MusicaIn3D: Algiers, The Big Moon, Alephant e Life In The Woods per iniziare il 2020 con il piede giusto

Tempo di lettura 8 minuti
Per il primo numero del 2020 di Musica in 3D ecco 3 dischi più un EP: da Atlanta a Roma, passando per Londra e Torino: ecco a voi la musica di Algiers, The Big Moon, Alephant e Life In The Woods

È finito da poco il 2019 e, per molti, è finito anche il decennio. Dico “per molti” e non “per tutti” perché, a quanto pare, ci sono opinioni contrastanti a riguardo tanto da generare un dibattito egregiamente sintetizzato in un articolo de Il Post.

Ma, elucubrazioni mentali a parte, andiamo alla sostanza.

L’ultimo decennio è stato caratterizzato da un numero quasi infinito di uscite musicali. Molte di queste sono difficilmente tracciabili dato che la produzione discografica non è mai stata così “liquida”: un numero sempre maggiore di produzioni indipendenti e, al contempo, una sempre più sottile linea di confine tra “indie” e “mainstream”. Il decennio appena concluso ha segnato anche la fine dell’egemonia del rock, lasciando terreno alla black music, all’hip hop e alla trap. Il tutto condito da quella dolce sensazione di nostalgia del passato.

Vi faccio alcuni esempi sulla complessità della situazione citando alcuni dei migliori dischi pubblicati nella scorsa decade lasciando la libertà al lettore di approfondire in altra sede.

In ordine sparso: Beyoncé, che con Lemonade (2016) ha di fatto abbattuto lo steccato tra diversi generi musicali; i Daft Punk, che con Random Access Memories (2013) hanno pescato a piene mani nel passato esacerbando il dibattito retromaniaco; High Violet (2010), quinto album in studio dei The National che ha disegnato nuovi standard per il neo romanticismo del rock alternativo; Let England Shake (2011) di PJ Harvey, carico di pathos e registrato in una chiesa del diciannovesimo secolo.

Per non parlare dell’album omonimo di St. Vincent (2014), che ha elevato Anne Erin Clark ad opera d’arte vivente; infine My Beautiful Dark Twisted Fantasy (2010) di Kanye West che, costato circa 3 milioni di dollari, ha ridisegnato i canoni del music business e strappato di mano lo scettro alle rock star del decennio precedente.

Ma come accade spesso in questa rubrica, stiamo divagando! 

Tornando a noi e all’obiettivo di questa rubrica – ovvero consigliare l’ascolto lento e ponderato di tre dischi che per diverse ragione meritano visibilità – ecco i 3 dischi di questo mese più, eccezionalmente, un EP. E chissà, magari tra dieci anni uno di questi sarà inserito in qualche classifica dedicata alla migliore musica del decennio passato.

Life in The Woods – ph Danilo D’Auria

I protagonisti di questo articolo sono una rock band di Atlanta (Georgia) ovvero gli Algiers con il loro terzo album in studio There Is No Year. Per il secondo gruppo dobbiamo attraversare l’oceano e atterrare a Londra per la band, tutta al femminile, capitanata da Juliette Jackson ovvero le Big Moon e il loro secondo disco Walking Like We Do. Parleremo poi di 2 band italiane (che cantano comunque in inglese): i torinesi Alephant con il loro album di debutto Whole e i romani Life in The Woods con il loro mini disco Blue.

 There Is No Year – Algiers

Il recentissimo disco degli Algiers è il miglior disco uscito finora nel nuovo anno. Facile a dirsi dato che è stato pubblicato appena lo scorso 17 gennaio. Ma fidatevi: questo disco verrà annoverato nelle varie classifiche di fine anno e, tra dieci anni, in quelle dei miglior dischi del decennio.

There Is No Year è sicuramente un disco caratterizzato da temi politici e sociali, come nei precedenti lavori di Franklin James Fisher e soci. Ma questo lavoro è anche decisamente più intimo. Questo non significa che con questo lavoro gli Algeries si estraniano dalla lotta e dalla denuncia di ingiustizie sociali, razzismo e sessismo dell’America trumpiana. Significa  che, alla rabbia e alle tracce che ti colpiscono come sassi lanciati contro un carro armato, riescono ad aggiungere un po’ di profondità e spiritualità che eleva il gruppo e che li porterà sicuramente ad un pubblico più vasto.

 

Tantissimi inoltre i riferimenti e le associazioni che si possono fare su questo disco e in generale sull’intero catalogo degli Algiers. Partiti nel 2015 con l’idea di fare un punk rumoroso e ruvido ma allo stesso tempo innovativo, gli Algeries del 2020 sono un agorà di generi e stili musicali diversi e, spesso, distanti tra loro. Dai Suicide ai Public Enemy, dai Bestie Boys al sound di Bristol dei Massive Attack. Ma anche Prince nei suoi lavori più sperimentali o i Depeche Mode dei tempi di Personal Jesus. Infinite, in realtà, le risorse da cui pescano i 4 musicisti di Atlanta. There Is No Year è un disco per molti ma (purtroppo) non per tutti. Un disco che vi farà stare seduti sulla sedia solo il tempo di metabolizzare le tracce lente, per prendere fiato e incitare all’azione.

 

Walking Like We Do –  The Big Moon

Nonostante la band si sia formata nel 2014, le Big Moon (ovvero la cantante e chitarrista Juliette Jackson, la chitarrista Soph Nathan, la bassista Celia Archer e la batterista Fern Ford) sono di fatto ancora un gruppo emergente nonostante con il primo disco – Love in the 4th Dimension (2017) – abbiano vinto il Mercury Prize 2017.

Con Walking Like We Do (secondo disco in studio) Juliette Jackson e socie vogliono dimostrare che l’attenzione dei media e i successi commerciali ottenuti finora non sono una meteora passeggera. Sembrano avere tutta la voglia di arrivare fino al famoso satellite terrestre e, possibilmente, restarci un bel po’.

Catalogare l’opera delle Big Moon non è semplice, ma potete metterla nel macro contenitore con l’etichetta “Indie” e non sbaglierete sicuramente.

La rivista Pitchfork.com ha scritto che “The UK quartet pairs glowing synth pads and layered harmonies with a distinctly millennial approach to the possibility of total annihilation” e riguardo al disco in particolare che  “the album’s high points hark back to ’60s girl groups and ’90s pop-R&B”.

 

Se conoscete già il lavoro precedente e ascoltate questo, la prima cosa che vi chiederete è “dove sono finite le chitarre?”. Non è la morte del rock n’roll: le Big Moon hanno semplicemente aperto un’altra porta, quella della musica pop più trasversale per arrivare ad un maggior numero di ascoltatori. Ma meno aggressività e abrasività nelle melodie non significa una resa incondizionata ai temi frivoli e spensierati.

I testi della Jackson rievocano comunque immagini forti, secche e conturbanti unendo, dunque, alle melodie molto orecchiabili musiche che fanno presagire il disagio di quella generazione Y (o meglio conosciuta come millennial generation) e la ricerca spasmodica di trovare il giusto posto nel mondo. Mica male per iniziare un nuovo decennio.

Whole – Alephant 

Ve la ricordate la voce di Alex Band? Dai: il biondino sbarbato con una voce solida e cavernosa, decisamente in contrasto con la sua immagine. Dai, il cantante dei The Calling? Ma come no? Se avevate una TV in casa nel 2002 avrete sicuramente visto e rivisto su MTV Italia il video del singolo Wherever You Will Go. Va bene se proprio non lo avete sentito ve lo metto qui così magari vi rinfrescate le idee.

Tutto questo per dire che la prima volta che ho sentito il disco di debutto degli Alephant credevo che i The Calling fossero tornati con un nuovo disco decisamente meno commerciale e più adatto alle sonorità losangeline degli Alt Rock del 2019.

E invece no. Siamo a Torino nella seconda metà di dicembre 2019 e la voce, ad un ascolto più attento, è diversa da quella di Alex Band. Perché in Whole sentiamo in realtà un mix di due voci, quelle dei fratelli Pierandrea Palumbo (voce e basso) e Enrico Palumbo (voce e chitarra). Ai due fratelli va aggiunto Marco Ferro alla batteria.

Alephant

A parte l’alta caratura delle parti vocali, Whole è un’ottima opera prima, carica di pathos fatto di buoni arrangiamenti e assoli di chitarra quanto basta. Il disco è stato assemblato come se fosse un viaggio interiore dove lo spazio fisico in realtà è solo a margine.

Tra melodie intelligenti e testi raffinati (per essere stati scritti in inglese da madrelingua italiani) questo disco farà fare un bel viaggio anche a voi, partendo dalla fresca e accesa Light Sour, passando  per la delicata Marianne fino ad arrivare alla crepuscolare Away che chiude un disco che ha poco da invidiare all’alternative rock di oltreoceano e oltremanica. Sarà perché i tre hanno pensato e scritto questo disco tra Piemonte, Francia  e la California? Chissà.

È comunque un bel fiore all’occhiello dell’indie italiano cantato con la lingua universale del Rock’n’roll.

Blue – Life in The Woods

Last but not least arrivano loro: Logan Ross (voce e chitarra), Tomasch Lesny (batteria) e Frank Lucchetti (basso) ovvero il giovanissimo trio romano Life in The Woods e il loro primo EP Blue.

Pensare che questo mini disco, poco più di 20 minuti, sia una sorta di “bonus” alla rubrica solitamente composta di 3 LP è un grosso errore.

Blue è una delle più belle novità ereditate dal 2019 composta da tre ventenni di Roma, guidati dalla presenza esperta e per certi versi ingombrante di Gianni Maroccolo… Sì, sì, proprio lui: co-fondatore dei Litfiba e dei CSI con Canali, Ferretti, Zamboni e Magnelli. Un grande bassista ma soprattutto grande produttore e orecchio fino. Basterebbe citare i suoi molteplici progetti, che sia in prima linea o dietro le quinte.

Ma i Life in The Woods sono qualcosa di più che tre belle facce e musicisti di talento che hanno alle spalle un gigante come Maroccolo. E da Blue si sente e come: un sound che nasce lì dove dov’è nato il rock, con venature di blues, di stoner, neo psichedelia e folk inglese, ma adattato e rivisto in chiave moderna o, meglio, contemporanea.

https://www.youtube.com/watch?v=DXzwb0CkqHA

 

Senza lasciare spazio ad inutili fronzoli, la complessità di Blue è anche il presupposto per la sua efficacia. Né una nota in più né una in meno per 4 tracce originali (Manifesto, Hey Blue, Nothing Is, The Ballad Of No One) più una chicca finale: la cover di Man Of Constant Sorrow, un classico della tradizione popolare americana incisa all’inizio del 1900 da Dick Burnett.

Sono solo tre ragazzi e non voglio pomparli più del necessario, ma non mi dispiacerebbe avere vicino a casa mia i futuri Greta Van Fleet. Chissà. Sognare non costa nulla.

Damiano Sabuzi Giuliani

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