Non c’è ancora giustizia per Jamal Khashoggi
Nella Giornata mondiale per la libertà di stampa il Middle East Eye ricorda la morte di Jamal Khashoggi, che ancora non ha avuto giustizia: il mandante è ignoto e i resti del giornalista non sono ancora stati ritrovati
Questa domenica è la seconda ricorrenza della Giornata mondiale per la libertà di stampa da quando gli agenti del governo saudita uccisero il giornalista Jamal Khashoggi al consolato del regno ad Istanbul, in Turchia.
Solo l’anno scorso, l’Arabia Saudita ha arrestato 26 giornalisti, mentre i professionisti dei media continuano a dover affrontare minacce e molestie in tutto il globo. Ma l’omicidio di Khashoggi aveva catturato l’attenzione mondiale come mai prima aveva fatto un attacco alla stampa. L’uccisione e lo smembramento del giornalista, avvenuto in una sede diplomatica di un Paese alleato della NATO, non solo è stato raccapricciante, ma è stato anche orrendo per la sua sfacciataggine.
Per settimane e mesi, l’omicidio ha riempito le prime pagine dei giornali e ha nutrito l’indignazione a Washington contro Riad e Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti ha continuato a difendere lealmente i sovrani del regno, proteggendoli dalle conseguenze negative dell’assassinio.
Tuttavia, quest’anno, nella Giornata mondiale per la libertà di stampa il mondo è in subbuglio.
Il 2 ottobre 2018, giorno dell’omicidio di Khashoggi, potrebbe sembrare lontanissimo. Con la diffusione del coronavirus, la stagione elettorale statunitense e la disastrosa situazione economica globale, il ciclo di notizie ha ampiamente superato la storia di Khashoggi. Nonostante ciò, quella vicenda non è conclusa.
I resti del giornalista non sono ancora stati ritrovati, e i funzionari sauditi d’alto livello devono ancora essere accusati per l’omicidio. A Washington, Trump si oppone temerariamente al Congresso, rifiutandosi di pubblicare le scoperte dei servizi segreti in merito al mandante dell’omicidio. Secondo gli avvocati e i giuristi, tali informazioni sono cruciali per fare giustizia.
“È passato un anno e mezzo dall’omicidio di Jamal Khashoggi, giornalista e residente della Virginia” ha dichiarato via email al Middle East Eye Tim Kaine, senatore democratico dello Stato. “Il fallimento dell’amministrazione Trump nell’accusare il regime saudita per questo e chissà quanti altri abusi dei diritti umani è riprovevole”.
Alla fine dell’anno scorso, Trump aveva approvato la legge militare che richiedeva che il capo dell’intelligence dell’amministrazione producesse, nel giro di 30 giorni, un report declassificato per identificare i funzionari sauditi coinvolti nella “guida, ordinamento o manomissione delle prove dell’omicidio di Khashoggi”.
La Giornata mondiale per la libertà di stampa del 2020 cade esattamente 135 giorni dopo l’approvazione di tale legge. Ad oggi, l’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale (ODNI) ha consegnato solamente un documento confidenziale accompagnato da una singola pagina declassificata. Secondo tale file, l’informazione deve rimanere segreta per proteggere “fonti e metodi”. Kaine ha definito il rifiuto dell’ODNI a seguire la richiesta del Congresso “inaccettabile”. “Gli americani meritano un presidente che difenda i diritti umani, non uno che si inchini davanti ai dittatori” ha spiegato.
Non è la prima volta che Trump si rifiuta di rispondere alle richieste dei legislatori statunitensi per assicurare la responsabilità dell’omicidio.
Lo scorso febbraio, il Congresso ha richiesto, in base al Magnitsky Act, di consegnare le informazioni riguardo il mandante dell’assassinio. Tuttavia, l’amministrazione ha ignorato la scadenza obbligatoria.
“Ancora non sappiamo chi è il responsabile del brutale omicidio di Jamal Khashoggi” ha spiegato Ilhan Omar, senatrice del Congresso. “Per legge, l’amministrazione deve rendere pubblico ciò che il governo statunitense sa riguardo a chi del governo saudita è responsabile dell’omicidio e dell’insabbiamento. Adesso si rifiutano di rispettare la legge, ed è nostro dovere che la osservino”.
Per la maggior parte della sua carriera, Khashoggi aveva lavorato per gli organi di stampa statali dell’Arabia Saudita.
Tuttavia, nei suoi ultimi anni di vita aveva cominciato a scrivere per il Washington Post ed era diventato critico nei confronti del leader de facto del Paese, il principe ereditario Mohammed bin Salman. Verso la fine del 2018, i media statunitensi avevano riportato ampiamente che la CIA aveva concluso che il mandante dell’assassinio era proprio bin Salman. A dicembre di quell’anno, ogni singolo senatore degli Stati Uniti aveva sostenuto tale informazione.
L’omicidio era coinciso con l’intensificarsi di una campagna di repressione contro dissidenti, giornalisti, sostenitori dei diritti delle donne e nemici sospetti del principe ereditario. Questi abusi, insieme alla lunga guerra in Yemen, che ha devastato il già misero Paese, causando la più grave crisi umanitaria del mondo, avevano lasciato Mohammed bin Salman con pochi amici a Washington. Nonostante ciò, Trump non aveva ritirato il suo supporto nei confronti di Riad. Anzi, solo il mese passato, il presidente degli Stati Uniti ha definito il leader saudita “un amico” in un post su Twitter.
Just spoke to my friend MBS (Crown Prince) of Saudi Arabia, who spoke with President Putin of Russia, & I expect & hope that they will be cutting back approximately 10 Million Barrels, and maybe substantially more which, if it happens, will be GREAT for the oil & gas industry!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) April 2, 2020
Agnes Callamard, inviata delle Nazioni Unite per le esecuzioni extragiudiziali, ha richiesto a Washington di “sbloccare il riserbo” nei confronti dell’omicidio.
La funzionaria ha sottolineato che le informazioni nelle mani dei servizi segreti statunitensi sono cruciali per assicurare che giustizia sia fatta. Nella sua relazione del 2019, la Callamard aveva scoperto che la morte di Khashoggi è di responsabilità dell’Arabia Saudita. Inizialmente, Riad aveva negato che l’omicidio fosse avvenuto, mentre in un secondo momento aveva spiegato che si era trattato di una operazione non autorizzata.
Lo scorso dicembre, l’Arabia Saudita ha condannato a morte cinque persone per il loro coinvolgimento nell’omicidio. I critici del regno avevano definito tale mossa come “parte dello spettacolo”, e non una vera punizione per i responsabili. Il processo aveva esonerato l’assistente di Mohammed bin Salman, Saud al-Qahtani, ritenuto l’orchestrante dell’omicidio.
La Callamard, che sostiene che l’amministrazione statunitense abbia un ruolo cruciale nell’individuare il responsabile, ha dichiarato che la strada della giustizia, in certi casi, è spesso un viaggio molto lungo. “Continuare a parlarne, insistere che i tentativi dell’Arabia Saudita di ricomprarsi una nuova reputazione non stiano funzionando, ricordare al mondo che il regno è uno dei Paesi con più giornalisti incarcerati, ricordare al mondo che le giovani attiviste donne sono ancora in prigione perché volevano guidare. Anche questo fa parte del problema della responsabilità” ha spiegato la funzionaria delle Nazioni Unite a dicembre.
Anche quest’anno festeggiamo la Giornata mondiale per la libertà di stampa, ma la giustizia per Khashoggi è ancora elusiva.
Traduzione di Chiara Romano da middleeasteye.net
Immagine di copertina via middleeasteye.net da AFP