“Cadere”, romanzo breve e polifonico di Carlos Manuel Álvarez
La narrazione delle vicende si costruisce su prospettive complementari e movimenti in avanti. Le voci dei personaggi danno forma a una realtà quadrimensionale, una realtà unica eppure diversa a seconda del punto da cui si guarda.
Definire Cadere, romanzo di Carlos Manuel Álvarez, è alquanto difficile. E la precisione con cui lo scrittore cubano utilizza le parole ha l’effetto di far perdere definizione alle mie nel cercare di raccontarlo.
Il libro si compone di cinque parti in ognuna delle quali si avvicendano quattro capitoli. In ognuno una voce diversa, quella dei quattro protagonisti della storia. Il figlio, il padre, la madre, la figlia.
Il figlio Diego, circa vent’anni, sta cercando a suo modo di sopravvivere all’anno obbligatorio di leva e ormai da molto tempo non crede più in niente, sicuramente non in quegli ideali cui rimane aggrappato il padre. La madre Mariana, malata, ormai è il simulacro di ciò che è stata. Il padre Armando è legato ai valori di una rivoluzione che ha perso smalto. La figlia Marìa, di qualche anno più grande del fratello e priva di qualunque prospettiva o desiderio per il proprio futuro, lavora e mantiene tutti.
La trama è esile: il lettore è immerso nelle vicende di questa famiglia ad un certo punto della loro vita insieme. Appena accennata sullo sfondo c’è una Cuba polverosa, grigia e bianchiccia negli anni in cui l’avvenire è avvenuto senza che però il sole splenda su una nuova epoca della storia umana.
La narrazione delle vicende si costruisce così su prospettive complementari e movimenti in avanti. Le voci dei personaggi danno forma a una realtà quadrimensionale, una realtà unica eppure diversa a seconda del punto da cui si guarda.
Quello che colpisce di questo romanzo è, per citare il risvolto di copertina, la “prosa chirurgica ma lirica e avvolgente”. E’ una prosa efficacissima. Sia nelle descrizioni dei personaggi o dei luoghi, come piccole fotografie vivide davanti agli occhi del lettore. Sia nei passaggi onirici e nella narrazione dei pensieri dei protagonisti. La tentazione è quella di sottolineare quasi ogni frase. O tornare indietro più volte per rileggere un passaggio e assaporarne ancora l’esattezza con cui l’autore ha descritto una porzione di mondo, fisica o mentale che sia.
Ogni capitolo è tecnicamente autosufficiente. Estratto e inserito in una raccolta di racconti funzionerebbe ugualmente. Ma nel suo comporsi insieme agli altri diventa elemento di un tutto che non potrebbe essere diverso da se stesso.
Così come i suoi protagonisti o gli essere umani in generale: laddove ognuno è un mondo a sé, nell’interazione con gli altri si esiste, si cambia e si evolve. O si cade trascinandosi l’un l’altro.
E al centro del romanzo c’è proprio la relazione tra i personaggi. Ma si trascende il loro essere famiglia, è solo un inciso. E’ il rapporto tra essere umani, fatto di parole dette e di parole non dette. Perché quelle parole non si conoscono o perché il non dare forma a una parola offre uno scudo dalla realtà che quella parola è. C’è il sapere e il non sapere. C’è la menzogna. La debolezza umana fatta di sentimenti e azioni contrastanti. Il volersi bene, il non volersi male e poi però intimamente e inspiegabilmente gioire per il male altrui. O determinarlo. C’è il non voler morire, ma non perché si voglia vivere. C’è la sensazione di un tempo stantio, un tempo cui sopravvivere.
Cadere
Carlos Manuel Álvarez
Edizioni Sur, 2020
pp.150, € 15