Il welfare italiano a trazione familiare
Perché il welfare familiare, ammortizzatore sociale per eccellenza, ripropone ed esaspera le disuguaglianze iniziali
Di quale famiglia parliamo? Parlare del welfare delle famiglie è complicato, in primo luogo perché bisogna capire di quale famiglia si parla. La famiglia è un nucleo sociale di individui conviventi, famiglie allargate, con figli naturali o adottati, monogenitoriali o anche non conviventi sotto lo stesso domicilio (come viene definito il fenomeno LAT, Living Apart Together).
L’ONU considera la famiglia come il “fondamentale gruppo sociale e l’ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri”. Il concetto di famiglia si è allargato rispetto al modello “tradizionale”, come anche le distinzioni tra single, divorziati e coppie.
La funzione primaria della famiglia è quella di riformare la società che, a partire da una sfera privata, assume una valenza pubblica. In quanto struttura sociale, orienta la socializzazione trasmettendo le norme e i linguaggi comportamentali utili all’interpretazione del contesto.
La famiglia è un’unità con caratteristiche particolari: tempi e modalità di formazione diversi che incidono sulla struttura parentale; conflitti comportamentali uomo-donna; abitudini di carriera che cambiano grazie all’emancipazione femminile.
Il welfare fai-da-te
I problemi delle famiglie sono molteplici, a partire dalle crisi di coppia, alla mancanza di solidarietà da parte di amici e parenti, alla conciliazione tra lavoro e famiglia, all’integrazione economico-sociale. La famiglia tuttavia è intesa in opposizione al singolo individuo, che deve, oltre alle questioni precedenti, provvedere da sé a tutte le necessità. Eppure il welfare all’italiana non tiene conto del sostegno dei nonni sia dal punto di vista relazionale che economico. Con pensioni generalmente modeste, i nonni sono proprietari di un’abitazione, hanno buona qualità di vita in quanto si tengono impegnati, tuttavia sarebbero necessarie misure di assistenza istituzionale.
Sempre più spesso i nonni sostituiscono i genitori e i babysitter nell’accudire i nipoti, consentendo di salvare il bilancio familiare. Il welfare fai-da-te assume quindi, di volta in volta, la forma di consulente psicologo, di tutor nei compiti, di cuoco, di autista, di planner che si deve organizzare tra corsi di nuoto e lezioni di pianoforte. Non solo, il fenomeno si è espanso fino a diventare un business per i family hotel e i villaggi-vacanza.
Un nonno su 3 aiuta il bilancio familiare. È quanto emerge da un'indagine @coldiretti, secondo cui le famiglie considerano i nonni un aiuto indispensabile per la crescita dei figli, l'organizzazione domestica e la preparazione dei pasti. #festadeinonni https://t.co/28vTq8nGmQ
— Con i Bambini (@ConiBambini) October 2, 2019
I limiti della compensazione
Riconoscere il ruolo del welfare “privato” comincia dalla comprensione dei fallimenti del welfare pubblico. Il sostegno informale delle generazioni più anziane compensa gli scarsi sussidi al lavoro più che gli assegni alle famiglie:
senza un lavoro rendersi indipendenti è ancora più complicato che formare una famiglia.
Si tratta dunque di una compensazione efficiente quando la sinergia intergenerazionale fornisce risorse affettive, di salute ed economiche, ma non quando le risorse sono scarse. Inoltre il calo delle nascite e il ristagno economico hanno contribuito a mettere al primo posto il lavoro e la carriera e ad accentuare le responsabilità delle terze generazioni – i nonni – verso i nipoti, veri ammortizzatori sociali, disposti a ritirarsi dal lavoro in favore dei figli e dei nipoti.
In questo modo le generazioni si sovrappongono, aspetto sicuramente positivo da un punto di vista umano, ma meno positivo dal punto di vista di una riforma del sistema di welfare, perché mantiene bassa l’occupazione e la retribuzione delle terze generazioni favorendo le disuguaglianze iniziali tra chi riceve sostegno dalle reti familiari e chi no.
Marta Donolo
Immagine di copertina via ekuonews.it