La Cina dice addio alla plastica
Pechino bandirà i polimeri entro il 2025, grazie a una serie di importanti misure volte a contrastare il traffico internazionale dei rifiuti
Nuova virata della Cina verso il plastic-free. Dopo il bando all’importazione dei rifiuti del 2018 e dopo aver provato a scoraggiare l’utilizzo delle buste di plastica nei supermarket già dieci anni fa, il colosso asiatico ha deciso di dichiarare guerra ai polimeri in modo più deciso.
La scorsa settimana la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme ha presentato un piano per limitare fortemente la produzione della plastica già a partire da fine 2020 per arrivare, poi, all’annullamento entro il 2025. Una misura inevitabile dovuta al crescendo di produzione e consumo di plastiche del Paese per cui diversi studi internazionali lo hanno collocato come leader mondiale nella produzione dei rifiuti che ne derivano.
Negli ultimi anni la situazione è precipitata, con un forte contributo offerto dal boom di consegne a domicilio: un’esplosione di imballaggi usa e getta che – secondo uno studio congiunto dell’Università di Shenzen e della University of Michigan – nel 2017 ha generato 1,6 milioni di tonnellate di rifiuti di questo tipo – ben nove volte di più rispetto al 2015. Si parla di 1,2 milioni di tonnellate di contenitori di plastica, 175 mila di bacchette usa e getta, 164 mila di sacchetti di plastica e 44 mila tonnellate di cucchiai di plastica. Per la società di analisi iResearch, nel 2018 in Cina le applicazioni di food delivery hanno avuto un ricavo di 62 miliardi di euro – mentre gli Stati Uniti periodo si sono fermati a 17.
Il problema della Cina non è soltanto l’ampia produzione ed il consumo di plastiche non biodegradabili, ma anche i bassi tassi di riciclo: dati governativi parlano di una capacità di riutilizzo limitata a un quarto della produzione – il resto, dunque, è disperso nell’ambiente. L’intervento della Commissione, quindi, si è dovuto concentrare su entrambi gli aspetti.
La prima fase del piano punta il dito proprio sulle consegne dell’e-commerce, per cui è prevista una significativa riduzione dell’usa e getta entro il 2022. Immediatamente al bando, invece, le buste di plastica: già dal 2020 nelle grandi città, entro i prossimi due anni nel resto dei centri urbani. Più margine è stato concesso al mercato dei prodotti freschi e del settore alberghiero, cui è richiesta una riduzione di plastica del 30% già da quest’anno – con una proroga al 2025 per l’abolizione totale.
La seconda fase del programma si concentra sulla produzione, distribuzione e consumo di biodegradabili. La prima città ad essere coinvolta in progetti pilota sul riciclaggio è stata Shanghai. Di mese in mese toccherà anche alle altre, fino a raggiungere i centri più piccoli.
Come dicevamo, il nuovo stop alla plastica fa parte di un piano ampio che è stato avviato già nel primo decennio del XXI secolo e si sta affinando di recente. Due anni fa il veto all’importazione di rifiuti in plastica ha cominciato a cambiare fortemente lo scenario del mercato del riciclo a livello globale. Un cambiamento che ha interessato da vicino anche il nostro Paese, visto che lo scorso anno ci siamo classificati all’undicesimo posto nelle esportazioni (ben 200 mila le tonnellate di polimeri smaltite all’estero).
Ma Jun, direttore dell’Istituto per gli affari pubblici e ambientali di Pechino, ha salutato la nuova misura come “Molto importante, si cerca di affrontare una delle sfide ambientali più urgenti, non solo in Cina, ma anche a livello globale”. Allo stesso modo, Tang Damin, attivista di Greenpeace East Asia, ritiene che la campagna sia un passo avanti rispetto a quanto fatto in precedenza: “Il governo sta affrontando seriamente il problema e si sta concentrando sul riciclaggio come la strada giusta, ma la politica è ancora priva di una forte normazione“.
Venendo a mancare la Cina, l’Italia come altre nazioni dell’Unione europea hanno ridistribuito il carico tra gli importatori. Secondo dati Greenpeace del 2019, diverse nazioni asiatiche, di conseguenza, hanno visto aumentare i livelli di importazione: in Malesia nel 2018 c’è stato un aumento del 195,4% rispetto al 2017, in Turchia si conta il 191,5 % in più sul 2017.
Numeri che hanno costretto diversi Paesi a rivedere anche la propria posizione nel settore: il Vietnam ha già ritirato diverse licenze agli importatori ed ora intende uscire dal mercato entro il 2025; forti limitazioni sono già attive da parte della Malesia e la Thailandia, intende vietarle entro il prossimo anno le importazioni dal 2021. Taiwan ed India sembrano andare nella stessa direzione. È anche interessante sottolineare come, sempre secondo il Rapporto Greenpeace, questi Paesi non sono ancora dotati di un sistema di recupero e riciclo efficiente.