovietiche”.
In Georgia, a Tbilisi, c’è una l’unica via tra le montagne del Caucaso che la collega alla Russia, che risale a prima di Cristo.
Nel paese si apprezza la gustosa cucina locale, la chaca, la grappa tipica forte: l’usanza vuole che in un pasto di festa vengano fatti 21 brindisi di fila e l’importante non è finire tutto il cibo ma tutto l’alcol. Da visitare la chiesa di Gergeti che svetta su un paesaggio da fiaba.
Ironia della sorte, erano della Georgia il ministro degli esteri Michail Gorbačëv, Lavrentij Berija responsabile del terrore degli anni Trenta e lo stesso Stalin, che nacque nella turbolenta cittadina di Gori dove ebbe una vita movimentata, costellata da episodi violenti, come una rapina nel centro di Tbilisi con bombe e armi: rubò una somma enorme al prezzo di quaranta vittime.
Borderization è il fenomeno che vuol dire fronterizzazione “il confine di un terreno o paese si espande senza permesso con oggetti come recinzioni, filo spinato, cartelli”. Ti svegli una mattina e ti ritrovi in un altro stato. Com’è capitato a Dato Vanisjvili. Una delle tante storie che riecheggiano nel corso del viaggio, esempi concreti di fenomeni che potrebbero risultare astratti.
Stalin amava l’Abcasia dove aveva svariate dacie, una fu costruita dai prigionieri tedeschi dopo la guerra, un territorio che accolse molti Armeni dopo il genocidio del 1915. Gagra, città portuale sul Mar Nero, è una delle stazioni termali più famose dell’Unione Sovietica.
Il Mar Nero, solcato nel Duecento da Marco Polo, un passaggio fondamentale tra Oriente e Occidente.
In Ucraina, stato piagato dalla guerra del Donbass, c’è Odessa, lontana dal fronte, città che fu conquistata da Caterina la Grande contro l’impero ottomano; città dove si rifugiò il cardinale Richelieu dopo la Rivoluzione francese, amico dello zar che lo nominò governatore della città, che rese cosmopolita e con edifici progettati da architetti italiani e l’italiano era diventata una lingua di scambio importante grazie ai commerci. Anche il celebre poeta Puskin si trasferì per un anno ad Odessa.
In Ucraina nella seconda metà dell’Ottocento arrivarono coloni svedesi e ancora oggi vivono a Gammalsvenskby sin dal tempo di Caterina la Grande, la quale li fece trasferire in Crimea, operazione che li decimò. Non ebbero pace neanche dopo, durante il terrore staliniano subirono deportazioni con l’accusa di essere nemici del popolo.
A Kiev, città legata a doppio filo con la Svezia, c’è il monastero delle grotte Pecerksaja, uno dei luoghi più sacri della chiesa ortodossa. Nelle nicchie scavate dentro le grotte riposavano i resti mummificati dei monaci che vivevano nell’anno Mille.
La cattedrale di santa Sofia è ancora più antica del monastero: i lavori iniziarono nel 1011 e per stile e nome si rifà all’omonima chiesa bizantina di Costantinopoli. Mosaici d’oro e affreschi decorano le pareti che grazie all’intervento di ostinati esperti furono salvate dalla furia distruttrice dei comunisti. Anche in Ucraina gli effetti della carestia che seguì alle politiche di collettivizzazione dell’agricoltura fecero milioni di vittime e “affamare fino alla morte” è considerato un atto di genocidio.
“Putin è come Hitler. Com’è possibile che un paese invada e annetta un altro paese nel ventunesimo secolo?” Dice Pima un ferito all’ospedale militare di Kiev.
Da Kiev si prosegue per Chernobyl, dove un giorno di permanenza espone a una quantità di radiazione inferiore a quella di un volo a lunga distanza.
Pryp ’’jat’ è “una capsula del tempo radioattiva” ferma al 1986, a quel terribile 25 aprile. Oggi si stimano tre milioni di vittime della tragedia di Cernobyl e attualmente quattro milioni di persone vivono in zone interessate dalle ricadute radioattive in Ucraina e Bielorussia.
Leopoli a cosa vi fa pensare? Strade pittoresche, edifici medievali e barocchi con il centro storico dichiarato patrimonio Unesco.
“Addentrarsi nella storia dell’Europa dell’Est è un’esperienza che dà le vertigini: nel corso dei secoli i confini si sono spostati in avanti e indietro, paesi interi sono scomparsi per poi ricomparire, mentre ogni tanto ne spuntavano fuori di nuovi”.
Entrare in Bielorussia prevede un meticoloso controllo alla frontiera dal lato ucraino. Brest, capitale dell’omonima regione, sfoggia una statua di Lenin sulla piazza centrale e strade dal sapore d’antan come via Ottobre, via Rivoluzione, via Karl Marx.
Minsk, la capitale bielorussa rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale, fu teatro di una decisione politica epocale: durante una battuta di caccia in una dacia nei boschi si decise la fine dell’URSS: “Le 15 repubbliche sovietiche venivano riconosciute come stati indipendenti e sovrani, mentre gli armamenti atomici passavano alla Russia, che avrebbe anche ereditato il seggio dell’Unione Sovietica alle Nazioni Unite”. Era l’accordo di Belavezha.
A Minsk andò anche Lee Harvey Oswald a lavorare in una fabbrica di radio nel 1959; il 22 novembre 1963 sparò a John Fitzgerald Kennedy.
Anche in Bielorussia i diritti umani vengono ignorati e “i candidati all’opposizione alle presidenziali vennero arrestati prima che gli osservatori internazionali e giornalisti stranieri lasciassero il paese segno tangibile della paura del presidente Lukasenko di non vincere le elezioni“.
Oltrepassata la frontiera si arriva a Vilnius, capitale della Lituania, che nel Medioevo era il più vasto stato d’Europa.
La penisola di Neringa, oggi Patrimonio Unesco, era talmente bella che Thomas Mann vi si stabilì.
Sul lato opposto del golfo c’è Danzica, che dopo la Seconda guerra mondiale divenne formalmente uno stato indipendente, ma in pratica una dittatura comunista controllata da Mosca. La città fu il palcoscenico del movimento creato dall’elettricista Lech Wałęsa, che diventò il leader di Solidarność (“solidarietà”).
Nomi ricchi di fascino ed echi di storia si susseguono lungo le pagine e sulla mappa: Varsavia, capitale della Polonia, dal centro storico ricostruito dopo la guerra; Daugavpils in Lettonia città natale dell’artista ebreo Mark Rothko, al quale è dedicato un Art Center. L’artista si trasferì bambino in America per sfuggire ai rastrellamenti degli ebrei; delle 48 sinagoghe cittadine solo una rimase dopo la Seconda guerra mondiale.
Anche la Lettonia fu vittima del genocidio russo perpetrato con la politica della collettivizzazione forzata dell’agricoltura baltica che costrinse quarantamila ad andare in Siberia.
A una settantina di chilometri da Riga sorge la città di Ligatne, dove venne costruito un bunker nella foresta, rifugio dell’elite in caso di attacco nucleare americano. Per nascondere il bunker venne costruito sopra un ospedale, ma dal 2003 è un luogo aperto al pubblico. Una storia incredibile da approfondire a pagina 532.
In Estonia visita alle città di confine Valka e Valga, poi Turku città universitaria e centro culturale del Paese. Se vi sembra poco plausibile che la canzone corale possa aver giocato un ruolo nei movimenti di liberazione, allora la storia della Rivoluzione cantata lettone vi stupirà.
A separare la Lettonia dalla Russia c’è il fiume Narva, che divide l’omonima città estone (da lì inizia l’Unione Europea) da Ivangorod. Narva bella prima della guerra, in seguito fu rasa al suolo dall’Armata Rossa e le tracce del conflitto sono ancora visibili. Anche il castello di Hermann costruito dai danesi a metà del Duecento fu ricostruito. Ci volle più tempo perché la statua del leone, ispirata a quelle del palazzo reale di Stoccolma, tornasse sul suo piedistallo, che risale anch’esso al 1200, con il posteriore rivolto alla Russia e lo sguardo all’Estonia. Le statue sono potenti simboli e in Estonia si combatte una vera e propria Guerra dei monumenti nel 2002 per alcune statue commemorative dei caduti: il Soldato di bronzo per gli estoni rappresenta l’occupazione russa, per i russi rappresenta le vittorie dell’Armata Rossa sui nazisti nella “Grande guerra patriottica”.
“Come in Lettonia, le più bizzarre testimonianze della paranoia sovietica si sono trasformate in attrazioni per turisti“: l’Hotel Viru a Tallinn con microfoni nascosti ovunque, monitorato dal KGB, che stazionava all’ultimo piano, e con il personale sottoposto a costanti test della disciplina: venivano lasciati portafogli che una volta aperti sporcavano d’inchiostro il malcapitato.
Poi imbarco per andare a Eckerö nell’arcipelago delle Åland nel mezzo del Baltico.
Il sontuoso ufficio postale in stile impero nasce per volontà dello Zar Alessandro I che si rese conto che la baracca doveva eguagliare l’edificio doganale svedese sull’altra costa dell’isola per rappresentare degnamente la frontiera più occidentale della Russia.
La Finlandia dopo essere stata sotto il dominio della Svezia, nel Seicento una delle grandi potenze europee, passò a quello russo, ma gli svedesi non si decidevano a fare trattative di pace e così nel 1719 Pietro il Grande inviò l’esercito sulle coste della Svezia e sette città e centinaia di tenute vennero date alle fiamme.
Le Åland sono ora una zona demilitarizzata con bandiera, targa e francobolli propri.
Helsinki, capitale della Finlandia, con la bianca cattedrale sulla piazza del Senato, il miscuglio di vecchio e nuovo, come il museo di arte moderna Kiasma.
Porkkala, contesa tra Russia e Finlandia, poi Vyborg con la sua fortezza, attrazione principale, avamposto orientale della Svezia sulla frontiera con la Russia.
Verso la Lapponia in treno tra foreste, laghi, destinazione Rovaniemi, bruciata dai tedeschi durante la guerra, la nuova pianta sviluppata dal celebre architetto finlandese Alvar Aalto che vista dall’alto ricorda una renna. Il turismo deve ringraziare l’intuizione geniale che nel 1984 indicò quest’area al nord della Finlandia come sede ufficiale di Babbo Natale. La risposta russa è Nonno Gelo/ Ded Moroz che però porta i regali alla vigilia di Capodanno e dimora a Mosca, ma anche l’Ucraina ha rivendicato la casa di Nonno Gelo.
Ancora più su a Inari dove rivive la storia del popolo Sami.
In un Paese dove si incontrano la frontiera russa, finlandese e norvegese. Ci si arriva a piedi lungo un sentiero tra foreste di betulle e abeti, mentre sul lato russo ci sono licheni verdi.
Ultimo tratto della spedizione, Erika Fatland lo fa a piedi e in kayak insieme al padre, lungo il confine tra Russia e Norvegia, lungo 196 Km e controllato da militari armati.
Partenza da Kirkenes, la prima città norvegese a essere liberata dai nazisti dall’Armata Rossa.
Durante la Guerra Fredda, la Norvegia serviva come base per la marina sovietica, si stoccava il combustibile per i sottomarini a propulsione nucleare e oggi nella baia c’è combustibile pari a cinquemila volte quelle di Hiroshima; custodito in modo inadeguato, per questo Usa, Gran Bretagna Italia e Norvegia hanno investito soldi per bonificare la penisola di Kola.
In queste peregrinazioni salta fuori il monaco russo Trifone, protettore dei marinai e l’unico venerato anche dalla chiesa cattolica, la cui storia si intreccia alle scoperte di questo viaggio a suo modo esotico.
“Nel corso dei secoli la frontiere sono cambiate un numero infinito di volte, l’ultima nel 2014, quando la Russia ha annesso la Crimea. […] Sul confine, alla periferia dell’impero, la libertà è da sempre precaria. […] La Russia ha perso circa il venti per cento del proprio territorio e metà degli abitanti. Eppure è tuttora un paese gigantesco, grande quattro volte l’Unione Europea e quasi il doppio di Cina e Stati Uniti”.
“La Grande Russia ha mostrato al mondo intero che ricorrerebbe a qualsiasi mezzo pur di tenere la Piccola Russia al suo posto”.
Giusy Andreano
Erika Fatland
“La frontiera. Viaggio intorno alla Russia”
Traduzione dal norvegese di Sara Culeddu, Elena Putignano e Alessandra Scali
Edito da Marsilio
pp. 672