Il Messico è in mano ai militari?
Cresce l’ingerenza dell’Esercito nella sfera pubblica, dopo la presa di posizione del presidente Obrador
La domanda che l’opinione pubblica internazionale si sta ponendo In questi giorni è la seguente: il Messico si dirige verso la militarizzazione? Si unirà al novero di quei Paesi latinoamericani che hanno delegato ai militari il controllo di diversi ambiti della società? Questa risposta arriverà con il passare del tempo e delle future manovre socio-economiche.
Per quanto riguarda il presente, invece, ci troviamo sicuramente di fronte a un cambiamento di rotta del Presidente Manuel López Obrador, in patria Amlo, che durante la campagna elettorale del 2018 aveva fortemente criticato il ricorso alle forze militari del predecessore Enrique Peña Nieto proponendo un futuro di “Abbracci, non pallottole”. Salvo poi, lo scorso 11 Maggio, presentare un nuovo Accordo Presidenziale che lascia la gestione della sicurezza pubblica ai militari – sostenendo che “L’Esercito è cosa buona perché l’esercito è il Popolo”.
Con il nuovo accordo, il Presidente della Repubblica potrà ricorrere all’Esercito in tutte le circostanze che lo riterrà necessario. Una disponibilità illimitata ma temporalmente determinata, fino al 2024, anno in cui dovrebbe scadere il mandato presidenziale. La nuova disposizione va ad integrare la riforma costituzionale del marzo 2019, quando venne creata la Guardia Nazionale. Ed è proprio a sostegno di quest’ultima che adesso è richiesto l’intervento dei militari in materia di sicurezza pubblica – ambito che, da costituzione, spetterebbe alla polizia civile.
Del resto, in Messico, la presenza militare nella vita pubblica non è una novità. Per quanto Obrador avesse criticato l’operato dei suo predecessori, già nei primi due anni della sua presidenza l’apparato militare, nei suoi diversi comparti, ha acquisito un ruolo di controllo e gestione delle infrastrutture, delle attività edili e delle transazioni commerciali e finanziarie. E, in epoca di pandemia, di ospedali e distribuzione di prodotti sanitari.
Ma ciò che in patria sta facendo riflettere, non ha soltanto né principalmente carattere ideologico: il problema è che l’Esercito accede alla gestione di beni e servizi saltando le gare pubbliche e per aggiudicazione diretta, più rapida. Un canale, questo, che rimane più oscuro e meno controllabile. Secondo un’indagine a quattro mani del TEC (Istituto di Studi) e della ONG Evalua, la Difesa lo scorso anno ha ottenuto il 50% dei contratti per via diretta mentre la Marina ha proceduto alla licitazione pubblica solamente nello 0,8% dei casi.
Ricordiamo che il Messico, che conta circa 126 milioni di abitanti, come altri Paesi dell’America del Sud, è afflitto dal problema della sicurezza. O, meglio, dell’insicurezza. Povertà, narcotraffico, tensioni sociali e, adesso, covid-19 sono scintille per violenze quotidiane. Nel 2019 il dato più alto da oltre vent’anni: 34.582 omicidi, quasi 95 al giorno (dati del Segretariato esecutivo di Pubblica Sicurezza).
Ed in questo quadro la via della militarizzazione sembrò una soluzione già nel 2006 con Felipe Calderón, per proseguire con Peña Nieto: una strategia che in 14 anni ha lasciato, però, oltre 275 mila morti, decine di migliaia di scomparsi, innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito – tra cui torture ed esecuzioni extragiudiziali – senza contrastare concretamente la criminalità che avrebbe dovuto sconfiggere.
L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha espressamente chiesto al Governo di rivedere l’Accordo, sottolineando il carattere non trasparente e ingerente della partecipazione militare: “Contraddice gli elementi di controllo civile della pubblica sicurezza stabiliti nella riforma costituzionale che ha creato la Guardia Nazionale e non rispetta i principi di trasparenza e responsabilità che dovrebbero governare le azioni di tutti gli istituti a carico di detta sicurezza” – come si legge nel testo della richiesta.
Di conflittualità e sovrapposizione parla anche Kenya Lopez Rabadan di Azione Nazionale, uno dei principali partiti conservatori per lungo tempo alla maggioranza, che sostiene come il nuovo Accordo non sia stato approvato dal Congresso. Non nel modo in cui verrà applicato: “Quello che è stato concordato – ha dichiarato – è un intervento militare puntuale, straordinario e subordinato all’apparato di Sicurezza Nazionale. Mentre adesso – continua – si parla di coordinazione”.
Sulla stessa lunghezza d’onda i socialdemocratici di Rivoluzione Democratica che hanno scritto alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani segnalando come il nuovo accordo presidenziale violi quanto stabilito dalla Corte Intramericana, ovvero che la pubblica sicurezza debba competere alle forze civili e non militari. E hanno richiamato l’attenzione sull’alto numero di violazione dei diritti umani e civili in Paesi già militarizzati.
Veemente la difesa dell’Accordo da parte di Obrador qualche ora dopo la firma: “Insisterò in che le Forze Armate ci aiutino nella sicurezza pubblica anche se sarò criticato. Non ho problemi di coscienza – ha sostenuto – Questa collaborazione tra militari e polizia è quello che conviene ai Messicani”.
Immagine di copertina via twitter.com/The_Nation
Obrador è il classico demagogo che, come Maduro, spaccia dietro un’adesione alla retorica rivoluzionaria e terzomomdista chissà quali oscuri interessi personali. E’ stato beccato solo una settimana fa mentre omaggiava la madre del Chapo. D’altro canto tra esercito e narcotraffico c’è una perfetta osmosi. Purtroppo il Messico è questo, un paese purulento che campa attribuendo tutti i suoi mali al ricco vicino e che per questa ragione mai migliorerà.