Venezuela, il Paese con tre presidenti
Lo stallo istituzionale blocca la nazione sudamericana in una crisi socio-economica che affligge la popolazione
È sempre più profonda la crisi costituzionale in Venezuela. Un presidente in carica dal 2012 accusato di brogli e irregolarità in occasione della sua seconda elezione; un presidente dell’Assemblea Nazionale che un anno fa si è autoproclamato capo di Stato ad interim della Repubblica ed un recentissimo presidente dell’Assemblea Nazionale autoproclamatosi anche lui – a seguito di un’elezione non ufficiale e senza quorum legale. I protagonisti di questo dramma politico sono, nell’ordine: Nicolás Maduro, Juan Guaidó e Luis Parra.
Da 3 anni in Venezuela si oppongono il chavismo del presidente Maduro e l’opposizione del MUD (tavolo di unione democratica) di Guaidó in un conflitto che, negli anni, ha visto scendere in piazza migliaia di persone ed ha contato decine e decine di morti, centinaia di feriti e diversi arresti politici contro attivisti e dissidenti all’opposizione (qui un nostro approfondimento a riguardo). In ballo c’è il governo del Paese che Nicolás Maduro, erede di Chavez appoggiato dalle forze militari, non intende abbandonare. Le elezioni presidenziali della primavera 2018 non sono state riconosciute dall’opposizione per brogli e per la repressione dei partiti anti governativi avvenuta durante la campagna elettorale da parte della Guardia Nazionale Bolivariana.
In un Paese con un’iperinflazione alle stelle che ha bloccato anche gli acquisiti dei beni di prima necessità (cibo e medicine), dove l’emigrazione continua ad essere un dato in salita e corruzione e censura una costante nelle istituzioni, la situazione è riuscita persino a peggiorare.
In Venezuela c’è una nuova crisi in atto da Domenica 5 Gennaio, innescatasi in occasione dell’elezione dell’Assemblea Nazionale (AN) – che rappresenta l’organo monocamerale legislativo dello Stato. Hanno fatto il giro del mondo, pubblicate sui social quando e su vari periodici online, le immagini di Guaidò e di cento deputati costretti a forza al di fuori del Palazzo Federale di Caracas per non permettergli di partecipare alla sessione che avrebbe dovuto portarlo al suo secondo mandato.
In questo turbolento contesto è maturata l’elezione di Luis Parra, recentemente espulso per corruzione dal partito “Prima la Giustizia” – facente parte del MUD – ed ora sostenuto dal chavismo. Un’elezione fantasma, avvenuta senza il numero obbligatorio di 84 deputati, che ha scatenato la reazione immediata di Guaidó, a sua volta riconfermato dai propri deputati in una seduta clandestina tenutasi addirittura nella sede del quotidiano “El Nacional” – proclamazione che ha poi ripetuto il martedì successivo, dopo essere riuscito ad entrare nella sede dell’Assemblea forzando fisicamente il blocco della Guardia Nazionale insieme ai 100 deputati che lo avevano ancora sostenuto.
Davanti all’assenza di dati ufficiali e registrati, tuttavia, Parra ha assicurato che la lista di presenza gli sia stata sottratta al termine delle elezioni e che, al contrario di come trapelato, fossero presenti addirittura 150 deputati.
L’assetto attuale del Venezuela si regge su una serie di colpi di Stato, colpi di mano e, all’occorrenza, colpi di spugna che hanno dato vita a una serie di nonlieux e nonsense, come le doppie proclamazioni del leader del potere legislativo di questi ultimi giorni. E dove il potere continua, comunque, ad essere nelle mani di Maduro e del suo seguito.
Già nel 2015, infatti, l’Assemblea Nazionale era stata esautorata delle sue funzioni al momento in cui il Presidente – che in patria è conosciuto come El Supremo – aveva trasferito molti dei suoi poteri a quelli dell’Assemblea Costituente, formata da chavisti. Si capisce come il Paese viva un continuo stallo politico e istituzionale. L’obiettivo di Nicolás Maduro, adesso, è dimostrare la debolezza dell’opposizione che, rispetto, a un anno fa, appare più frammentata in seguito alla fuoriuscita di una trentina di deputati – tra cui lo stesso Parra.
Juan Guaidó, invece, continua a vantare un enorme consenso internazionale: il Messico di Lopez Obrador e l’Argentina del kirchnerista Fernandez, che fino a qualche mese fa appoggiavano il chavismo, visti gli ultimi risvolti sono passati tra le fila dei Paesi che lo sostengono – adesso sono oltre 50, tra cui anche l’UE, trascinati dagli Stati Uniti. Cina, Russia e Cuba continuano a stare dalla parte di Nicolas Maduro.
Come dicevamo, è proprio nella pressione internazionale che Guaidò confida per la risoluzione dello stallo in Venezuela: “Non appare più possibile alcuna mediazione con il governo Maduro – ha spiegato al periodico El Nacional – questi signori continuano a farsi gioco di noi”. L’unica via possibile sembrano essere nuove elezioni e, per queste, il ruolo delle potenze straniere potrebbe fare la differenza.