“La memoria degli ultimi”, un viaggio per non dimenticare
La nostra intervista del 2014 a Samuele Rossi, regista de “La memoria degli ultimi”, documentario sulla Resistenza prodotto da Echivisivi
Se immaginassimo di tornare indietro nel tempo fino ai terribili anni della seconda guerra mondiale, insieme allo sconforto e alla disperazione di milioni di persone in tutto il mondo, da qualche parte scoveremmo un sorriso, un gesto d’aiuto, la forza di volontà che ha permesso ad esempio a tanti italiani di non perdere la speranza di tornare ad essere liberi.
Ne “La memoria degli ultimi”, documentario firmato Samuele Rossi, i protagonisti della pellicola sono sette testimoni di quegli anni bui, durante i quali “hanno realmente fatto della dignità, dell’umiltà, della solidarietà, i cardini indiscussi di un modo di vivere”. Il regista toscano ci racconta la storia di questo film sulla Resistenza in un’intervista che ci aveva rilasciato nel 2014*.
Sette persone per raccontare un momento della storia tragico, da tanti, troppi punti di vista. Durante le riprese de “La memoria degli ultimi”, tua seconda regia dopo “La strada verso casa” del 2010, quali sono state le sensazioni più importanti che ti hanno trasmesso questi testimoni?
Tu parli di tragedia. Ed è stata tale, violenta e terribile. Ma è stato anche un momento umanamente febbrile, entusiasta. E lo percepisci dalla forza di chi ha vissuto quel periodo così intenso quando ne parlano. È come se nel mezzo del dramma più assoluto, per noi difficilmente immaginabile visto che parliamo di una vita dove eri a contatto con la morte, con la fame, con la miseria più estrema, questi uomini e queste donne avessero trovato la forza di mettere a fuoco i valori necessari, la rivoluzione personale e collettiva da compiere. Aspetti che per noi sembrano scontati, poco importanti, erano allora conquiste eccezionali, da perseguire con tenacia e vigore: non solo la libertà, intesa come la intendiamo oggi, allora sconosciuta per le generazioni più giovani, ma i diritti essenziali dell’uomo, la possibilità di vivere in un paese aperto, democratico, solidale, o la semplice possibilità di realizzarsi come persone. Ed è proprio il valore di questa lotta che sembra aver dato loro l’orizzonte umano da percorrere. Mi sono trovato di fronte a persone che hanno realmente fatto della dignità, dell’umiltà, della solidarietà, i cardini indiscussi di un modo di vivere. E lo dico senza retorica. Lo dico avendo percepito la limpidezza di animi che hanno veramente creduto in un paese diverso, nuovo, più giusto, per tutti. È qualcosa di prezioso e grande quello che mi hanno trasmesso. Forse un modo di vivere diverso. Un modo diverso di intendere lo spazio della Polis, basato sui valori di condivisione, di rispetto. Spesso valori totalmente sconosciuti oggi. Non so se da riconquistare. Ma sicuramente oggi ai margini di una società che ha fagocitato se stessa sull’idea di un individualismo spietato e feroce.
Uno dei protagonisti del documentario spiega che “il problema di noi vecchi è quello di vedere i giovani riappropriarsi degli ideali di libertà”. Rispetto alla seconda guerra mondiale, dove la libertà era un sogno per milioni di persone, oggi forse questo concetto non viene apprezzato come si dovrebbe. Cosa ne pensi?
La libertà oggi non solo non viene apprezzata, ma non viene considerata. È un valore talmente assorbito dalla società, da sembrare qualcosa di scontato, di gratuito. Il fatto che per secoli milioni di persone o interi paesi non abbiano nemmeno appreso il significato di una vita libera, sfugge alla consapevolezza di quest’attualità, diventa una sfumatura marginale, a tratti inconsistente, e si forma l’idea di una vita che non potrebbe essere diversa da quello che è, ora. Nulla di più sbagliato. È proprio questo il pericolo più grande: considerare certo qualcosa che difficilmente potrà mai diventarlo come stato naturale. Nella rivalutazione del contenuto vero, profondo, della libertà, sta la possibilità di comprendere pienamente la società, i suoi problemi, i suoi rischi, i pericoli che possono emergere nuovamente e al contempo sta la possibilità di difendere e proteggere costantemente lo spazio civile che viviamo, i valori che ne fanno parte, i diritti conquistanti, dando senso proprio a quella memoria che mai ha conosciuto la libertà ma che ha fatto di tutto per perseguirla. Proprio a quella generazione mi sembrava fosse fondamentale rivolgersi, una delle ultime che ha conosciuto la vita anche quando libera non era. Solo da loro è possibile comprendere il senso di una privazione, di una impossibilità a vivere la propria esistenza e la propria comunità nell’estensione delle possibilità che abbiamo oggi, tanto da poter parlare di sogni e desideri. Basterebbe pensare che un tempo qualcuno fra i propri sogni o desideri metteva proprio la libertà…
Il titolo del film mette al centro la memoria o meglio il non dimenticare ciò che è accaduto, anche come insegnamento per il futuro. L’idea della campagna #nonperderelamemoria pensi che possa far diventare “La memoria degli ultimi” una pellicola per tutti e al servizio del Paese?
A me sembra un’ovvietà, anche se forse questo presente ci suggerisce il contrario, ma la memoria è elemento fondamentale per una cognizione totale e profonda di quello che siamo, non solo come esseri umani ma anche come società. In un Paese come l’Italia, soprattutto oggi, dove sembra totalmente assente il senso del passato o dove in troppi affollano gli spazi del sapere cercando di modificare i tratti di quanto avvenuto, inclinandolo ad una prospettiva di parte, o dove una società spesso ignorante ed indifferente finisce per vivere solo di presente, evitando di accogliere in sé il senso del passato o la necessità di un futuro, mi sembrava non solo necessario, ma urgente fare un film sulla memoria e cercare di articolarlo solo in una piena dimensione orale, di racconto, stimolando un ascolto a tratti ignorato. Mi sembrava il momento giusto per rimettere al centro del dibattito sociale e politico, ed anche artistico, il concetto di memoria, il legame forte che esiste tra un Paese sano, vitale e progredito ed il passato vissuto: è sufficiente pensare alla Germania e a come hanno affrontato l’elaborazione delle proprie colpe storiche, del proprio dramma, per percepire la differenza enorme che dovremmo colmare per costruire di nuovo il profilo di un’altra idea di Paese. L’idea della campagna #nonperderelamemoria cerca di andare proprio in quella direzione, sperando di ravvivare e di riscoprire un’idea comune e condivisa di memoria. Non so se potrà essere al servizio del Paese, ma sicuramente vuole raccontare l’idea di un passato che possa funzionare da collettore di valori, da fondamenta per le nostre vite e per il nostro futuro.
Giorgio Gaber ne “La libertà” diceva “Vorrei essere libero, libero come un uomo“. I 7 protagonisti del documentario dopo quasi 70 anni da quel terribile periodo, sono persone libere?
La domanda che fai è particolarmente centrata, soprattutto in relazione ai tempi che stiamo vivendo oggi, dove la realtà sembra aver ridotto il senso della propria complessità . Occorre capire e comprendere che senso si dà alla libertà. Ma è difficile sentire nella amarezza di questi nostri ultimi, nella loro delusione, il concetto di libertà cui tu fai riferimento. Non è certo semplice provare ad andare oltre alla banale riduzione che la libertà possa essere soltanto “fare od essere ciò che si vuole”. La libertà è tale solo se avviene all’interno di un contesto relazionale, solo nell’interazione tra esseri umani, con il mondo e lo spazio che si abita. Solo nella piena realizzazione della molteplicità del mondo è possibile parlare di libertà. Ecco perché il senso della loro esistenza mi è sembrato così frenato, così strozzato, così sfregiato dalla realtà dei nostri giorni. La battaglia dei nostri ultimi, di uomini e donne che hanno sacrificato la propria giovinezza, e spesso la propria vita, per qualcosa considerato oggi così banalmente, avvilisce il senso stesso di quella lotta, il valore di quel dono. Il viaggio che ho fatto in Italia nel realizzare questo documentario è stato estremamente sconfortante, a tratti amaro e deprimente. È stato come attraversare un deserto di valori, o ancora peggio uno spazio fatto di indifferenza e pochezza, insieme però a persone che rappresentavano l’ampiezza e la profondità di un pensiero semplice e complesso al contempo: l’idea di poter sognare un futuro diverso, migliore, per loro come per tutti. Tutto questo, attraversando l’Italia di oggi, si è trasformato in un viaggio tra le macerie di quel sogno. Loro stessi, già dopo la guerra, percepivano la mancanza di una corrispondenza tra il senso della loro lotta e la possibilità di concretarne i valori. L’Italia sembrava non rispondere, sembrava rifiutare l’idea di un paese diverso, migliore. Ecco che il senso di quella libertà è venuto meno. È stata applicata nella sua modalità più immediata, più scontata e superficiale, ma non si è capito il senso profondo di quella conquista, non si è voluto andare oltre l’idea di una società che ha fatto solo finta di cambiare. Credo che in questa indifferenza, in questa idea retorica e superficiale di passato la libertà assuma contorni più amari, più piccoli e meno significativi. Credo che sia questo il senso della malinconia che leggo accanto all’entusiasmo febbrile che ho cercato di raccontare ascoltando queste memorie: un mondo in rovina che rifiuta la propria salvezza, l’idea stessa che lo poteva salvare.
Graziano Rossi
https://vimeo.com/89383049?fbclid=IwAR3wT6BPdGc38i14r19NjtGKR0AJ_DVUlUq25iF1qEj7R_TCAGCgQccCgE8
La memoria degli ultimi – film doc 2013 – regia di Samuele Rossi from Samuele Rossi on Vimeo.
LA MEMORIA DEGLI ULTIMI
di Samuele Rossi, con Massimo Rendina, Gildo Bugni, Laura Francesca Wronowska. Italia 2013, 75’.
Produzione Echivisivi
Distribuzione Berta film
Sceneggiatura Samuele Rossi
Musiche Giuseppe Cassaro
Montaggio Filippo Montemurro
Fotografia Maria Rosaria Furio
(immagini gentilmente concesse da Echivisivi)
*articolo aggiornato al 25 aprile 2020