A Hong Kong la mano della Cina è sempre più forte
Approvato un disegno di legge che definirà la Sicurezza del territorio autonomo a immagine di Pechino. La popolazione è in rivolta, nuovo gelo tra Stati Uniti e Cina
È tempo di nuove minacce per l’autonomia di Hong Kong, di nuove ondate di proteste in strada, di altri arresti e interventi antisommossa da parte delle forze dell’ordine. Tempi nuovamente duri per la governatrice Carrie Lam, definita “debole” sia da Pechino che dai cittadini della metropoli asiatica. Ed è il momento per ulteriori tensioni tra Xi Jinping e Donald Trump: con gli Stati Uniti in procinto di sanzionare la gestione dell’ex colonia da parte della Cina e quest’ultima che non ne tollera l’ingerenza.
Una nuova guerra civile per le strade di Hong Kong, quindi. Dieci giorni fa le prime manifestazioni e arresti (360 il 27 Maggio), dispersioni forzate da parte della polizia, scene che si sono poi ripetute nel corso della settimana mentre veniva discussa una legge sulla Sicurezza Nazionale voluta e definita da Pechino.
Lo scorso giovedì il Parlamento Cinese ha approvato con 2.878 voti favorevoli, 1 contrario e 6 astenuti un disegno di legge che intende combattere tradimento, sovversione, secessione, sedizione e interferenze straniere nel territorio. Le leggi verrebbero promulgate unilateralmente da Pechino e applicate direttamente ad Hong Kong. Inoltre, saranno istituite agenzie di sicurezza cinesi a sostegno di quelle locali. In settimana il passaggio al Comitato Permanente del Partito Comunista: l’esito è scontato. Il dettaglio della legge, invece, sarà definito ad Agosto.
L’obbiettivo dei legislatori è controllare una popolazione che non intende rinunciare all’indipendenza dal governo centrale e non vorrebbe modificare la “Basic Law” concordata fino al 1947. Ricordiamo che Hong Kong è città stato annessa alla Cina dal 1997, anno in cui si liberò dalla presenza britannica, e che gode di autonomia amministrativa ad eccezione di difesa e politica estera in un sistema definito di “due pesi e due misure”. Ad Hong Kong, quindi, c’è diritto di riunione e di parola, la magistratura non dipende da quella cinese e la regione può dotarsi di una propria legge in materia di sicurezza. Altre ex colonie cinesi non godono di questo sistema.
I primi assalti a quest’autonomia erano iniziati la scorsa primavera con la proclamazione di una legge per l’estradizione, voluta dalla Cina ed appoggiata da Lam. All’epoca studenti, casalinghe ma anche giornalisti, medici e avvocati manifestarono a più riprese fino ad ottenere la sospensione e, poi, l’annullamento della misura. Ad oggi, si contano 8.400 arresti per le rivolte. Pechino vuole mettere un freno a queste tensioni che la indeboliscono.
Carrie Lam ha spalleggiato dall’inizio il governo cinese, sostenendo che “non ci può essere spazio per un’interferenza di altri Paesi sulle nostre questioni” e che “la legge non minaccerà le libertà e l’autonomia giudiziaria di Hong Kong. Non siamo riusciti a definire una nostra legge – ha spiegato – in 23 anni, per cui è responsabile definirne una da parte di Pechino”.
I cittadini di Hong Kong in questo scenario temono la perdita delle proprie libertà civili e di essere assoggettati ad un regime giudiziario simile, se non uguale, a quello cinese. Un’altra preoccupazione è l’effetto negativo in termini economico finanziari: la metropoli oggi è luogo di investimenti e sedi per multinazionali di tutto il mondo. Timori fondati, perché le potenze mondiali disapprovano in blocco la nuova situazione.
BREAKING: Hong Kong’s legislature has passed a contentious bill that makes it illegal to insult the Chinese national anthem. The legislation was approved over the opposition of pro-democracy lawmakers. https://t.co/iqtQH3fAbd
— The Associated Press (@AP) June 4, 2020
Chiaramente in prima fila gli Stati Uniti. Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha fatto presente che “Hong Kong non può più essere considerata autonoma. È chiaro – ha spiegato – che la Cina stia rimodellando il territorio a sua immagine”: questo significa che ci sarà un brusco arresto delle relazioni commerciali e finanziarie con Hong Kong, come l’imposizione di dazi doganali simili a quelli vigenti per la Cina. Cosa che avrà ripercussioni sull’economia dello stesso colosso asiatico.
E su una posizione critica sono anche Australia, Canada, Gran Bretagna ed Unione europea. Bruxelles ha chiesto a Pechino di rispettare lo status quo: “Attribuiamo grande importanza all’alto grado di autonomia di Hong Kong“, ha ricordato il presidente del Consiglio europeo, il belga Charles Michel, “in linea con la Legge fondamentale e gli impegni internazionali“.
Pechino però si mantiene ferma, con il Primo Ministro Li Kegiang che ha risposto senza giri di parole: “La presunta guerra fredda che gli Stati Uniti stanno portando in Cina non giova a nessuna delle parti e danneggerebbe il mondo intero”.
L’opinione internazionale è avvisata.
Immagine di copertina via gp.se