Coworking, un non-ufficio condiviso

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In questi tempi di smart working forzato a causa del Coronavirus anche i coworking si adattano con soluzioni online

Molti lavoratori autonomi, costretti a casa di questi tempi di emergenza sanitaria, sono stati pronti a condividere in rete quello spazio comune che prima condividevano di persona.

Anzi, le piattaforme condivise evitano gli elementi negativi degli spazi stretti o della eventuale confusione di un ufficio condiviso, cogliendo piuttosto l’opportunità di aggiornarsi e di dimezzare i costi. Le piattaforme di co-working online non rinunciano a organizzare eventi in streaming, formazione e scambi di idee, a risolvere problemi e conflitti dovuti a dover gestire start-up e microimprese in settori simili e che si fanno concorrenza a causa della contiguità dei settori, e che si devono confrontare per prime con la crisi di liquidità dovuta all’emergenza sanitaria.

coworking

Un coworking di Berlino

La precarietà sul lavoro, la mobilità sociale inesistente, la scarsa qualità della formazione hanno sempre inciso sulla rinuncia a cercare un lavoro e hanno contribuito a incrementare l’esercito dei disoccupati, degli inoccupati e degli scoraggiati. L’Istat monitora le forme di occupazione standard e non standard, i cambiamenti reali e percepiti nonché i fenomeni di mobilità territoriale e dovrà tener presente anche come si modificheranno i lavori digitali alla fine dell’emergenza.

Per reazione sono cresciute negli anni la ricerca di soluzioni alternative e la necessità di collaborare e di moltiplicare i contatti e gli spazi dove fare rete. Si comincia con il condividere un tavolo, il wi-fi e, tra un caffè e un sandwich, alla fine si condividono soluzioni creative, pur mantenendo un’attività indipendente, arrivando al social business.

In Italia il coworking e il lavoro da remoto non sono ancora molto diffusi; sono circa 100mila gli uffici di coworker secondo il Global Coworking Survey. All’estero si tratta di una prassi di uso comune e le alternative spaziano dal Google Campus al famoso spazio condiviso We Work, che offre anche la possibilità di usufruire di uffici privati per riunioni di lavoro, dove la mission è

to create a world where people work to make a life and not just for living.

In Italia sono molto conosciuti i Talent Garden di Poste Italiane. Il luogo di lavoro diventa per paradosso un luogo “per sfuggire alla routine” e si fonda sul concetto di “commuting with space” cioè cambiare il modo di lavorare partendo dal luogo di lavoro.

Dalla frequentazione ad “uso ufficio” di bar dotati di rete internet gratuita, dove si lavora con il proprio pc in pubblico, la postazione di lavoro si è evoluta in uno spazio comune, diverso dalla tipologia offerta dalla biblioteche pubbliche, dove la regola del silenzio diventa ostile per chi ha necessità di confrontarsi in tempo reale. Infine si è arrivati agli Anticafè o bar del tempo, dove si paga il tempo di permanenza invece che la consumazione, oltre ad offrire la possibilità di usufruire di servizi di caffetteria a basto costo.

Molte tipologie di attività lavorative si prestano alla condivisione. Il target di riferimento è formato da persone tra i 20 e i 40 anni che non seguono l’orario standard nine-to-five e preferiscono lavorare in un ambiente familiare: il fotografo di reportage che viaggia molto ma ha necessita di una postazione fissa, la start up di informatici esperti di open source che si scambiano idee, la segretaria che fa telelavoro ma non vuole isolarsi, la youtuber che non vuole filmare il tutorial del trucco del giorno seduta al tavolo di cucina.

Il coworking facilita la concentrazione perché impedisce di vivere la casa come fonte di distrazione, incentiva la motivazione e il rispetto delle scadenze consentendo flessibilità di orari, oltre alla stima professionale di un gruppo di pari. Il coworking non va confuso con gli incubatori di impresa o con le attività di consulenza a partita Iva, che seguono processi più formali di studio e lavoro, e forse rappresentano anche profili di precariato meno divertenti e stimolanti.

Marta Donolo

Immagine di copertina via Unsplash

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