Persone Care. Vera Giaconi indaga sfumature, contraddizioni e pieghe dei legami umani
I legami, familiari e non solo. La loro complessità, le sfumature, le contraddizioni, le pieghe e i sentimenti spesso nascosti anche a noi stessi. Questo è quello che indaga Vera Giaconi in questa raccolta di 10 racconti. E lo fa con maestria e precisione
I racconti, spesso considerati fratelli minori del più blasonato romanzo, hanno a mio avviso una difficoltà maggiore per chi li scrive.
Nel romanzo c’è tutto lo spazio per dipingere mondi, indagare, spiegare, tornare indietro, andare avanti, soffermarsi, gestire un arco più o meno ampio di trasformazione dei personaggi e una narrazione che tenga insieme diversi personaggi e intrecci fili a comporre il disegno. Non dico che scrivere un romanzo sia impresa facile ovviamente, lungi da me.
Ma credo che gli autori di racconti, di racconti che funzionano, affrontino una prova anche più ardua. La complessità in questo caso sta nell’aprire la finestra della narrazione in modo efficace e creare personaggi credibili in un numero ristretto di pagine. Non si può indulgere troppo sul prima. Non c’è spazio per il dopo. E’ un attimo. Solo uno spiraglio nella vita di quei personaggi. E in quell’attimo deve essere comunque racchiuso un mondo.
Le pagine corrono via veloci ma la scrittura di Vera Giaconi è solo apparentemente semplice e lineare perché ogni parola e la sfumatura che essa contiene è scelta accuratamente. E la tensione è costante, più o meno latente ma costante.
In molti racconti c’è il rapporto tra fratelli. Un rapporto spesso in bilico tra amore e odio, tra ammirazione e invidia come in Resti.
Un legame che diventa pretesto per indagare altro. Come in Survivor in cui si disvela – analogamente a quanto avviene anche in Beati – l’incongruità tra la percezione che ognuno di noi ha della realtà, delle persone e di ciò che li lega, in cui il proprio sguardo e quello altrui non combaciano e al lettore è dato assistere al momento dell’epifania.
O come in Al buio e Piranha in cui il gioco o la schermaglia tra fratelli dipinge al contempo con vividezza un ambiente teso, ambiguo, conflittuale.
C’è il rapporto tra padre e figlia in Carne e gli istanti microscopici, lì per lì irrilevanti, su cui ogni rapporto, più che sugli eventi eclatanti, si fonda.
C’è l’amore di un nonno per la propria nipotina in Dumas, un amore totalizzante e al tempo stesso impotente.
Ma non solo legami familiari. In Limbo c’è il legame tra una donna malata e il suo medico di cui la prima non accetta la debilità fisica. C’è il legame tra amici in Rincontro, unico dei 10 racconti ad abbandonare il realismo per strizzare l’occhio alla magia. E la protagonista si trova così di fronte ad un’amica che in fondo non riconosce e non capisce.
Il racconto che mi è piaciuto di più è stato Stimatore, in cui la Giaconi fa osservare ad Adrian, il protagonista, la vecchia madre addormentata su una poltrona. Ed è uno sguardo affettuoso e cinico allo stesso tempo, quasi clinico, da perito per l’esattezza. La precisione della scrittura restituisce financo la più piccola ruga della donna addormentata. E il legame si trova a fare i conti con la fragilità e il peso di cui non può essere scevro.
Nel disvelare i sentimenti umani Vera Giaconi non indugia in nessun tipo di critica. Questa è lasciata, semmai, al lettore. La sua è una scrittura empatica, capace di riconoscere e descrivere stati d’animo e situazioni pur senza farsene coinvolgere emotivamente. E il lettore a sua volta, attraverso le pagine, conosce e riconosce sentimenti altrui e propri. Che lo ammetta o meno.